REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
N.
Reg.Dec.
N. 11473 Reg.Ric.
ANNO 2000
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha
pronunciato la seguente
DECISIONE
sul ricorso in appello
proposto dall’Istituto nazionale per l’assicurazione contro gli infortuni
sul lavoro (INAIL), in persona del legale rappresentante p.t. dott.
Pasquale Accondia, rappresentato e difeso dagli avv.ti Fortunato M. Artusa
e Pasquale Rossi, con i quali e’ elettivamente domiciliato presso la sede
legale in Roma, via IV Novembre, n. 144
Contro
La Paravia Elevators’
Service s.r.l., in persona del legale rappresentante p.t., rappresentato e
difeso dagli avv.ti Lorenzo Ioele e Francesco Accarino, con i quali e’
elettivamente domiciliato in Roma, p.zza Cavour (Studio avv. Angelini)
E NEI CONFRONTI
Di Pacifico Salvatore, non costituito
per l'annullamento
della sentenza del
Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, II Sezione di Salerno,
n. 642 del 2 novembre 2000;
Visto il ricorso con i relativi allegati;
Visto l'atto di costituzione in giudizio
della Paravia Elevators’ Service s.r.l.;
Viste le memorie prodotte dalle parti a
sostegno delle rispettive difese;
Visti gli atti tutti della causa;
Alla pubblica udienza del 12.01.2001
relatore il Consigliere dott. Roberto Garofoli;
Uditi gli avv.ti Rossi e Accarino;
Ritenuto e considerato in fatto e in
diritto quanto segue:
FATTO
La Paravia Elevators’
Service s.r.l., citata in giudizio dal suo ex dipendente Pacifico
Salvatore per il risarcimento del danno biologico subito per effetto della
contrazione di un “carcinoma Broncogeno” (malattia riconosciuta come
avente origine professionale –in quanto derivante da esposizione ad
“amianto dei ferodi”- con sentenza del Pretore di Nola del 28 gennaio
1997), presentava alla sede INAIL di Salerno istanza ostensiva avente ad
oggetto la seguente documentazione:
-
Verbali degli
accertamenti svolti dall’INAIL;
-
Relazione del medico
dell’INAIL sulla base della quale non era stata riconosciuta la natura
professionale della malattia contratta dal Pacifico;
-
Memoria difensiva
dell’INAIL nel giudizio celebrato innanzi al Pretore di Nola;
-
Relazione del medico di
parte INAIL presentata nel corso del suindicato giudizio e/o parere in
base al quale l’Istituto si e’ determinato a non impugnare la citata
sentenza del Pretore di Nola.
A conforto della domanda
di accesso era addotta l’esigenza di conseguire, ai fini di un corretto
esercizio del diritto di difesa in seno al giudizio risarcitorio, una
piena conoscenza in merito all’effettiva sussistenza di un
nesso eziologico tra
esposizione ad amianto e carcinoma riscontrato.
In data 11 giugno 1999,
l’INAIL rigettava la richiesta di accesso rilevando, da un lato, quanto
alla memoria difensiva ed alle relazioni mediche presentate nel corso del
giudizio svoltosi innanzi al Pretore di Nola, la non qualificabilita’
delle stesse come documenti amministrativi, dall’altro, per quel che
riguarda la relazione del medico INAIL, la natura riservata dei dati nella
stessa contenuti.
In data 31 marzo 2000,
l’INAIL di Salerno, pronunciandosi su un’ulteriore istanza di accesso,
formulata dalla Paravia s.r.l. a seguito di una precedente nota resa sulla
specifica questione dalla Direzione generale dello stesso Istituto,
ribadiva il diniego.
Con sentenza n. 643 del 2
novembre 2000, il T.A.R. della Campania, seconda Sezione di Salerno,
accoglieva il ricorso presentato, ai sensi dell’art. 25, l. n. 241/90,
dalla Paravia s.r.l., cui nel corso del giudizio era stata riconosciuta la
possibilita’ di procedere all’integrazione del contraddittorio nei
confronti del Pacifico, in quanto riammessa in termini per errore
scusabile: i Giudici salernitani ordinavano, quindi, alla sede INAIL di
Salerno di procedere alla consegna dei suelencati documenti.
Propone appello l’INAIL
chiedendo, previa sospensione della relativa esecuzione, l’annullamento
della suddetta sentenza.
Si e’ costituita la
Paravia s.r.l. chiedendo il rigetto dell’appello.
All’udienza del 12 gennaio
2001, sul consenso delle parti, la causa e’ stata ritenuta per la
decisione di merito.
DIRITTO
-
Giova premettere che,
con la sentenza gravata, il Giudice periferico
considerato garantito il
contraddittorio a seguito dell’integrazione effettuata dalla ricorrente,
all’uopo riammessa in termini per errore scusabile, e rigettata
l’eccezione di tardivita’ ha sostenuto, quanto al merito della vicenda
processuale, che i principi elaborati in sede normativa e
giurisprudenziale con riguardo al difficile rapporto tra accesso ai
documenti amministrativi e tutela della riservatezza vanno applicati non
obliterando le reali peculiarita’ destinate a connotare le singole
situazioni.
Nel dettaglio, il Giudice
di prime cure, dopo aver qualificato tutti i suelencati documenti oggetto
della rigettata istanza ostensiva come amministrativi ai sensi dell’art.
22, co. 2, l. n. 241/90, ha sostenuto che le condizioni di salute di
Pacifico Salvatore “costituiscono l’oggetto di distinto ed autonomo
giudizio” nel quale la Paravia s.r.l. “tende ad apprestare la migliore
difesa possibile (tutelando cosi’ un suo diritto) su un tema messo sul
tappeto appunto dal soggetto della cui salute si discute”: ad avviso dei
Giudici salernitani, quindi, i due contrapposti interessi risultano “di
pari rango alla luce della situazione di fatto venutasi a creare”.
Avverso tale sentenza la
Paravia s.r.l. muove diverse censure, al cui scrutinio e’ necessario
procedere in modo distinto.
-
Va preliminarmente
respinto il primo motivo di appello con il quale si ripropone l’assunto
dell’irricevibilita’ del ricorso di primo grado per asserita decorrenza
del termine perentorio di impugnazione: assunto gia’ scrutinato e
correttamente disatteso dal Giudice di prime cure.
In sintesi, l’appellante
deduce che, essendo stata gia’ respinta in data 31 maggio 1999 una prima
istanza ostensiva formulata dalla Paravia s.r.l., e’ da ritenere tardivo
il ricorso proposto avverso l’atto del 24 febbraio 2000 con il quale la
Sezione INAIL di Salerno ha rigettato la seconda actio ad exhibendum
spiegata dalla stessa societa’: atto, quest’ultimo, dall’odierna
appellante considerato meramente ricognitivo, in quanto non preceduto da
una riponderazione degli interessi coinvolti, nonche’ connotato da un
apparato motivazionale “perfettamente uguale” a quello proprio della
precedente determinazione di diniego.
Il Collegio ritiene di
dover disattendere tale primo motivo di appello, senza che sia all’uopo
necessario scandagliare la complessa questione della reiterabilita’ ad
libitum dell’actio ad exhibendum, sia pure nel rispetto
del termine prescrizionale: questione, come noto, almeno in parte
correlata a quella, di piu’ ampia portata, afferente alla natura e
consistenza giuridica da ascrivere alla posizione soggettiva di colui il
quale avanza l’istanza di accesso.
E’ sufficiente, infatti,
considerare al riguardo che, come correttamente ritenuto dal Giudice di
prima istanza, va riconosciuta natura di conferma propria alla seconda
determinazione di rigetto della nuova e diversamente argomentata domanda
di ostensione: ed invero, oltre a considerare che tra le due
determinazioni di segno negativo era intervenuta una nota della sede
centrale dell’Istituto (almeno in parte destinata a costituire un fatto
nuovo), va riconosciuto il dovuto rilievo alla circostanza per cui nel
secondo provvedimento di diniego la sede INAIL di Salerno si e’ fatta
carico di effettuare in modo esplicito un bilanciamento tra le
contrapposte esigenze in gioco, espressamente sottolineando la ritenuta
prevalenza dell’interesse del lavoratore alla tutela del diritto alla
riservatezza rispetto a quello del datore di lavoro a prendere visione
dei documenti nella prospettiva di un effettivo esercizio del diritto di
difesa.
-
Va parimenti respinto il
secondo motivo di appello con il quale si deduce l’inammissibilita’ del
ricorso di primo grado in quanto non notificato al controinteressato:
nel dettaglio, l’INAIL contesta l’operato del Giudice di prima istanza
laddove ha ritenuto sussistente l’errore scusabile del ricorrente in
primo grado consentendo l’integrazione del contraddittorio.
Non vi e’ dubbio, al
riguardo, che il ricorso proposto contro il diniego di accesso opposto per
motivi di tutela della privacy debba essere notificato al
controinteressato, ossia al soggetto che, in quanto titolare del diritto
alla riservatezza, sia minacciato dalla divulgazione di notizie lambenti
la sua sfera privata.
Nell’individuare le
conseguenze derivanti dall’omessa notificazione dell’atto introduttivo del
giudizio al controinteressato, tuttavia, il dibattito dottrinale e
giurisprudenziale si e’ connotato per la frontale contrapposizione di due
orientamenti, peraltro poggianti su alternative ricostruzioni della natura
giuridica da riconoscere alla posizione di colui il quale presenta
l’istanza di accesso e, conseguentemente, su qualificazioni del tutto
differenti della giurisdizione (esclusiva o di mera legittimita’)
delineata dall’art. 25, l. n. 241/90.
Come e’ noto, infatti,
mentre la tesi che ascrive veste di vero e proprio diritto soggettivo
all’accesso e natura esclusiva alla giurisdizione ex art. 25, l. n.
241/90 implica, quale immediato precipitato di carattere processuale,
l’applicazione delle regole processualcivilistiche di cui all’art. 102
c.p.c., riguardante l’istituto del litisconsorzio necessario, con
conseguente integrazione del contraddittorio ad opera del Giudice,
l’indirizzo propenso a ravvisare un interesse legittimo nella posizione di
colui che richiede l’ostensione risolve la specifica questione facendo
applicazione degli schemi classici del processo amministrativo, cosi’
inferendone l’inammissibilita’ del ricorso non notificato al
controinteressato: orientamento, quest’ultimo, fatto proprio dall’Adunanza
Plenaria e recentemente seguito da questa Sezione (cfr. Ad. Plen. 24
giugno 1999, n. 16; sez. VI, 20 gennaio 2000, n. 257).
Senonche’, quest’ultimo
indirizzo non esclude che il Giudice adito possa ritenere scusabile
l’errore in cui e’ incorso il ricorrente nell’omettere la notificazione al
controinteressato e concedere, quindi, la rimessione in termini.
E’ quanto si e’ verificato
nel caso di specie: l’appellante deduce, tuttavia, l’illegittimo uso fatto
dal Giudice di prime cure dell’istituto della rimessione in termini per
errore scusabile.
L’appello va considerato
in parte qua inammissibile, attesa l’assoluta genericita’ della
doglianza fatta valere: si contesta, infatti, l’uso che il Giudice di
prime cure ha fatto dell’istituto della rimessione in termini per
scusabilita’ dell’errore, senza in alcun modo indicarne le ragioni.
La censura appare comunque
infondata nel merito.
L'istituto dell'errore
scusabile, disciplinato dall'art. 34, R.D. 26 giugno 1924
n. 1054, e dall'art. 34,
L. 6 dicembre 1971 n. 1034, appare invero di generale applicazione nel
sistema della giustizia amministrativa, suscettibile di utilizzazione in
tutti i casi in cui siano ravvisabili situazioni di obiettiva incertezza
normativa, connesse a difficolta’ interpretative ovvero ad oscillazioni
giurisprudenziali o di comportamenti fuorvianti della stessa
Amministrazione, dai quali possa conseguire difficolta’ nella domanda di
giustizia ed una effettiva diminuzione della tutela giurisdizionale (v.
Cons. Stato, V Sez., 12 novembre 1992 n. 1300; Cons. Stato, IV Sez., 21
giugno 1988 n. 539; Cons. Stato, VI Sez., 20 maggio 1988 n. 707; Cons.
Stato, VI Sez., 30 giugno 1983 n. 543, in Cons. Stato 1992, I, 1622; 1988,
I, 611 e 691; 1983, I, 799).
Orbene, tenuto conto dei
diversi orientamenti seguiti dalla giurisprudenza in materia di mancata
notifica al controinteressato del ricorso per l'accesso, il Collegio
ritiene correttamente concesso nel caso di specie il beneficio della
rimessione in termini per errore scusabile.
-
Con il terzo motivo di
appello l’INAIL muove tre differenti censure, la prima di carattere
squisitamente processuale, le altre concernenti il merito della presente
vicenda.
4.1. L’appellante deduce,
in primo luogo, la mancata comunicazione, nel corso del giudizio di primo
grado, dell’avviso di udienza, conseguentemente invocando l’annullamento
della sentenza impugnata e il rinvio al Giudice di prime cure.
La censura e’ del tutto
infondata.
Questa Sezione ha gia’
chiarito che nel procedimento giurisdizionale relativo al diritto di
accesso di cui alla l. n. 241/90 non sussiste l’obbligo per la segreteria
di comunicare alle parti l’avviso di udienza, giacche’ la trattazione dei
ricorsi in camera di consiglio interviene in base a criteri automatici che
tengono conto della notifica e del deposito dell’atto introduttivo del
giudizio (19 gennaio 1995, n. 37): e’ quanto si e’ verificato, per
l’appunto, nel corso del giudizio di primo grado, come risulta dalla
documentazione prodotta dalla societa’ appellata.
4.2. Con la seconda
censura si contesta l’inclusione nella nozione di documento amministrativo
accessibile di atti -quali la memoria difensiva e la relazione del medico
di parte INAIL presentate nel giudizio celebrato innanzi al Pretore di
Nola, nonche’ il parere in base al quale l’Istituto si e’ determinato a
non impugnare la citata sentenza del Pretore di Nola- ritenuti attinenti
all’attivita’ professionale.
La censura e’ fondata e
va, pertanto, accolta.
E’ necessario, infatti,
tener conto della nozione di documento amministrativo accessibile fornito
dal legislatore del ’90 il quale, pur non procedendo, a differenza di
quello francese, ad un’elencazione tipologica degli atti ostensibili, ha
tuttavia fornito una definizione di carattere generale utile a perimetrare
sul versante oggettivo l’ambito di esperibilita’ del “diritto” di accesso.
L’art. 22, l. n. 241/90,
infatti, fa riferimento ad ogni rappresentazione grafica,
fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del
contenuto di atti anche interni, formati dalle pubbliche amministrazioni
o, comunque, utilizzati ai fini dell’attivita’ amministrativa.
La definizione fornita, in
uno alla doverosa considerazione della collocazione della disciplina in
punto di accesso in seno ad un piu’ ampio articolato normativo riguardante
l’attivita’ amministrativa e, nel dettaglio, il procedimento, induce ad
escludere che nei confini oggettuali dell’accesso possano rientrare atti
aventi carattere squisitamente processuale, quali, per l’appunto, la
memoria difensiva o la relazione medica presentate in giudizio dal
consulente di parte.
Non altrettanto puo’
ritenersi con riferimento al suindicato parere che, pure chiesto e
rilasciato al fine di condizionare la successiva condotta processuale
dell’Amministrazione, costituisce atto senz’altro amministrativo.
Con riferimento alla
memoria difensiva ed alla relazione medica presentati in giudizio
dall’INAIL va pertanto accolto l’appello e, per l’effetto, confermato
l’atto di diniego impugnato in primo grado.
4.3. Con l’ultima censura
e’ sottoposta al vaglio del Collegio la complessa e delicata problematica
afferente ai parametri di composizione del difficile rapporto tra esigenza
di disvelazione dei documenti amministrativi e necessita’ di apprestare
adeguata tutela alla sfera riservata dei soggetti ai quali si riferiscono
i dati contenuti negli atti di cui si invoca l’ostensione.
La soluzione della
specifica questione assume carattere decisivo nel valutare l’ostensibilita’
di tutta la documentazione per cui e’ causa, fatta eccezione di quella con
riguardo alla quale e’ stata esclusa la natura amministrativa sulla scorta
delle argomentazioni di cui al precedente punto 4.2.
Giova riassumere, in via
di estrema sintesi, le tappe fondamentali del dibattito registratosi
attorno alla questione indicata, da esaminare in modo diacronico,
distinguendo, in particolare, tre fasi evolutive, corrispondenti ai tre
fondamentali interventi normativi succedutisi sul punto: la l. n. 241/90,
la n. 675/96, il D. Lgs. n. 135/99.
Prima del varo della l. n.
675/96 -come noto volta ad approntare un’incisiva
tutela della riservatezza,
soprattutto per quel che attiene alla sfera piu’ intima costituita dai
c.d. dati sensibili- il bilanciamento tra accesso e riservatezza e tra i
sottesi valori e principi costituzionali, quelli, cioe’, di imparzialita’,
buon andamento dell’amministrazione e liberta’ di informazione, da un
lato, e di doveroso rispetto della dimensione intima della personalita’
(art. 2 Cost.), dall’altro, era direttamente ed espressamente risolto in
via generale ed astratta dalla previsione di cui all’art. 24, co. 2, lett.
d), della l. n. 241/90, fedelmente riprodotta dall’art. 8, cpv., del
relativo regolamento di esecuzione del 1992: a mente di tale disciplina,
infatti, l'accesso, pur teoricamente precluso allorche’ riguardante dati
riservati di terzi, persone, gruppi o imprese, va assicurato -nella meno
invasiva forma della visione, senza estrazione di copia- allorche’
necessario per la cura o difesa di interessi giuridici.
In linea, quindi, con
l’intonazione complessiva della disciplina dettata in tema di trasparenza
amministrativa dalla l. n. 241/90, volta alla “massimizzazione della
circolazione informativa”, la disciplina richiamata accorda prevalenza al
principio di pubblicita’ rispetto a quello di tutela della privacy,
consentendo l’accesso anche quando involgente dati riservati, sempre che
l’istanza ostensiva sia sorretta dalla necessita’ di difendere i propri
interessi e con il limite modale costituito dalla non percorribilita’
della via piu’ penetrante e potenzialmente lesiva dell’estrazione di copia
(cfr., in termini, Cons. Stato, Ad. Plen. 4 febbraio 1997, n. 5).
L’inequivoca formulazione
dell’esposta disciplina non dava adito a ragionevoli contrasti
interpretativi, prestando il fianco, piuttosto, come rimarcato in sede
dottrinale, a perplessita’ afferenti alla coniugabilita’ di quel quadro
normativo con l’impianto costituzionale, in specie con le disposizioni
della Grundnorm che impongono una doverosa ed incisiva tutela del
diritto di rango primario alla riservatezza.
Nel dettaglio, era stata
posta in luce la difficile armonizzabilita’ con il quadro costituzionale
di una scelta legislativa diretta a dare preferenza, in via astratta e
meccanica, ad uno dei due interessi in conflitto, quello cioe’ alla
conoscenza finalizzata all’esercizio del diritto di difesa, senza
lasciare spazio ad una ponderazione comparativa degli stessi, attenta alle
peculiarita’ del caso concreto.
Il panorama normativo si
evolve per effetto dell’entrata in vigore della l. n. 675/96 che, coniata
in un ben diverso clima politico e momento storico, e’ teleologicamente
orientata a contrarre al minimo la possibilita’ di incisioni della sfera
piu’ intima del singolo, anche quando le stesse possano derivare dal
dispiegarsi del principio di trasparenza della struttura amministrativa.
I dati normativi da
prendere in considerazione, in sede di ridefinizione della complessa
problematica che si esamina, sono fondamentalmente costituiti dalle
previsioni di cui agli artt. 27, co. 3, 22 e 43, co. 2, dell’ordito
normativo varato nel 1996.
L’art. 27, co. 3, l. n.
675/96, stabilisce che “la comunicazione e la diffusione di dati personali
da parte dei soggetti pubblici a privati o a enti pubblici economici sono
ammesse solo se previste da norme di legge o di regolamento”.
L’art. 22, specificamente
riguardante l’ipotesi in cui il trattamento abbia per oggetto quella
peculiare tipologia di dati personali costituita dai dati sensibili, in
quanto idonei a rivelare l’origine razziale ed etnica, le convinzioni
religiose, filosofiche o di altro genere, le opinioni politiche,
l’adesione a partiti, sindacati, associazioni o organizzazioni a carattere
religioso, politico o sindacale, ovvero lo stato di salute e la vita
sessuale, statuiva (prima dell’innovazione introdotta dal D. Lgs. n.
135/99) che il trattamento stesso “e’ consentito a patto che sia
autorizzato da specifica disposizione di legge nella quale siano indicati
i dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e le
rilevanti finalita’ di interesse pubblico perseguite o per adempiere o
esigere l’adempimento di obblighi specificamente imposti dalla legge”.
L’art. 43, co. 2, infine,
dispone che “restano ferme le … norme in materia di accesso ai documenti
amministrativi …”.
La capacita’ di tale
rinnovato quadro normativo di incidere in senso modificativo sui
suindicati equilibri delineati, con riguardo ai delicati rapporti tra
accesso e privacy, dalla l. n. 241/90 e’ stata al centro di un
vivace, e mai sopito, dibattito dottrinale e giurisprudenziale in seno al
quale si sono profilati due fondamentali ed alternativi scenari
interpretativi.
Da un lato, si e’
sostenuto che la l. n. 675/96 non ha apportato alcuna novita’ sul
previgente regime giuridico volto a comporre il rapporto tra accesso e
riservatezza, sicche’ il primo va in ogni caso garantito, ancorche’
riguardante dati riservati, con le sole esposte limitazioni indicate nella
pronuncia n. 5/97 dell’Adunanza plenaria in punto di legittimazione (necessita’
del dato da visionare ai fini della difesa) e di modalita’ (visione, senza
estrazione).
A conforto di tale opzione
ermeneutica si e’ ritenuto di valorizzare la clausola di salvaguardia
contenuta nel citato art. 43, l. 675/96, volta a far salve, come rilevato,
le norme in materia di accesso ai documenti amministrativi (cfr., T.A.R.
Abruzzo, sez. Pescara, 5 dicembre 1997, n. 681; C.d.S., sez. IV,15 gennaio
1998, n. 14, sez. IV, 27 agosto 1998, n. 1137; sez. VI, 27 gennaio 1999,
n. 65).
Su altro versante si
colloca, invece, l’indirizzo interpretativo diretto a riconoscere una
portata dirompente alla l. n. 675/96 rispetto alla previgente disciplina
dettata dalla l. n. 241/90 con riguardo ai rapporti tra accesso e
riservatezza, in specie quando ad entrare in relazione di conflittuale
interferenza siano le esigenze difensive sottese all’istanza ostensiva ed
il nucleo duro della privacy.
Come sostenuto da questa
stessa Sezione, infatti, anche a fronte di una domanda di ostensione di
documenti amministrativi, la comunicazione di dati personali deve aver
luogo nel rispetto delle condizioni dettate dal nuovo intervento
legislativo.
Nel dettaglio, allorche’
l’actio ad exhibendum abbia per oggetto documenti contenenti
dati “sensibili”, l’Amministrazione destinataria deve tener conto della
citata previsione di cui all’art. 22, co. 3, l. n. 675/96, in forza della
quale il trattamento di siffatta tipologia di notizie puo’ aver luogo
soltanto sulla base di “espressa disposizione di legge nella quale siano
specificati i dati che possono essere trattati, le operazioni eseguibili e
le rilevanti finalita’ di interesse pubblico perseguite”: con la
conseguenza, quindi, per cui, all’indomani del varo della l. n. 675/96,
“il diritto alla difesa prevale su quello alla riservatezza solo se una
disposizione di legge espressamente consente al soggetto pubblico di
comunicare a privati i dati oggetto della richiesta” (in termini, C.d.S.,
sez. VI, 26 gennaio 1999, n. 59).
Alla stregua di questo
differente indirizzo, quindi, si profila un regime a
doppio binario a seconda
che la richiesta ostensiva riguardi documenti contenenti i dati personali
ordinari di cui all’art. 27, l. n. 675/96 (nel qual caso trova
applicazione la disciplina di cui all’art. 24, co. 2, lett. d), l. n.
241/90, come ricostruita dall’Adunanza plenaria nella citata pronuncia n.
5/97), ovvero i dati sensibili ex art. 22 della legge del 1996: in
quest’ultimo caso, infatti, ed in attesa dell’intervento di quella
disciplina legislativa cui rinvia il richiamato art. 22, co. 3, l. n.
675/96, le ragioni della trasparenza amministrativa sono reputate
subvalenti rispetto a quelle di gelosa e rigorosa salvaguardia della
privacy, ancorche’ sia chiamato in causa il fondamentale principio di
cui all’art. 24 Cost.
Quest’ultima opzione
ricostruttiva, per vero sorretta da piu’ attenta lettura sistematica e
teleologica delle discipline tratteggiate in punto di rapporti tra accesso
e privacy dalle ll. nn. 241/90 e 675/96, e’ parsa prestare il
fianco ai medesimi rilievi critici in passato mossi, sia pure a
contrario, con riferimento al precedente quadro normativo.
Ed invero, se il
legislatore del ‘90 ha operato un bilanciamento tra i due contrapposti
interessi in gioco volto a dare prevalenza, in via aprioristica e
meccanicistica, alle ragioni della conoscenza finalizzata all’esercizio
del diritto di difesa rispetto a quelle di salvaguardia del patrimonio
piu’ intimo del singolo, il legislatore del ’96, per contro, sembra essere
incorso in un’opposta rigidita’ normativa finendo per sottrarre
all’accesso, in modo altrettanto assoluto, i dati sensibili per i quali
manchi una apposita regolamentazione primaria legittimante il trattamento.
Orbene, l’opzione per una
differente ed auspicata soluzione normativa del conflitto tra i due
contrapposti interessi, diretta ad evitare bilanciamenti rigidamente
astratti e a rimettere il compito alla cauta ed equilibrata comparazione
della stessa amministrazione destinataria dell’istanza ostensiva, sembra
essere stata, invece, abbracciata -con specifico riguardo ai dati idonei a
rivelare lo stato di salute e la vita sessuale- dal D. Lgs. n. 135/99,
diretto, per l’appunto, ad integrare la previsione di cui al citato art.
22, co. 3, l. n. 675/96.
Con specifico riguardo ai
dati sensibili idonei a rivelare lo stato di salute (ossia quelli
cui ha riguardo l’istanza di accesso rigettata con il provvedimento
impugnato nella presente vicenda processuale),l’art. 16, co. 2, statuisce
che il relativo trattamento “e’ consentito se il diritto da far valere o
difendere, di cui alla lett. b) del comma 1, e’ di rango almeno pari a
quello dell’interessato”.
Si tratta di previsione
con la quale, nell’integrare con specifico riferimento ai dati afferenti
allo stato di salute ed alla vita sessuale la previsione di cui al citato
art. 22, co. 3, l. n. 675/96, si ripropone quel parametro comparativo gia’
utilizzato dal comma 4° della disposizione da ultimo citata in sede di
disciplina del trattamento di siffatta tipologia di dati da parte di
soggetti non pubblici: questa disposizione, infatti, subordina il
trattamento alla condizione che lo stesso “sia necessario a far valere o
difendere in sede giudiziaria un diritto di rango pari a quello
dell’interessato”, oltre che alla preventiva autorizzazione del Garante (cfr.,
per un’incisiva e critica interpretazione di tale disposizione, Trib.
Bari, ord. 12 luglio 2000, in Foro it., 2000, I, 2989).
Il legislatore ha
ritenuto, quindi, di dettare una regolamentazione ad hoc per quella
specifica categoria di dati sensibili che, idonei a rivelare lo stato di
salute dell’interessato, richiedono una rafforzata garanzia di adeguata
protezione, senza che cio’ implichi, peraltro, la relativa sottrazione ad
ogni forma di disvelazione: non va obliterato, infatti, che si tratta di
dati per loro natura oggetto di frequente utilizzazione in sede
giudiziaria e, piu’ in generale, aventi una “naturale propensione alla
circolazione ed al trattamento”.
Preliminarmente, il
Collegio ritiene necessario sottoporre ad analisi la questione
dell’effettivo ambito applicativo della succitata previsione: si impone,
quindi, una piu’ complessiva lettura dell’art. 16, l. n. 135/99.
Come noto, il primo comma
definisce di rilevante interesse pubblico, ai sensi dell’art. 1 della
stessa legge, i trattamenti di dati:
-
volti all’applicazione
delle norme in materia di sanzioni amministrative e ricorsi;
-
necessari per far valere
il diritto di difesa in sede amministrativa o giudiziaria, anche da
parte di un terzo, o per cio’ che attiene alla riparazione di un errore
giudiziario o di un’ingiusta restrizione della liberta’ personale;
-
effettuati in
conformita’ alle leggi e ai regolamenti per l’applicazione della
disciplina sull’accesso ai documenti amministrativi.
La riportata disposizione,
in specie alle lett. b) e c), pare consentire, quindi, alle
amministrazioni i trattamenti necessari per assicurare l’accesso ai
soggetti che ne abbiano diritto alla stregua dell’assetto normativo
tracciato dalla disciplina di base in punto di ostensione dei documenti
amministrativi.
Ne consegue la prevalenza
del diritto di accesso (ancorche’ nella forma meno incisiva della sola
visione, senza estrazione di copia) sulla riservatezza, anche intesa nel
suo nucleo piu’ intimo costituito dai dati sensibili: ovviamente a
condizione che la conoscenza degli stessi sia necessaria per provvedere
alla cura o difesa di interessi giuridici.
Il comma secondo dello
stesso art. 16, nell’enucleare le condizioni legittimanti il trattamento
di quella peculiare tipologia di dati sensibili connotati dall’idoneita’ a
rivelare lo stato di salute o la vita sessuale, richiama la lett. b) del
precedente comma, non anche la lett. c), come noto riguardante in modo
espresso la materia dell’accesso.
Non ignora il Collegio che
siffatta formulazione ha gia’ indotto, in ambito dottrinale ed in sede
istituzionale, a ritenere che l’accesso ai documenti amministrativi
contenenti siffatta categoria di dati sensibili debba restare sottratto
alla sfera di efficacia del citato art. 16, comma 2, continuando ad essere
regolamentato dall’originaria disciplina delineata dalla l. n. 241/90.
L’assunto non puo’,
tuttavia, essere condiviso sulla scorta di una lettura sistematica e
teleologica del descritto quadro normativo.
In primo luogo, preme
porre in risalto le esigenze sottese alla formulazione di un’autonoma
previsione normativa riguardante il trattamento dei dati involgenti la
salute e la vita sessuale: esigenze da individuare nella particolare
natura di tali elementi di conoscenza e nella spiccata potenzialita’
lesiva naturalmente insita nelle prospettabili modalita’ di relativo
trattamento, compresa ogni forma di comunicazione e divulgazione.
L’avvertita necessita’ di
una piu’ incisiva protezione dell’indicata categoria di dati ha indotto il
legislatore, quindi, a subordinare ogni forma di trattamento ad una previa
valutazione diretta a verificare che la relativa conoscenza sia
necessaria, non gia’ genericamente all’esercizio del diritto di difesa,
bensi’ alla cura o difesa di un diritto di “rango almeno pari a quello
dell’interessato”: la disvelazione del dato non e’ automaticamente imposta
per il solo fatto che lo stesso risulti necessario all’esercizio del
diritto di cui all’art. 24 Cost., ma presuppone, al contrario, una
ponderazione comparativa dei diritti antagonisti.
Tali essendo le ragioni
che hanno indotto il legislatore del 1999 ad introdurre una piu’ rigorosa
e restrittiva regolamentazione del trattamento di dati idonei a rivelare
lo stato di salute o la vita sessuale, pare singolare che si sia inteso
trascurarle proprio in sede di disciplina di un’attivita’ divulgativa
-quale e’ quella con la quale l'Amministrazione assicura l’ostensione dei
documenti amministrativi- particolarmente idonea a sortire un effetto di
grave compromissione degli interessi salvaguardati.
D’altra parte, il dato
testuale si presta ad una differente opzione interpretativa, senz’altro
piu’ coerente con l’esposta lettura teleologica del nuovo panorama
normativo.
Ed invero, il riferimento,
contenuto nell’art. 16, comma 2, alla sola lett. b) del comma 1, non
induce di per se’ ad escludere l’intera materia dell’accesso ai documenti
amministrativi (cui espressamente si riferisce la lett. c dello stesso
comma 1) dal raggio applicativo della piu’ rigorosa disciplina dettata con
riguardo ai dati involgenti la salute e la vita sessuale.
Ed invero, un’opportuna
interpretazione sistematica e teleologica delle citate disposizioni
consente di ricostruire i rapporti tra le previsioni di cui alle lett. b)
e c), non gia’ in termini di alternativita’, bensi’ di mera
specificazione; mentre la previsione contenuta alla lett. b), infatti,
enuncia un principio di carattere generale, concernente ogni ipotesi di
trattamento, la successiva lett. c) vale a garantirne l’operativita’ anche
con riferimento a quella peculiare tipologia di trattamento costituita
dall'attivita’ volta a garantire l’accesso ai documenti amministrativi.
Tale ricostruzione, in uno
alla considerazione delle finalita’ perseguite con la distinta previsione
di cui all’art. 16, comma 2, consente di ritenere, quindi, che il
riferimento in quest’ultima contenuto alla sola lett. b) del comma
precedente non valga affatto a sottrarre la materia dell’accesso
dall’ambito operativo della specifica regolamentazione dettata in tema di
dati afferenti alla salute ed alla vita sessuale.
Pare corretto sostenere,
quindi, che con il riferimento alla lett. b) del comma 1, il comma 2 della
stessa disposizione abbia inteso avere riguardo ad ogni forma di
trattamento resa necessaria per l’esercizio del diritto di difesa, anche
quindi a quella diretta a soddisfare istanze di ostensione di documenti
amministrativi: costituendo, quest’ultima, una mera species, non si
e’ avvertita la necessita’ di un esplicito richiamo.
Cio’ chiarito, e’
possibile passare all’individuazione dell’effettiva portata precettiva
dell’art. 16, comma 2, L. n. 135/99.
Applicato alla materia
dell’accesso ai documenti amministrativi, il citato art. 16, co. 2, l. n.
135/99, quindi, lungi dal risolvere in astratto il frequente conflitto tra
ansia di conoscenza e protezione di quel nocciolo duro della privacy
costituito dai dati afferenti allo stato di salute, rimette alla
ponderazione comparativa e concreta della stessa Amministrazione, ed in
sede di controllo del Giudice, la soluzione dell’aspro contrasto:
nell’indicare il parametro alla stregua del quale il bilanciamento deve
essere caso per caso effettuato, la citata previsione normativa dispone
che alla disvelazione del dato involgente lo stato di salute e’ consentito
addivenire a condizione che la stessa sia necessaria per far valere o
difendere un diritto "di rango almeno pari a quello dell'interessato”.
Il dubbio interpretativo
centrale innescato dalla indicata statuizione legislativa attiene alla
individuazione del criterio da seguire nell’effettuare la richiesta
valutazione comparativa: ed invero, in disparte la constatazione delle non
lievi difficolta’ pratiche registrabili in sede di ricostruzione della
scala gerarchica dei diritti antagonisti, occorre verificare se nel
suddetto impegno ponderativo ci si debba cimentare procedendo ad una
valutazione in astratto ovvero in concreto degli interessi in gioco.
Il Collegio -pur
consapevole dell’apparente coerenza della prima delle indicate opzioni
ermeneutiche con la testuale formulazione della disposizione nella parte
in cui fa riferimento al “rango” dei diritti da comparare- ritiene
corretta, ragionevole ed opportuna la seconda delle indicate prospettive
interpretative, la sola idonea ad evitare il rischio di soluzioni
precostituite poggianti su una astratta scala gerarchica dei diritti in
contesa, non sempre, tuttavia, idonea a tener conto delle specifiche
circostanze di fatto destinate a connotare il singolo caso concreto.
Non puo’ certo escludersi,
infatti, che proprio in considerazione delle peculiarita’ del caso di
specie la valutazione comparativa demandata all’autorita’ amministrativa
sia in grado di giungere ad una reale graduazione tra posizioni o
interessi astrattamente ed apparentemente equiordinati o si concluda con
un ribaltamento dei rapporti di forza aprioristicamente ipotizzati.
Con maggiore impegno
esplicativo, ben puo’ verificarsi che la concreta operazione comparativa
finisca per consentire il trattamento pur a fronte di un’istanza ostensiva
sorretta dall’esigenza di far valere in giudizio un diritto, astrattamente
subvalente rispetto a quello della riservatezza, ma concretamente
prevalente atteso il grado minimo di effettivo coinvolgimento della
dignita’ e della privacy dell’interessato.
L’adesione ad un
differente approccio, diretto a preferire una valutazione astratta dei
valori in contesa, finirebbe, del resto, per fornire all’interessato un
troppo agevole strumento per trincerarsi dietro l’astratta qualificazione
del duo diritto come diritto della personalita’, con conseguente ingiusta
vulnerazione del diritto contrapposto.
Se e’ vero, dunque, che,
alla stregua della chiara formulazione dell’art. 16, co. 2, l. n. 241/90,
non e’ piu’ consentito affermare la finalizzazione dell’istanza ostensiva
al corretto esercizio del diritto di difesa perche’ possa essere superato
lo scoglio della riservatezza allorche’ siano coinvolti dati afferenti
alla salute, occorrendo aver riguardo alla tipologia del diritto da far
valere in sede giudiziaria, e’ altrettanto vero, tuttavia, che al
bilanciamento tra quello stesso diritto e la privacy si deve
procedere con una valutazione attenta alle peculiarita’ della specifica
vicenda portata all’attenzione dell’Amministrazione in prima battuta, del
Giudice adito ex art. 25, l. n. 241/90, in sede di controllo.
4.4.1. Facendo
applicazione delle percorse coordinate ermeneutiche al caso di specie, il
Collegio non puo’ che disattendere la censura mossa nell’ultimo
motivo di appello,
confermando in parte qua la sentenza gravata.
Giova ribadire che il
Giudice di prime cure ha sostenuto, al riguardo, che le condizioni di
salute di Pacifico Salvatore “costituiscono l’oggetto di distinto ed
autonomo giudizio” nel quale la Paravia s.r.l. “tende ad apprestare la
migliore difesa possibile (tutelando cosi’ un suo diritto) su un tema
messo sul tappeto appunto dal soggetto della cui salute si discute”: ad
avviso dei Giudici salernitani, quindi, i due contrapposti interessi
risultano “di pari rango alla luce della situazione di fatto venutasi a
creare”.
L’apparato motivazionale
seguito nella sentenza appellata sembra, quindi, fare coerente uso di quel
metodo di valutazione concreta degli interessi in gioco che, come
rilevato, va senz’altro preferito in sede di applicazione del citato art.
16, co. 2, l. n. 135/99.
Non puo’ obliterarsi,
infatti, che nel caso di specie, se e’ vero, certo, che l’accesso e’ stato
richiesto nella prospettiva di un pieno esercizio del diritto di difesa in
seno ad un giudizio di tipo risarcitorio, nel quale sono prevalentemente
in gioco, dunque, posizioni di tipo patrimoniale, e’ vero anche, d’altra
parte, che il rischio di compromissione della sfera riservata del Pacifico
e’ oltre modo ridotto: si consideri, infatti, che tra i titolari dei
diritti confliggenti nella vicenda amministrativa innescata dall’esercizio
dell’actio ad exhibendum e’ gia’ in corso di svolgimento un
giudizio nel quale lo stesso Pacifico ha azionato una pretesa patrimoniale
avente la sua premessa proprio nella ritenuta natura professionale della
malattia dallo stesso contratta.
Lo stato di salute
dell’odierno controinteressato costituisce, quindi, il fondamento stesso
dell’azione spiegata in giudizio avverso la Paravia s.r.l., sicche’ non
puo’ certo mettersi in dubbio, alla stregua di una valutazione in
concreto, attenta alle peculiarita’ della specifica vicenda in esame, il
carattere davvero minimo del grado di coinvolgimento della dignita’ e
della privacy del Pacifico.
Diversamente opinando, si
farebbe luogo ad una irragionevole e del tutto ingiustificata compressione
del diritto sotteso alla domanda ostensiva: diritto, peraltro, che, pur
presentando natura patrimoniale, si presenta connesso ad altri valori non
privi di copertura costituzionale, quale quello della liberta’ di
iniziativa economica, potenzialmente compromesso da un esito ingiustamente
sfavorevole del suddetto giudizio risarcitorio.
-
Alla stregua delle
suesposte argomentazioni l’appello va parzialmente accolto con
conseguente riforma della sentenza gravata.
L’INAIL dovra’, dunque,
consentire alla Pacifico Elevators’ Service s.r.l. la visione di tutta la
documentazione di cui alla rigettata istanza ostensiva, ad eccezione della
memoria difensiva e della relazione del medico di parte INAIL presentate
dallo stesso Istituto nel giudizio celebrato innanzi al Pretore di Nola.
Sussistono giustificate
ragioni per compensare tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, in parziale accoglimento
dell’appello, riforma la sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale
per la Campania, II Sezione di Salerno, n. 642 del 2 novembre 2000 e
ordina all’INAIL –sede di Salerno- di consentire alla Pacifico Elevators’
Service s.r.l. la visione di tutta la documentazione per cui e’ causa, ad
eccezione della memoria difensiva e della relazione del medico di parte
INAIL presentate dallo stesso Istituto nel giudizio celebrato innanzi al
Pretore di Nola.
Dichiara compensate tra le parti le
spese del doppio grado di giudizio.
Ordina che la presente decisione sia
eseguita dall'Autorita’ amministrativa.
Cosi’ deciso in Roma, il 12 gennaio
2001 dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale - Sez.VI - nella
Camera di Consiglio, con l'intervento dei Signori:
Giorgio GIOVANNINI Presidente
Sergio SANTORO Consigliere
Paolo NUMRICO Consigliere
Luigi MARUOTTI Consigliere
Roberto GAROFOLI Consigliere
Presidente
Consigliere est Segretario
DEPOSITATA IN SEGRETERIA
il.....................................
(Art. 55, L.27/4/1982, n.186)
Il Direttore della Sezione
CONSIGLIO DI STATO
In Sede Giurisdizionale (Sezione Sesta)
Addi’........................................copia conforme alla presente
e’ stata trasmessa
al
Ministero..............................................................................................
a norma dell'art. 87 del Regolamento di Procedura 17 agosto 1907 n.642
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