ORDINANZA N. 223
ANNO 2002
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO
ITALIANO
LA CORTE
COSTITUZIONALE
composta dai
signori:
- Massimo VARI
Presidente
- Riccardo CHIEPPA
Giudice
- Gustavo
ZAGREBELSKY "
- Valerio ONIDA "
- Carlo MEZZANOTTE
"
- Guido NEPPI
MODONA "
- Piero Alberto
CAPOTOSTI "
- Annibale MARINI
"
- Franco BILE "
- Giovanni Maria
FLICK "
- Francesco
AMIRANTE "
ha pronunciato la
seguente
ORDINANZA
nel giudizio di
legittimita’ costituzionale dell’art. 117, comma 1, del codice di
procedura penale (Richiesta di copia di atti e di informazioni da parte
del pubblico ministero), dell’art. 25, comma 5, della legge 7 agosto 1990,
n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto
di accesso ai documenti amministrativi), e dell’art. 44, primo comma, del
r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul
Consiglio di Stato), promosso con ordinanza del 28 settembre 2000 dal
Tribunale amministrativo regionale per la Campania, iscritta al n. 67 del
registro ordinanze 2001 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell’anno 2001.
Visti l’atto di
costituzione di Raffaele Sica nonche’ l’atto di intervento del Presidente
del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza
pubblica del 12 marzo 2002 il Giudice relatore Valerio Onida;
uditi l’avvocato
Marco Cocilovo per Raffaele Sica e l’avvocato dello Stato Ignazio F.
Caramazza per il Presidente del consiglio dei ministri.
Ritenuto che, con
ordinanza del 28 settembre 2000, pervenuta a questa Corte l’11 dicembre
2000, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania ha sollevato
questione di legittimita’ costituzionale, in riferimento agli articoli 3,
24 e 113 della Costituzione: a) dell’art. 117, comma 1, del codice di
procedura penale (Richiesta di copia di atti e di informazioni da parte
del pubblico ministero), "nella parte in cui non prevede che il giudice
amministrativo possa ottenere dall’autorita’ giudiziaria competente, anche
in deroga al divieto stabilito dall’art. 329 cod. proc. pen., copie di
atti relativi a procedimenti penali e informazioni scritte sul loro
contenuto, quando e’ necessario per il compimento di indagini istruttorie
nel processo amministrativo"; b) dell’art. 25, comma 5, della legge 7
agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo
e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), "nella parte in cui
non prevede la possibilita’ per il giudice amministrativo di acquisire
atti ed informazioni dall’autorita’ giudiziaria competente, ai sensi
dell’art. 117 cod. proc. pen., quando e’ necessario per la decisione di
controversie in materia di accesso"; c) dell’art. 44, primo comma, del
r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione del testo unico delle leggi sul
Consiglio di Stato), "nella parte in cui non prevede la possibilita’ per
il giudice amministrativo di acquisire atti ed informazioni dall’autorita’
giudiziaria competente, ai sensi dell’art. 117 cod. proc. pen., quando e’
necessario per l’istruttoria di una causa rientrante nella giurisdizione
del giudice amministrativo";
che il Tribunale
remittente espone che il ricorrente, ufficiale dell’Arma dei carabinieri,
aveva chiesto l’accesso ai documenti relativi al procedimento di revoca
della assegnazione dello stesso ricorrente alla Direzione investigativa
antimafia, revoca che e’ oggetto di altri giudizi pendenti davanti al
giudice amministrativo; che l’istanza di accesso era stata accolta, ma
escludendo, mediante l’apposizione di "omissis", parti di documenti,
costituite da relazioni indirizzate dall’amministrazione all’Avvocatura
dello Stato in merito al contenzioso proposto dal ricorrente contro la
revoca della propria assegnazione alla Direzione investigativa antimafia;
che l’amministrazione aveva negato l’accesso a tale parte di
documentazione invocando il segreto di indagine di cui all’art. 329 cod.
proc. pen.; che il ricorrente ha proposto ricorso per l’annullamento del
diniego parziale di accesso e per il riconoscimento del relativo diritto;
che la difesa dell’amministrazione ha obiettato che il diritto di accesso
vantato dal ricorrente troverebbe ostacolo nella sottrazione all’accesso
della categoria di documenti indicati dall’art. 3, comma 1, lettera d, del
decreto del Ministro dell’interno 10 maggio 1994, n. 415, emanato sulla
base dell’art. 24, comma 4, della legge n. 241 del 1990, vale a dire degli
"atti e documenti concernenti l’organizzazione ed il funzionamento dei
servizi di polizia, ivi compresi quelli relativi all’addestramento,
all’impiego ed alla mobilita’ del personale delle Forze di polizia,
nonche’ i documenti sulla condotta dell’impiegato rilevanti ai fini di
tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica e quelli relativi ai
contingenti delle Forze armate poste a disposizione dell’autorita’ di
pubblica sicurezza", mentre, a dire della stessa difesa, il richiamo
all’art. 329 cod. proc. pen. sarebbe stato operato dall’amministrazione in
via cautelativa e, se pure improprio, non invaliderebbe il rifiuto di
accesso, che troverebbe comunque fondamento nel citato decreto
ministeriale;
che il remittente
reputa di dover decidere sul ricorso proposto in base al contenuto
dell’atto impugnato e ai motivi dedotti, senza riguardo ad argomentazioni
ad esso estranee che vengano allegate in sede di giudizio;
che, secondo il
giudice a quo, la documentazione esistente in giudizio non consentirebbe
di risolvere la controversia stabilendo se gli atti cui e’ stato negato
l’accesso siano o meno qualificabili come "atti di indagine della polizia
giudiziaria", onde sarebbe necessario un adempimento istruttorio;
che, tuttavia,
secondo lo stesso giudice, nessuno degli strumenti istruttori previsti
dall’ordinamento processuale amministrativo sarebbe idoneo a verificare la
sussistenza del presupposto asserito dall’amministrazione, in quanto
l’esecuzione dell’incombente istruttorio determinerebbe essa stessa la
violazione dell’obbligo di segreto, se esistente, e il giudice
amministrativo sarebbe escluso dalla possibilita’ di venire a conoscenza
di atti coperti da segreto di indagine: onde il giudice, allo stato, non
potrebbe ne’ accogliere il ricorso, ne’ respingerlo, ne’ esercitare il
potere istruttorio;
che il remittente
osserva come deroghe al segreto istruttorio sarebbero previste dall’art.
117 del codice di procedura penale, ai cui sensi, quando e’ necessario per
il compimento delle proprie indagini, il pubblico ministero puo’ ottenere
dall’autorita’ giudiziaria competente, anche in deroga al divieto di cui
all’art. 329 cod. proc. pen., copie di atti relativi ad altri procedimenti
e informazioni scritte sul loro contenuto, salva la potesta’ dell’autorita’
giudiziaria, destinataria della richiesta, di respingerla con decreto
motivato;
che l’art. 117 cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevede analoga possibilita’ in capo al
giudice amministrativo, allo scopo di verificare la sussistenza stessa e
la portata dell’obbligo di segreto, sarebbe in contrasto: con l’art. 24,
primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto comporterebbe uno
squilibrio tra le parti del processo amministrativo e in definitiva
impedirebbe la tutela delle posizioni giuridiche lese in base a
presupposti di fatto non dimostrati e non dimostrabili; con l’art. 113
della Costituzione, in quanto l’impossibilita’ di accertamenti istruttori
renderebbe nella sostanza non sindacabile in sede giurisdizionale il
diniego di accesso almeno per quanto attiene alla deduzione del vizio di
eccesso di potere per errore sui presupposti o per travisamento dei fatti;
con l’art. 3, primo comma, della Costituzione, non sembrando ragionevole
che si consenta una deroga ai precetti dell’art. 329 del codice di
procedura penale solo per necessita’ connesse all’esercizio della
giustizia penale e non anche per altre esigenze di giustizia, aventi pari
valore, sempre che non vi siano pregiudizi per l’attivita’ investigativa,
e perche’ vi sarebbe una ingiustificata disparita’ di trattamento dei
soggetti destinatari di atti emanati da autorita’ amministrative investite
anche di compiti di polizia giudiziaria;
che, per gli stessi
motivi, i dubbi di costituzionalita’ investirebbero altresi’ l’art. 25,
comma 5, della legge n. 241 del 1990 – che disciplina i ricorsi
giurisdizionali contro le determinazioni concernenti il diritto di accesso
–, e l’art. 44, primo comma, del testo unico delle leggi sul Consiglio di
Stato (applicabile anche nei giudizi davanti ai tribunali amministrativi
regionali) – che disciplina i poteri istruttori del giudice amministrativo
–, nella parte in cui non prevedono la possibilita’ per il giudice
amministrativo di acquisire atti e informazioni dall’autorita’ giudiziaria
competente, ai sensi dell’art. 117 del codice di procedura penale e in
deroga al divieto di cui all’art. 329 dello stesso codice;
che si e’ costituito
in giudizio il ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che le
disposizioni impugnate siano dichiarate costituzionalmente illegittime;
che e’ intervenuto il
Presidente del Consiglio dei ministri, secondo il quale la questione
sarebbe inammissibile per difetto di rilevanza o di motivazione sulla
rilevanza, in quanto il segreto di indagine e’ solo temporaneo, e dunque
impedirebbe l’accesso solo temporaneamente, analogamente a quanto avviene
con l’esercizio del potere dell’amministrazione di differire l’accesso
quando la conoscenza dei documenti possa ostacolare gravemente lo
svolgimento dell’azione amministrativa (art. 24, comma 6, della legge n.
241 del 1990), e nella specie non sarebbe prevista ne’ dedotta una tutela
immediata dell’interesse all’accesso; la questione sarebbe comunque
infondata.
Considerato che – a
parte la discutibile affermazione del giudice a quo (incidente sulla
rilevanza della questione), secondo cui, pur ammettendosi in sostanza
dalla stessa difesa dell’amministrazione che, nella specie, il richiamo al
segreto di indagine potrebbe essere improprio, trovando il diniego di
accesso asserito fondamento in altra previsione normativa, egli si
dovrebbe pronunciare in base alla motivazione addotta nell’atto di diniego
– nell’ordinanza di rimessione non si tengono adeguatamente distinti due
ordini di problemi: quello dei limiti di conoscibilita’, da parte del
giudice amministrativo, del contenuto di atti coperti da segreto, nella
specie da (ipotetico) segreto di indagine, e quello degli strumenti
attraverso i quali il giudice amministrativo puo’ verificare la fondatezza
dei motivi addotti dall’amministrazione a fondamento di un diniego di
accesso a documenti. Su quest’ultimo piano, infatti, il giudice
amministrativo ben puo’ esperire le indagini istruttorie eventualmente
necessarie, interpellando sia l’amministrazione che ha negato l’accesso ai
documenti, sia altre amministrazioni, sia autorita’ giudiziarie, quanto
meno al fine di acquisire informazioni circa l’esistenza di indagini
penali in atto, i loro estremi e la riferibilita’ ad esse di atti in
possesso dell’amministrazione, e chiedendo "schiarimenti o documenti" o
ordinando "nuove verificazioni" (art. 44, primo comma, r.d. n. 1054 del
1924); mentre i limiti di accesso alla conoscenza di atti coperti da
segreto dipendono dalla disciplina sostanziale del segreto medesimo;
che l’art. 117 del
codice di procedura penale, su cui si appuntano le censure del remittente,
riguarda l’ambito e la portata del segreto di indagine, e la previsione di
deroghe a tale segreto, in favore di altri uffici del pubblico ministero,
i quali intendano avvalersi degli atti ai fini delle loro indagini: esso
e’ volto a soddisfare finalita’, tutte interne all’attivita’ di indagine
penale, e non comparabili con interessi esterni che possano in qualsiasi
modo essere avvantaggiati o pregiudicati dalla (temporanea) non
conoscibilita’ degli atti coperti da segreto;
che, dunque, il
procedimento previsto dall’art. 117 cod. proc. pen. non si presta in alcun
modo ad essere esteso, come vorrebbe il remittente, ad ipotesi del tutto
estranee alla sua ratio;
che, peraltro, il
giudice a quo nemmeno si pone il problema – suscettibile in ipotesi di
avere riflessi sull’interesse sostanziale all’accesso ai documenti, in
relazione al contenzioso in funzione del quale tale accesso e’ richiesto –
dei limiti di utilizzabilita’ da parte dell’amministrazione, ai fini
dell’adozione di provvedimenti incidenti negativamente sullo status di un
dipendente, di atti o informazioni sui quali, in forza di obblighi di
segreto, non possa, in ipotesi, realizzarsi il contraddittorio (cfr., in
argomento, sentenza
n. 460 del 2000);
che, alla luce delle
considerazioni svolte, la questione di legittimita’ costituzionale
dell’art. 117 cod. proc. pen. si palesa manifestamente inammissibile;
che le altre
questioni, concernenti rispettivamente l’art. 25, comma 5, della legge n.
241 del 1990 e l’art. 44, primo comma, del r.d. n. 1054 del 1924, non
hanno autonomia rispetto alla prima questione proposta, risolvendosi nella
richiesta di introduzione, nell’ambito dei procedimenti decisori e
istruttori ivi previsti, del procedimento regolato dall’art. 117 cod. proc.
pen.: e dunque si palesano pur esse manifestamente inammissibili.
PER QUESTI MOTIVI
LA CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara la manifesta
inammissibilita’ delle questioni di legittimita’ costituzionale dell’art.
117, comma 1, del codice di procedura penale (Richiesta di copie di atti e
di informazioni da parte del pubblico ministero), dell’art. 25, comma 5,
della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento
amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), e
dell’art. 44, primo comma, del r.d. 26 giugno 1924, n. 1054 (Approvazione
del testo unico delle leggi sul Consiglio di Stato), sollevate, in
riferimento agli articoli 3, 24 e 113 della Costituzione, dal Tribunale
amministrativo regionale per la Campania con l’ordinanza in epigrafe.
Cosi’ deciso in Roma,
nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22
maggio 2002.
Massimo VARI,
Presidente
Valerio ONIDA,
Redattore
Depositata in
Cancelleria il 29 maggio 2002.
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