ATTI DI LIBIDINE IN DANNO DI MINORE DI ANNI 14 COMMESSI DA INSEGNANTE PRIVATO Cassazione Penale Sezioni Unite - Sent. n. 13 05/07/00 Presidente A.Vessia - Relatore P. Onorato SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE 1. Con ordinanza del 1.3.1999 il G.I.P. del Tribunale di Biella disponeva misura carceraria a carico di A. B., indagato per i seguenti reati: a) articoli 81 c.p.v., 609bis e 609ter n. 1 c.p. (perché, con abuso dell’autorità di insegnante di sostegno, aveva costretto il minore di anni tredici (omissis) a subire atti sessuali e a compiere atti sessuali sulla sua persona), b) articoli 600ter, comma 1, e 600sexies, commi 1 e 2, c.p. (perché aveva sfruttato il predetto minorenne al fine di realizzare e produrre materiale pornografico). 2. Su istanza dell’indagato, il tribunale per il riesame di Torino, con ordinanza del 19-23.3.1999, ritenuti sussistenti gravi indizi di colpevolezza in ordine al reato di cui agli articoli 81 c.p.v, 609quater, comma 1, n. 2 e 609septies, commi 1 e 4, n. 2, così riqualificato il fatto sub a), e ritenuta esistente l’esigenza cautelare di cui all’articolo 274 lett. c) c.p.p (esclusa invece quella di cui alla lettera a) dello stesso articolo 274), disponeva la sostituzione della misura carceraria con quella degli arresti domiciliari. Osservava il tribunale che al B. i genitori del minore avevano affidato l’incarico di insegnante privato del figlio; che per conseguenza nessun rapporto autoritativo di tipo giuridico era intercorso tra il B. stesso e il (omissis) e quindi non ricorreva l’abuso di autorità di cui all’articolo 609bis c.p.; che inoltre non risultava nessuna costrizione, essendo gli atti sessuali tra i due caratterizzati dal consenso del minore, sia pure viziato dalla sua età inferiore ai quattordici anni; che peraltro ricorreva il reato di cui all’articolo 609quater, perseguibile d’ufficio ex articolo 609septies, comma 4, n. 2, posto che gli atti sessuali erano stati commessi da persona cui il minore era stato affidato per ragioni di istruzione. Il giudice del riesame aggiungeva inoltre che esulava il reato di pornografia minorile (articolo 600ter, comma 1), posto che le fotografie pornografiche raffiguranti il minore nudo e con il pene in erezione, sostanzialmente ammesse dallo stesso indagato, erano state pacificamente realizzate non per fine di lucro, ma per ragioni affettive o libidinose, mentre la norma incriminatrice richiede uno sfruttamento del minore per fine di lucro o comunque con ricaduta economica. Quanto alle esigenze cautelari, l’ordinanza riteneva sussistere il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie, considerate le notorie inclinazioni sessuali dell’indagato, mentre escludeva il rischio di inquinamento probatorio. Concludeva ritenendo sufficiente a contrastare l’esigenza cautelare suddetta la misura meno affittiva degli arresti domiciliari. 3. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione il procuratore presso il Tribunale di Biella, deducendo erronea interpretazione dell’articolo 600ter, comma 1, c.p., nonché mancanza e manifesta illogicità di motivazione in ordine alla riqualificazione giuridica del fatto di cui al capo a). In particolare, col primo motivo, il ricorrente sostiene che il reato di cui al citato articolo 600ter è integrato dallo sfruttamento dei minori di anni diciotto per realizzare esibizioni pornografiche o per produrre materiale pornografico, indipendentemente dal fine di lucro. Infatti, la norma, richiamandosi alla Convenzione di New York sui diritti del fanciullo, ha inteso tutelare il diritto dei minori a un libero e naturale sviluppo fisico, psicologico, spirituale e morale; sicché il termine di sfruttamento deve intendersi come impiego di minori per fini pornografici, giacché «impiegare i minori al fine di produrre esibizioni pornografiche significa sfruttarli». Col secondo motivo, il ricorrente sostiene che l’abuso di cui all’articolo 609bis c.p. non deve necessariamente concretarsi in una costrizione fisica, ma ricorre quando l’agente approfitti delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa, indipendentemente dall’esistenza di una malattia psichica in quanto tale. Aggiunge che l’ordinanza impugnata è incorsa in manifesta illogicità laddove, da una parte ha escluso l’esistenza di un rapporto autoritativo, e dall’altra ha ritenuto un rapporto fiduciario tra l’indagato e il minore ai sensi dell’articolo 609quater n. 2 c.p.. 4. Il ricorso è stato assegnato alla terza sezione della Corte ed esaminato alla udienza camerale del 3 dicembre 1999. In esito alla discussione, la Corte, rilevata la «particolare importanza e novità della questione e l’esigenza di evitare disparità di indirizzi già manifestatisi nella discussione sul caso, in una materia tanto delicata» ha rimesso il gravame alle Sezioni unite in ordine alla interpretazione dell’articolo 600ter, primo comma, c.p., sottolineando gli argomenti che – a suo parere – militano a favore della tesi che esclude la necessità del fine di lucro. Il primo presidente aggiunto ha assegnato il ricorso alle Sezioni unite, fissando la presente udienza per la decisione. 5. Col primo motivo il pubblico ministero ricorrente deduce erronea interpretazione dell’articolo 600ter, comma 1, c.p. laddove il tribunale del riesame ha ritenuto che lo «sfruttamento» dei minori punito in detta norma implichi necessariamente il fine di lucro. Al riguardo, la questione che le Sezioni unite sono chiamate a decidere è quindi la seguente: se il fatto, punito dal primo comma dell’articolo 600ter c.p., di sfruttare minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico postuli, o non, lo scopo di lucro e/o l’impiego di una pluralità di minori. Sul tema non risultano pronunce giurisprudenziali di questa Corte. La dottrina, invece, ritiene, con orientamento nettamente maggioritario, che per l’integrazione del reato sia necessaria l’utilizzazione di più minori con finalità lucrativa o commerciale, o comunque con ricaduta economica, sicché esula il reato se la condotta mira solo al soddisfacimento della lussuria privata dell’agente ovvero se sia utilizzato un solo minore. 5.1 – Gli argomenti adoperati dalla dottrina, peraltro, non sono particolarmente approfonditi e soprattutto non appaiono decisivi. Quelli utilizzati dalla dottrina maggioritaria (a parte qualche considerazione basata sulla natura ed entità della pena), in sostanza, si riducono al criterio semantico, sia quando valorizzano l’uso legislativo del plurale per indicare i soggetti passivi del reato (minori), sia quando concepiscono il verbo «sfruttare» come sinonimo di «utilizzare economicamente» o addirittura di «utilizzare in modo imprenditoriale». Ma il criterio semantico non sembra correttamente applicato, anzitutto perché «sfruttare» nel linguaggio comune è sinonimo di «trarre frutto o utile» in generale, non necessariamente utile di tipo economico; e in secondo luogo perché, laddove la nozione di sfruttamento minorile è usata nello stesso contesto semantico (commi primo e quarto dell’articolo 600ter, per indicare il materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento di minori), in un caso (quarto comma) la nozione di sfruttamento è qualificata dall’aggettivo sessuale, sicché tale qualifica appare esplicativa, e non alternativa, rispetto alla nozione generica di sfruttamento usata nel primo caso (comma primo). Se ne deve concludere che nell’articolo 600ter c.p. il legislatore ha adottato il termine «sfruttare» nel significato di utilizzare a qualsiasi fine (non necessariamente di lucro), sicché sfruttare i minori vuol dire impiegarli come mezzo, anziché rispettarli come fine e come valore in sé: significa insomma offendere la loro personalità, soprattutto nell’aspetto sessuale, che è tanto più fragile e bisognosa di tutela quanto più è ancora in formazione e non ancora strutturata. D’altra parte, per una corretta interpretazione della norma, il canone semantico deve essere integrato con gli altri criteri ermeneutica tradizionali. 5.2 – Sotto questo profilo, per identificare, anzitutto, l’oggetto della tutela penale conviene ricordare che la legge 3 agosto 1998, n. 269, che ha introdotto nel codice penale gli articoli da 600bis a 600septies, reca per titolo «norme contro lo sfruttamento della prostituzione, della pornografia, del turismo sessuale in danno di minore, quali nuove forme di riduzione in schiavitù». In particolare, con l’articolo 600bis, il legislatore ha trasformato la prostituzione minorile da circostanza aggravante (qual era ex articolo 4 n. 2 della legge 75/1958) in reato autonomo, punendo la induzione, il favoreggiamento e lo sfruttamento della prostituzione dei minori degli anni diciotto (comma 1). Inoltre, con norma assolutamente innovativa, ha introdotto la punibilità del «cliente» della prostituzione minorile, quando la persona che si prostituisce abbia un’età compresa tra i 14 e i 16 anni (comma 2). Sotto il titolo di pornografia minorile (articolo 600ter), invece, il legislatore ha raggruppato una serie di condotte non propriamente omogenee. Più esattamente, nel primo comma ha punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da cinquanta a cinquecento milioni di lire «chiunque sfrutta minori degli anni diciotto al fine di realizzare esibizioni pornografiche o di produrre materiale pornografico»; nel secondo comma ha punito con la stessa pena chi fa commercio del materiale pornografico suddetto; nel terzo comma ha punito con pena meno grave (reclusione da uno a cinque anni e multa da cinque a cento milioni di lire) chiunque, al di fuori della produzione e del commercio del materiale pornografico minorile, distribuisce, divulga o pubblicizza con qualsiasi mezzo (anche telematico) tale materiale; nel quarto comma, infine, ha punito con pena alternativa (reclusione fino a tre anni o ulta da tre a dieci milioni di lire) chiunque, al di fuori delle ipotesi precedenti, cede ad altri, anche gratuitamente, materiale pornografico prodotto mediante lo sfruttamento sessuale dei minori. Ancora, con l’articolo 600quater, il legislatore ha punito con pena alternativa (reclusione fino a tre anni o multa non inferiore a tre milioni di lire) chiunque, fuori delle ipotesi previste dall’articolo precedente (cioè sfruttamento di minori per la realizzazione e produzione di materiale pornografico minorile; commercio di materiale pornografico minorile; distribuzione o pubblicizzazione dello stesso materiale pornografico; cessione dello stesso materiale pornografico), si procura o dispone, vale a dire detiene, materiale pornografico minorile. Infine, con l’articolo 600quinquies, il legislatore ha punito con pena grave (reclusione da sei a dodici anni e multa da trenta a trecento milioni di lire) chiunque organizza o propaganda viaggi finalizzati alla fruizione di attività di prostituzione minorile o comunque comprendenti tale attività. Da questa sommaria ricognizione risulta evidente che, per contrastare il fenomeno sempre più allarmante dell’abuso e dello sfruttamento sessuale in danno di minori, il legislatore del 1998 ha voluto punire, oltre alle attività sessuali compiute con i minori (di quattordici o sedici anni) o alla presenza di minori, di cui agli articoli 609quater e 609quinquies c.p., anche tutte le attività che in qualche modo sono prodromiche e strumentali alla pratica preoccupante della pedofilia, come l’incitamento della prostituzione minorile, la diffusione della pornografia minorile e la promozione del così detto turismo sessuale relativo a minori. Del resto, che di tale natura fosse la intentio legis è fatto palese dallo stesso articolo 1 della legge 269, laddove proclama come obiettivo primario «la tutela dei fanciulli contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale a salvaguardia del loro sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale», in adesione ai principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, e ratificata in Italia con legge 27 maggio 1991, n. 176, nonché alla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma, adottata il 31 agosto 1996. Significativo al riguardo è il preambolo della predetta Convenzione, laddove viene sottolineata la necessità di prestare al fanciullo protezioni e cure particolari «a causa della sua mancanza di maturità fisica ed intellettuale»; nonché soprattutto il testo dell’articolo 34 della stessa Convenzione, secondo cui gli Stati parti «si impegnano a proteggere il fanciullo contro ogni forma di sfruttamento sessuale e di violenza sessuale», adottando in particolare misure «per impedire che i fanciulli a) siano incitati o costretti a dedicarsi ad un’attività sessuale illegale; b) siano sfruttati a fini di prostituzione o di altre pratiche sessuali illegali; c) siano sfruttati ai fini della produzione di spettacoli o di materiale a carattere pornografico». In altri termini, oltre alla preesistente tutela penale della libertà (di autodeterminazione e maturazione) sessuale del minore, viene introdotta una tutela penale anticipata volta a reprimere quelle condotte prodromiche che mettono a repentaglio il libero sviluppo personale del minore, mercificando il suo corpo e immettendolo nel circuito perverso della pedofilia. Il criterio teleologico consente così all’interprete di qualificare la fattispecie di cui al primo comma dell’articolo 600ter c.p. come reato di pericolo concreto. Per conseguenza il reato è integrato quando la condotta dell’agente che sfrutta il minore per fini pornografici abbia una consistenza tale da implicare concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico prodotto. Il criterio semantico sembra confermare ulteriormente questo risultato interpretativo, giacché non appare possibile realizzare esibizioni pornografiche, cioè spettacoli pornografici, se non «offrendo» il minore alla visione perversa di una cerchia indeterminata di pedofili; così come, per attrazione di significato, produrre materiale pornografico sembra voler dire produrre materiale destinato ad essere immesso nel mercato della pedofilia. 5.3 – Ma anche il criterio logico-sistematico concorre all’interpretazione qui sostenuta. Si consideri che l’articolo 14 della legge 269/1998, nel disciplinare le attività e gli strumenti di contrasto contro la pedofilia, prevede che, in relazione ai delitti di cui agli articoli 600bis c.p., primo comma, 600ter c.p., primo secondo e terzo comma, e 600quinquies c.p., gli ufficiali di polizia giudiziaria appartenenti alle apposite unità specializzate possono procedere all’acquisto simulato di materiale pornografico e alle relative attività di intermediazione, nonché partecipare alle iniziative del così detto turismo sessuale; e che, sempre in relazione ai detti delitti, l’autorità giudiziaria può ritardare l’emissione, o disporre che sia ritardata l’esecuzione, di provvedimenti di cattura, arresto o sequestro, quando ciò sia necessario per acquisire rilevanti elementi probatori o per identificare o catturare i responsabili. Orbene, per quanto riguarda la fattispecie di produzione di materiale pornografico di cui al primo comma dell’articolo 600ter c.p., il legislatore non avrebbe pensato a strumenti straordinari di contrasto, quali l’acquisto simulato del materiale e il ritardo nell’emissione o esecuzione delle misure cautelari, se non avesse ritenuto come scopo della tutela penale quello di impedire la diffusione nel mercato della pornografia minorile; o più esattamente non avrebbe logicamente introdotto gli anzidetti strumenti di contrasto se il reato che intendeva reprimere fosse stato solo quello della produzione di pornografia minorile indipendentemente dal pericolo concreto che questa pornografia fosse immessa nel circuito dei pedofili. 5.4 – Per le ragioni su esposte, quindi, si deve concludere che, secondo l’interpretazione più corretta della norma, salvo l’ipotizzabilità di altri reati, commette il delitto di cui all’articolo 600ter, comma 1, c.p., chiunque impieghi uno o più minori per produrre spettacoli o materiali pornografici con il pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico prodotto. Sarà il giudice ad accertare di volta in volta se ricorre il concreto pericolo di diffusione del materiale pornografico, facendo ricorso a elementi sintomatici della condotta, quali: l’esistenza di una struttura organizzativa anche rudimentale, atta a corrispondere alle esigenze del mercato dei pedofili; il concreto collegamento dell’agente con soggetti pedofili, potenziali destinatari del materiale pornografico; la disponibilità materiale di strumenti tecnici (di riproduzione e/o di trasmissione, anche telematica) idonei a diffondere il materiale pornografico in cerchie più o meno vaste di destinatari; l’utilizzo, contemporaneo o differito nel tempo, di più minori per la produzione del materiale pornografico (in questo senso la pluralità di minori impiegati non è elemento costitutivo del reato, ma indice sintomatico della pericolosità concreta della condotta); i precedenti penali, la condotta antecedente e le qualità soggettive del reo, quando siano connotati dalla diffusione commerciale di pornografia minorile; altri indizi significativi che l’esperienza può suggerire. Come già detto, ove non ricorra il reato di cui all’articolo 600ter, comma 1, anche per l’inesistenza del pericolo di diffusione del materiale, può sussistere altra figura di reato, compresa quella di detenzione di materiale pornografico di cui all’articolo 600quater. 5.5 – Nel caso di cui trattasi non ricorre alcun indizio da cui potersi desumere un pericolo concreto di diffusione del materiale pornografico realizzato dall’imputato. Anzi, risultano positivamente indizi contrari, di un uso puramente «affettivo» (anche se perverso) delle poche fotografie che ritraevano il minorenne: sono indizi siffatti, non solo lo scarso numero delle foto e il loro riferimento a un solo minore, ma anche la circostanza che lo stesso minore ha dichiarato di aver consentito a essere fotografato e soprattutto ha aggiunto che l’imputato era molto «geloso» delle foto scattategli e verosimilmente non l’aveva fatte vedere ad altre persone (pag. 5 dell’ordinanza impugnata). Per conseguenza va respinto il primo motivo di ricorso. 6. Anche il secondo motivo dedotto è privo di fondamento giuridico. Al riguardo va anzitutto osservato che nella misura custodiale originaria al B. era stato contestato il reato di violenza sessuale aggravata di cui agli articoli 609bis e 609ter n. 1 c.p., perché, mediante abuso dell’autorità di insegnante privato di sostegno, aveva costretto il minore di anni tredici (omissis) a subire e a compiere atti sessuali. Il tribunale del riesame, con motivazione insindacabile in questa sede, ha accertato in fatto che non era intervenuta alcuna costrizione fisica tra il B. e il minore (circostanza questa non contestata neppure dal pubblico ministero ricorrente); ed ha aggiunto in linea di diritto che non ricorreva abuso d’autorità tra l’insegnante privato (che impartiva lezioni di latino e aiutava il minore nello svolgimento dei compiti scolastici) e il minore stesso, ma piuttosto intercorreva solo un rapporto di educazione e istruzione, sicché era integrato non il reato contestato nell’ordinanza custodiale, ma il reato di cui all’articolo 609quater n. 2, perché il B. aveva compiuto atti sessuali con minore di sedici anni che gli era stato affidato per ragioni di istruzione e di educazione. La qualificazione giuridica del fatto operata nell’ordinanza impugnata appare corretta. Di contro, non è pertinente né fondata l’osservanza critica del pubblico ministero ricorrente, secondo cui l’abuso d’autorità di cui all’articolo 609bis sussiste anche quando l’agente abusa delle condizioni di inferiorità fisica o psichica della persona offesa al momento del fatto (comma secondo, n. 1, dell’articolo 609bis). Infatti da una parte l’abuso delle condizioni di inferiorità non è stato mai contestato all’imputato, e dall’altra esso non può essere confuso con l’abuso di autorità di cui al comma primo dell’articolo 609bis. Invero, il delitto di violenza sessuale introdotto dall’articolo 609bis consiste in uno o più atti sessuali compiuti senza il consenso della vittima, con violenza, minaccia o abuso d’autorità da parte dell’agente (primo comma). A questa fattispecie è equiparata quella in cui gli atti sessuali sono compiuti con consenso della vittima, che però il legislatore considera «viziato» perché l’agente ha abusato della sua condizione di inferiorità fisica o psichica ovvero ha tratto in inganno la vittima sostituendosi ad altra persona (secondo comma). Se si considera che la fattispecie di cui al primo comma ha sostituito quella prevista dagli abrogati articoli 519, primo comma, e 520 (nonché dall’articolo 521), se ne deve concludere che l’abuso d’autorità previsto dalla norma vigente coincide con l’abuso della qualità di pubblico ufficiale di cui all’articolo 520, e comunque presuppone una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico. Del tutto diversa è la fattispecie di cui all’articolo 609quater, che esclude espressamente le ipotesi di cui all’articolo 609bis: essa è infatti integrata da atti sessuali compiuti, senza costrizione, con un minorenne, il cui consenso è però «viziato» dalla circostanza che il minore non ha compiuto quattordici anni ovvero non ha compiuto gli anni sedici quando il colpevole sia l’ascendente, l’educatore, l’istruttore ecc. In questi casi il differenziale di maturità sessuale che «vizia» e invalida il consenso del minore riflette una gamma di rapporti vari (di parentela, educazione o istruzione, cura, vigilanza, o semplice convivenza) che non sempre hanno forma giuridica e comunque differiscono nettamente dal rapporto autoritativo di cui al primo comma dell’articolo 609bis. Proprio per questa differenza ontologica e giuridica tra i due tipi di rapporto, non è ravvisabile alcuna illogicità laddove l’ordinanza impugnata da un lato esclude l’esistenza di un rapporto autoritativo e dall’altro afferma la sussistenza del rapporto di educazione e istruzione. PER QUESTI MOTIVI La Corte rigetta il ricorso.
|