IMPOSTE DI SUCCESSIONE - PRESUNZIONE LEGALE DI ESISTENZA DI DENARO, GIOIELLI E MOBILIA.

Cassazione - Sezione Tributaria - Sent. n. 5773 08/05/00

 Presidente M. Cantillo - Relatore G. Marziale

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

- 1 - L'otto dicembre 1988 decedeva in Torino il signor C. S. M. di S. G., lasciando eredi, a vario titolo, la moglie, signora M.C.R. , e i cinque figli: G., E., A., F.e N.

Il 23 marzo 1992 l'Ufficio del Registro di Torino notificava alla signora M. C. R.  avviso di liquidazione, con il quale - dopo aver rilevato che   nelle dichiarazioni a suo tempo presentate non erano stati menzionati i beni mobili costituenti l'arredo di "Villa Luserna", sita in Campiglione Fenile, Via Bima n. 1, indicati per il valore complessivo di L. 3.660.350.000 nel verbale d'inventario redatto dal notaio A. P. in data 22 dicembre 1989, registrato in Moncalieri il 9 gennaio 1990 - liquidava in L. 1.446.520.000 l'importo delle somme dovute a titolo di imposta, penalità e interessi.

1.1 - La R. proponeva ricorso alla Commissione tributaria di primo grado di Torino deducendo:

- che l'importo dei beni mobili caduti in successione era stabilito dalla legge in misura pari al 10% del valore complessivo netto dell'asse ereditario e che tale determinazione, in base alle norme in vigore  al momento dell'apertura della successione, costituiva, per l'Amministrazione finanziaria, un tetto "massimo" non superabile (art. 8, secondo comma, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 637, così come sostituito dall'art. 5, legge 17 dicembre 1986, n. 880);

- che, in ogni caso, l'inventario non era idoneo a dar conto della consistenza del patrimonio ereditario, essendo stato redatto, in applicazione di quanto stabilito dagli artt. 1002 e 1026 c.c., quando essa ricorrente aveva preso in consegna "Villa Luserna", un anno dopo l'apertura della successione, in qualità di titolare del diritto di abitazione su detto immobile;

- che il Tribunale di Torino, con sentenza del 30 settembre 1991, aveva dichiarato la nullità delle operazioni di inventario.

La Commissione accoglieva il ricorso.

L'appello proposto dall'Ufficio avverso tale decisione era respinto dalla Commissione tributaria regionale del Piemonte.

1.2 - L'Amministrazione finanziaria affida a tre motivi di ricorso la richiesta di cassazione di tale sentenza. L'intimata resiste con controricorso illustrato con memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

2 - L'art. 8, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 637 (cui corrisponde, nella disciplina vigente, l'art. 9, d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, entrato in vigore il 1 gennaio 1991 e applicabile alle successioni aperte e alle donazioni fatte a partire da tale data, in virtù di quanto stabilito dall'art. 63 dello stesso decreto) era così formulato: "Nell'attivo si considerano compresi denaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10% del valore complessivo netto dell'asse ereditario ..., salvo che siano dichiarati e analiticamente indicati in inventario per il minore importo idoneamente dimostrato". La possibilità di superare la presunzione, dimostrando che il valore di tali beni era inferiore a quello presunto, era stata introdotta, con decorrenza dal 1 luglio 1986, dall'art. 5, legge 17 dicembre 1986, n. 880, che aveva così riformulato il testo originario del citato art. 8.

Nella sentenza impugnata si afferma che la presunzione non poteva essere superata, invece, dall'Amministrazione finanziaria e che, pertanto, il valore di gioielli, danaro e mobilia, non avrebbe potuto mai superare il dieci per cento dell'attivo ereditario.

3 - Tale affermazione è censurata dall'Amministrazione finanziaria con il primo motivo di ricorso, assumendo che nel testo dell'art. 8, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 637, così come sostituito dall'art.. 5, legge 17 dicembre 1986, n. 880, doveva ritenersi "implicitamente" prevista anche "l'ipotesi inversa". La formulazione di tale disposizione non impediva, pertanto, all'Amministrazione finanziaria di tener conto di ogni elemento direttamente - anche se involontariamente - fornito dal contribuente idoneo a dimostrare l'esistenza di un valore maggiore di quello presuntivamente stabilito dal legislatore. Di qui la critica mossa alla sentenza impugnata, che avrebbe avuto il torto di disattendere i valori indicati nell'inventario redatto dal notaio P., che portavano ad attribuire ai beni mobili un rilievo economico ben superiore a quello risultante dall'applicazione della presunzione legale.

3.1 - La doglianza - che si puntualizza nella denunzia di violazione e falsa applicazione dell'art. 8, d.p.r. 637/72, così come sostituito dall'art. 5, legge 880/86 - è fondata.

La disciplina dettata dal citato art. 8 trovava il suo precedente nell'art. 31, r.d. 30 dicembre 1923, n. 3270, il cui primo comma era così formulato: "Nei trasferimenti di beni a causa di morte si presume l'esistenza di gioielli e denaro per un valore in ragione del due per cento del valore totale degli altri beni dell'eredità, al lordo del passivo; di mobilia per un valore in ragione del cinque per cento del valore totale, pure lordo degli altri beni ereditari, compresi i gioielli ed il denaro, ancorché valutati in via presuntiva".

Nel terzo comma della stessa disposizione si precisava, tuttavia, che il "suaccennato criterio presuntivo" non sarebbe stato applicato quando:

- da "inventari di tutela o di eredità beneficiata o fallimentare, o fatti in seguito ad apposizione di suggelli, disposta dall'Autorità  giudiziaria immediatamente dopo l'apertura della successione" fosse risultato un valore minore, od anche l'inesistenza assoluta di gioielli denaro e mobilia;

- dagli stessi inventari o da atti o dichiarazioni delle parti fosse risultato un valore superiore.

Era quindi incontroverso che la norma stabiliva una presunzione relativa, che poteva essere superata sia a favore che a sfavore dell'Amministrazione finanziaria.

3.2 - Nella sua formulazione originaria l'art. 8 del d.p.r. 637/72 stabiliva, invece, che nell'attivo ereditario dovevano considerarsi compresi: "danaro, gioielli e mobilia per un importo pari al 10 per cento del valore complessivo netto dell'attivo ereditario, anche se dichiarati o indicati in inventario per un importo inferiore".

La presunzione era quindi divenuta assoluta. Ma solo in danno del contribuente, dal momento che la norma si era limitata a negare rilevanza alla dichiarazione e all'indicazione in inventario di un importo inferiore a quello presunto dalla legge, evitando ogni riferimento all'ipotesi contraria in cui fosse emersa, dall'inventario o da dichiarazioni provenienti dal contribuente, l'indicazione di un importo maggiore (C. Cost. 19 gennaio 1988, n. 21; Min. Fin. Circolare n. 5 del 10 gennaio 1973; R.M. 270453 del 28 marzo 1981).

L'Amministrazione, come non si mancò di rilevare, era stata così posta in una condizione di indubbio favore rispetto al contribuente, difficilmente conciliabile con il rispetto del principio di uguaglianza.

La sperequazione venne eliminata dall'art. 5 della legge n. 880/86 che, riformulando il citato art. 8, d.p.r. 637/72, reintrodusse la possibilità, per il contribuente, di dimostrare, mediante la redazione di apposito inventario, che il valore del denaro, dei gioielli e della "mobilia" caduti in successione fosse inferiore a quello discendente dalla presunzione stabilita dal legislatore.

Nessun cenno era fatto alla diversa ipotesi in cui il valore dei beni fosse stato, invece, superiore a quello presuntivamente fissato dalla legge. Ma tale silenzio non poteva portare a ritenere che all'Amministrazione finanziaria fosse preclusa la possibilità di vincere la presunzione, dal momento che, come si è posto in evidenza, tale possibilità era accordata dalla disciplina previgente e che il nuovo intervento del legislatore non era stato certamente ispirato dall'intento di limitare le possibilità di accertamento dell'Amministrazione finanziaria.

Sotto questo riguardo, la diversa formulazione dell'art. 9, d.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346, recante il nuovo testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta sulle successioni e donazioni, certamente più chiara e lineare di quella del citato art. 8, d.p.r. 637/72 non è quindi espressiva di un mutato orientamento del legislatore su tale specifica questione.

4 - Con il secondo e con il terzo motivo - che possono essere congiuntamente esaminati - l'Amministrazione finanziaria - denunziando violazione e falsa applicazione degli artt. 2699-2700, 2900 c.c.; degli artt. 1002, 1026 stesso codice; degli artt. 769 ss. c.p.c.; dell'art. 8, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 633 - censura la sentenza impugnata per aver escluso che i l verbale redatto dal notaio P. fosse idoneo ad evidenziare "la reale consistenza della massa ereditaria".

A questa conclusione la Commissione tributaria regionale è pervenuta, dopo aver posto in evidenza, in particolare:

- che l'inventario non aveva alcuna rilevanza ai fini fiscali, essendo stato redatto, un anno dopo l'apertura della successione, ai sensi degli artt. 1002 e 1026 c.c., a seguito della consegna dell'immobile ("Villa Luserna") alla signora M.C. R. di Calabria, cui era stato attribuito il diritto di utilizzarla come propria abitazione;

- che detto inventario era stato comunque annullato dal Tribunale di Torino, con sentenza n. 6042 del 30 settembre 1991.

4.1 - Tali considerazioni sono censurate dall'Amministrazione finanziaria, deducendo:

a) che l'inventario, anche se non redatto specificamente a fini successori, costituiva pur sempre una dichiarazione di parte, idonea a rappresentare la consistenza reale della massa ereditaria e, quindi, il valore effettivo dei beni mobili di provenienza successoria;

b) che il suo annullamento era stato disposto per ragioni formali (la mancata comunicazione ad alcuno degli eredi della data d'inizio delle operazioni), non atte ad incidere sull'attendibilità delle sue risultanze e, per giunta, in un giudizio al quale essa ricorrente era rimasta estranea;

c) che unico strumento idoneo a porre nel nulla l'efficacia probatoria di tale documento era rappresentato dalla querela di falso, che nel caso di specie non era stata proposta.

Il rilievo sub a) è fondato.

Invero, dalla pur sintetica motivazione della sentenza impugnata, è possibile ricavare che la Commissione tributaria regionale, nel dichiarare privo " di rilevanza ai fini fiscali" l'inventario redatto dal notaio P., è partita dall'assunto che la prova contraria alla presunzione legale stabilita dall'art. 8, secondo comma, del citato d.p.r. 637/72 fornita dall'amministrazione finanziaria, se ritenuta ammissibile, era assoggettata alle stesse limitazioni stabilite per quella data dal contribuente. E che pertanto la dimostrazione, anche in tal caso, poteva risultare solo da un inventario redatto, immediatamente dopo l'apertura della successione, ai sensi degli artt. 769 ss. c.p.c.

4.2. - Tale opinione non ha però fondamento. La prova contraria alle presunzioni legali che non abbiano carattere assoluto è, in linea di principio, libera, (art. 2728, secondo comma, c.c.), e può, quindi, essere fornita anche a mezzo di presunzioni semplici, secondo il prudente apprezzamento del giudice (Cass. 25 maggio 1972, n. 1659; 11 marzo 1981, n. 1384; 21 giugno 1985, n. 3721). Eventuali disposizioni limitative vanno quindi considerate di stretta interpretazione e, come tali, non estensibili ad ipotesi diverse da quelle espressamente previste.

Appare allora evidente che le limitazioni poste dal secondo comma dell'art. 8 d.p.r. 637/72 (che, come si è visto, ha esclusivo riferimento alla posizione del contribuente: retro, 3.2) non si estendevano all'Amministrazione finanziaria, che poteva quindi ottenere, secondo i principi, il riconoscimento, in sede giudiziale, di un valore superiore a quello risultante dalla presunzione legale, anche in mancanza della prova specificamente richiesta da tale disposizione per la dimostrazione di un valore inferiore a quello presunto. Il che risponde al particolare carattere delle presunzioni in materia tributaria, che trovano il loro fondamento nell'esigenza di rendere "sollecita la riscossione del tributo e vano ogni tentativo di evasione" (C. Cost. n. 109 del 12 luglio 1967) e sono destinate, quindi, ad operare a favore dell'Amministrazione finanziaria. E spiega - altresì - perché l'art. 31, r.d. 3270/23, che costituiva il precedente immediato del citato art. 8 avesse differenziato la posizione dell'Amministrazione finanziaria da quella del contribuente, prevedendo espressamente che il valore "superiore" poteva risultare, oltre che da inventari disposti "immediatamente dopo l'apertura della successione", anche da "atti o dichiarazioni delle parti".

Gli ulteriori profili di censura, specificati alle lettere b) e c) del precedente paragrafo, sono assorbiti.

5 - L'accoglimento, entro i limiti precisati, del ricorso proposto dall'Amministrazione finanziaria comporta la cassazione della sentenza impugnata e il conseguente rinvio della causa ad altra sezione della commissione tributaria regionale del Piemonte, che, attenendosi ai principi di diritto enunciati nei paragrafi 3.1 e 4.2, dovrà valutare se dall'inventario redatto dal notaio P. il 22 dicembre 1989 risulti (o meno) che il valore del denaro dei gioielli e della mobilia ricompresi nell'eredità del signor C. S. M. di S. G. era superiore a quello derivante dalla presunzione posta dall'art. 8, d.p.r. 26 ottobre 1972, n. 637.

Il giudice di rinvio provvederà, inoltre, alla liquidazione delle spese della presente fase.

PER QUESTI MOTIVI

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Commissione tributaria regionale del Piemonte, anche per le spese