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Meta si arrende nel Regno Unito: stop alla pubblicità personalizzata dopo una storica causa sulla privacy

Un patteggiamento che potrebbe segnare una svolta epocale: Meta, il colosso dei social network, ha accettato di interrompere l’uso dei dati personali per inviare pubblicità mirata a una cittadina britannica, Tanya O’Carroll, ponendo fine a una battaglia legale iniziata nel 2022. La notizia, resa nota il 21 marzo 2025, rappresenta una vittoria senza precedenti per i diritti alla privacy nel Regno Unito e potrebbe avere ripercussioni globali sul modello di business delle grandi piattaforme digitali. Dopo anni di controversie sull’uso invasivo dei dati, questa decisione accende un faro su un sistema che per troppo tempo ha prosperato indisturbato: la sorveglianza pubblicitaria.

Il caso O’Carroll: una sfida al cuore del modello di Meta
Tutto è iniziato quando Tanya O’Carroll, un’attivista per i diritti digitali, ha deciso di opporsi al modo in cui Meta utilizzava i suoi dati per profilazione pubblicitaria su Facebook. Sostenuta dallo studio legale AWO di Londra e dall’organizzazione Foxglove, O’Carroll ha intentato una causa presso l’Alta Corte britannica, accusando l’azienda di violare il GDPR del Regno Unito. Il nodo centrale? Il diritto di opporsi al trattamento dei propri dati per scopi di marketing diretto, previsto dall’articolo 21 del regolamento. Meta, secondo l’accusa, non solo ignorava questo diritto, ma costruiva il suo impero economico proprio sulla raccolta indiscriminata e sull’elaborazione dei dati personali.
“Questo accordo rappresenta non solo una vittoria per me, ma per chiunque tenga al proprio fondamentale diritto alla privacy. Nessuno di noi ha accettato di essere intrappolato in decenni di pubblicità basata sulla sorveglianza, tenuto in ostaggio dalla minaccia di perdere la possibilità di connettersi con i propri cari online”, ha dichiarato O’Carroll in una nota personale dopo l’annuncio del patteggiamento. La sua battaglia non era solo personale: mirava a stabilire un precedente che potesse tutelare milioni di utenti nel Regno Unito e oltre.
Meta, dal canto suo, aveva inizialmente respinto le accuse, sostenendo che il suo sistema pubblicitario non si qualificava come “marketing diretto” ai sensi del GDPR, poiché gli annunci erano diretti a gruppi di utenti, non a individui specifici. Una difesa che non ha retto di fronte alla pressione legale e all’intervento dell’Information Commissioner’s Office (ICO), l’autorità britannica per la protezione dei dati, che ha supportato la posizione di O’Carroll.

Un accordo che cambia le carte in tavola
Dopo tre anni di scontri legali, Meta ha ceduto. L’azienda ha accettato di non utilizzare più i dati di O’Carroll per pubblicità personalizzata, garantendo così il rispetto del suo diritto di opposizione. “Questa è stata una causa combattuta duramente”, ha commentato Ravi Naik, l’avvocato di AWO che ha rappresentato O’Carroll. “La mia cliente ha ottenuto ciò che voleva; si è opposta all’uso dei suoi dati per fini pubblicitari. Questo accordo lo garantisce. I diritti devono essere adeguatamente tutelati, affinché tutti, non solo chi ha i mezzi per intentare cause legali, possano riprendere il controllo dei propri dati”.
L’accordo non si limita a un caso isolato. Secondo lo staff di O’Carroll, il coinvolgimento dell’ICO – un evento raro in una disputa tra un privato e un’azienda – segnala un potenziale cambiamento di rotta. La decisione potrebbe aprire la strada a un’ondata di richieste simili da parte di altri cittadini britannici, mettendo in discussione il modello “paga o accetta la profilazione” che Meta ha adottato in Europa dal 2023 per conformarsi al GDPR.

Il contesto: un modello di business sotto assedio
La pubblicità personalizzata è il pilastro su cui si regge l’impero di Meta, che genera il 98% dei suoi ricavi dagli inserzionisti grazie alla profilazione degli utenti. Attraverso Facebook, Instagram e WhatsApp, l’azienda raccoglie una quantità impressionante di dati – dalle interazioni quotidiane ai “mi piace”, fino alle ricerche online – per offrire annunci mirati con una precisione chirurgica. Ma questo sistema, che per anni è sembrato inattaccabile, sta mostrando crepe sempre più evidenti.
Il caso O’Carroll si inserisce in un periodo turbolento per Meta. A febbraio 2025, 5.000 persone in vari Paesi europei hanno presentato reclami contro l’azienda per violazioni della privacy, secondo la ONG Eko. Inoltre, il memoir di Sarah Wynn-Williams, ex dipendente di Facebook, ha recentemente denunciato pratiche disinvolte nella gestione dei dati, alimentando il dibattito pubblico. In Europa, la Corte di Giustizia dell’UE aveva già limitato l’uso massivo dei dati per scopi pubblicitari con una sentenza a favore dell’attivista Max Schrems nell’ottobre 2024, un precedente che ha rafforzato la posizione di chi chiede maggiore trasparenza.

Le implicazioni: verso un futuro senza sorveglianza?
La vittoria di O’Carroll non è solo simbolica: potrebbe segnare l’inizio della fine per la pubblicità basata sulla sorveglianza di massa. Se altri utenti seguiranno il suo esempio, Meta potrebbe essere costretta a ripensare il suo approccio, magari puntando su modelli alternativi come abbonamenti senza annunci o pubblicità meno invasive. L’ICO, dal canto suo, ha lasciato intendere che il caso potrebbe influenzare future regolamentazioni, spingendo per un’interpretazione più rigorosa del GDPR che dia agli utenti un controllo reale sui propri dati.
Per il Regno Unito, questo patteggiamento arriva in un momento cruciale. Dopo la Brexit, il Paese sta cercando di bilanciare la sua normativa sulla privacy – ancora basata sul GDPR europeo – con le pressioni di un mercato globale dominato da colossi americani. La decisione di Meta di cedere potrebbe rafforzare la posizione britannica come leader nella tutela dei dati, distinguendola dagli Stati Uniti, dove le leggi sulla privacy restano più permissive.

Una battaglia ancora aperta
Nonostante il trionfo, la strada è lunga. L’accordo riguarda solo O’Carroll, e Meta non ha annunciato cambiamenti strutturali su larga scala. La domanda resta: quanto è sostenibile un modello di business che dipende dalla profilazione in un mondo che chiede sempre più privacy? Per ora, l’azienda continua a operare come sempre per milioni di utenti, ma il precedente è stato stabilito. Come ha scritto un analista su X: “Meta si piega nel Regno Unito. È l’inizio di un domino che potrebbe cambiare il panorama dei dati digitali?”.
Il caso O’Carroll dimostra che anche i giganti della tecnologia possono essere messi in discussione. La privacy, a lungo sacrificata sull’altare della convenienza, sta tornando al centro del dibattito. E forse, grazie a una singola attivista, il futuro dei social media potrebbe essere un po’ meno invadente.

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