CivileGiustizia

Strage di Erba: la Cassazione chiude la porta a Tarfusser, confermata la censura del CSM

Un nuovo capitolo nella complessa vicenda della strage di Erba, ma questa volta non si parla di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi condannati all’ergastolo per il massacro del 2006. A finire sotto i riflettori è Cuno Tarfusser, l’ex sostituto procuratore generale di Milano che aveva acceso una speranza di revisione del processo. Le Sezioni Unite della Cassazione hanno infatti confermato la sanzione disciplinare della censura inflitta dal Consiglio Superiore della Magistratura (CSM) a Tarfusser, chiudendo definitivamente il suo ricorso con un verdetto di inammissibilità. Una decisione che, più che sul caso in sé, getta luce sulle dinamiche interne alla magistratura e sui limiti imposti a chi osa sfidare il sistema.
Un magistrato contro le regole
La storia inizia nel marzo 2023, quando Tarfusser, convinto che la condanna di Olindo e Rosa potesse essere un errore giudiziario, depositò di sua iniziativa una richiesta di revisione del processo. Un gesto che, secondo il CSM, violava le regole organizzative della Procura Generale di Milano. La facoltà di chiedere la revisione di una sentenza definitiva, infatti, spetta esclusivamente al Procuratore Generale o al suo vice, l’Avvocato Generale, e non a un sostituto come Tarfusser. Eppure, il magistrato altoatesino, già noto per il suo passato alla Corte Penale Internazionale, non si era limitato a un atto formale: aveva intrattenuto contatti diretti con i difensori dei coniugi Romano-Bazzi, ricevendo documenti e perizie senza informare i suoi superiori.
Questa autonomia gli è costata cara. Il CSM, nel febbraio 2024, lo ha sanzionato con la censura, una delle pene disciplinari più lievi, ma simbolicamente pesante per un magistrato della sua esperienza. Tarfusser, però, non si è arreso: ha fatto ricorso alle Sezioni Unite della Cassazione, sperando di ribaltare la decisione. La sentenza del 10 marzo 2025 ha spento ogni illusione: il ricorso è stato dichiarato inammissibile, anche perché Tarfusser, andato in pensione nell’agosto 2024, non ha più un interesse concreto a proseguire la battaglia disciplinare. La censura, infatti, non ha effetti pratici su un ex magistrato, ma resta una macchia sul suo curriculum.
Una condanna al metodo, non al merito
È importante chiarire un punto: la censura non riguarda la validità della richiesta di revisione, che ha comunque aperto la strada a un nuovo processo davanti alla Corte d’Appello di Brescia (iniziato a marzo 2024). La Corte Suprema non ha messo in discussione l’ipotesi che Olindo e Rosa possano essere innocenti, ma ha punito il modo in cui Tarfusser ha agito. Secondo i giudici, il suo comportamento ha rappresentato una “particolare gravità”, non solo per la mancanza di delega, ma anche per il silenzio mantenuto nei confronti dei vertici della Procura Generale. Solo a cose fatte, il 31 marzo 2023, Tarfusser aveva informato l’Avvocato Generale, dopo aver già depositato l’istanza.
La sentenza della Cassazione sottolinea che questo approccio ha minato l’immagine della magistratura, dando l’impressione che un singolo possa agire al di sopra delle regole organizzative. Una critica che Tarfusser ha sempre respinto, definendo la sanzione una “decisione politica” volta a proteggere un sistema giudiziario “in decomposizione”. “Rifarei tutto”, aveva dichiarato dopo la censura del CSM, difendendo la sua indipendenza come magistrato e il suo diritto di cercare la verità.
Il contesto: un caso che divide
La strage di Erba, avvenuta l’11 dicembre 2006, resta uno dei casi più controversi della cronaca italiana. Quattro vittime – Raffaella Castagna, suo figlio Youssef, la nonna Paola Galli e la vicina Valeria Cherubini – massacrate in un condominio di provincia, con un unico sopravvissuto, Mario Frigerio, che identificò Olindo Romano come l’assassino. La condanna dei coniugi, basata su confessioni poi ritrattate e prove indiziarie, ha sempre diviso l’opinione pubblica tra colpevolisti e innocentisti. L’intervento di Tarfusser, con la sua richiesta di revisione, ha riacceso il dibattito, portando nuove perizie e testimonianze che potrebbero riscrivere la storia.
Eppure, mentre il processo di revisione va avanti a Brescia, la vicenda disciplinare di Tarfusser sembra voler lanciare un messaggio: la giustizia ha bisogno di regole, e chi le infrange paga un prezzo, anche se mosso dalle migliori intenzioni. Una posizione che, per alcuni, tutela l’ordine interno alla magistratura, ma che per altri rischia di soffocare chi cerca di correggere possibili errori del passato.
Una carriera al capolinea, ma non il dibattito
Per Tarfusser, ormai settantenne e fuori dalla toga, la sentenza della Cassazione chiude una carriera lunga e prestigiosa, segnata da successi internazionali ma anche da scontri con il sistema italiano. La sua battaglia per la revisione del caso Erba, però, sopravvive a lui: il processo di Brescia potrebbe ancora ribaltare le condanne di Olindo e Rosa, dimostrando che il suo intuito aveva un fondo di verità.
Questa vicenda lascia aperti interrogativi profondi. Può un magistrato agire fuori dalle rigide gerarchie per inseguire la giustizia? E fino a che punto il sistema è disposto a tollerare chi sfida le sue regole? La censura a Tarfusser non risponde a queste domande, ma le rende più urgenti che mai. Intanto, la strage di Erba continua a essere un puzzle irrisolto, capace di mettere in discussione non solo una sentenza, ma l’intero funzionamento della giustizia italiana.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *