STUPRI DI GUERRA NEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE
di Pancrazio Caponetto -In un volume della storica Michela Ponzani, Guerra alle donne, pubblicato da Einaudi in una prima edizione nel 2012 e in una seconda nel 2021, un capitolo è dedicato alle violenze ( saccheggi, uccisioni, torture e stupri ) perpetrate dai Goumiers i soldati coloniali marocchini e algerini inquadrati nel corpo di spedizione francese, ai danni della popolazione civile italiana nella primavera – estate del 1944.
Episodi simili si verificarono anche nel corso di altri conflitti. Negli anni Trenta e durante la seconda guerra mondiale,oltre 200.000 donne asiatiche provenienti dai paesi occupati dai giapponesi in Asia Orientale, furono costrette a prostituirsi nei bordelli organizzati dalle autorità militari nipponiche. Nel 1945 i soldati sovietici dell’Armata Rossa si resero protagonisti di stupri ai danni delle donne tedesche nella Germania piegata dalla guerra. La Ponzani ricorda, inoltre, le violenze subite dalle donne bosniache, da soldati e ufficiali dell’esercito serbo durante il corso delle guerre nella ex – Jugoslavia negli anni Novanta secolo scorso.
La storica fa anche un cenno agli stupri patiti dalle donne serbe, nella prima guerra mondiale ad opera di soldati degli eserciti austro – ungarico, tedesco e bulgaro. Osserviamo che durante questo conflitto il fenomeno fu molto più esteso e non interessò solo il fronte orientale.
Sul fronte italiano, dopo la sconfitta di Caporetto ( ottobre 1917 ), i territori del Friuli e parte del Veneto vennero invasi dalle truppe austro – ungariche e vissero in un regime di occupazione militare durante il quale si registrarono episodi di saccheggi e stupri subiti dalla popolazione civile. Dopo la guerra il governo italiano formò due commissioni di inchiesta : la prima organizzata dall’Ufficio Tecnico di Propaganda Nazionale, la seconda fu la Reale Commissione di Inchiesta. In particolare la seconda, creata nel 1918, pubblicò ampia documentazione ( sette volumi editi tra il 1920 e il 1921 ) e con il quarto volume denunciò gli stupri di guerra qualificati come “delitti contro l’onore femminile ” . Bisogna ricordare che il Codice penale allora in vigore in Italia ( Codice Zanardelli 1889 ), classificava la violenza sessuale tra “i delitti contro il buon costume e l’ordine delle famiglie” . Inoltre il lavoro della Commissione era finalizzato alla richiesta da parte dell’Italia alla conferenza di pace, di pagamento dei danni di guerrra. Pertanto si rivolse scarsa attenzione ai cosiddetti “danni di genere” cioè alle conseguenze fisiche e psichiche patite dalle vittime.
Nel sesto volume pubblicato dalla Commissione sono contenute deposizioni e testimonianze. Tuttavia come dichiarò il Sindaco di Belluno : “convien credere che i casi di violenza carnale e le minacce insidiose siano state più frequenti di quel che noi sappiamo. E’ naturale che per un senso innato e profondo di pudore le nostre donne tacciano certe onte. ” Anche il Dottor Francesco Agosti, Direttore dell’ospedale civile della città, espresse un ‘opinione simile, dichiarando alla Commissione che buona parte delle violenze carnali erano rimaste nascoste in quanto nelle campagne il pudore frenava le donne dal raccontare quello che avevano patito. Nonostante ciò appare rilevante il numero di casi di violenze subite : 165 quelli che riportano i nomi delle donne coinvolte, 570 quelli accertati in cui non compare però l’identità della vittima. In molti casi la Commissione non approfondì le indagini e ciò ha reso difficile una ricostruzione precisa degli eventi. Lo studioso Daniele Ceschin, a questo proposito, ha precisato che le omissioni della Commissione appaiono motivate dalla ” volontà di non dare troppo rilievo ad uno degli aspetti dell’occupazione che avrebbe potuto avere delle ripercussioni anche sul dopoguerra e minare dall’interno le singole comunità locali “.
Dalle testimonianze raccolte sappiamo che autori delle violenze ( stupri, omicidi e torture ) furono militari tedeschi, ungheresi, croati e bosniaci. I comandi militari cercarono di frenare il fenomeno con ordini di intervenire contro i colpevoli, ma tutto ciò in maniera piuttosto blanda vista la frequenza degli eventi criminosi. In pratica la giustizia militare si rivelò quasi impotente e i soldati e gli ufficiali coinvolti godettero di una sostanziale impunità.
Anche sul fronte occidentale,nel Belgio e nel Nord della Francia, in questo caso fin dal 1914, si verificarono episodi di violenze contro le donne ad opera di soldati tedeschi. Molto probabilmente il fenomeno fu ingigantito dalla propaganda di guerra volta a presentare il soldato tedesco come invasore e stupratore, ma è certo che alcune violenze e stupri si verificarono realmente. Il governo belga costituì, nell’agosto 1914, una prima “Commission d’enquete sur la violation des regles du Droit des gens, des lois et des costumes de la guerre”, che documentò le sofferenze patite dalla popolazione civile con saccheggi, incendi di case, deportazione di donne e bambini. Anche in Francia, nello stesso anno, fu costituita una ” Commissione d’inchiesta per constatare gli atti commessi dal nemico in violazione del diritto delle genti” . Una seconda commissione venne varata dal governo inglese sempre nel 1914. Entrambe le commissioni denunciarono i numerosi stupri e casi di prostituzione forzata.
La reazione del governo tedesco non si fece attendere: esso produsse un ” Libro bianco”, un’autodifesa in cui si affermava che la popolazione del Belgio si era resa protagonista di “attacchi a tradimento ” contro le truppe germaniche. Il governo belga in esilio rispose con un nuovo documento pubblicato nell’aprile 1916, la “Réponse au Livre Blanc allemand” ,nel quale si ribadiva la gravità degli episodi di violenza a cui non erano sfuggite nemmeno alcune religiose.
Anche i movimenti femministi dell’epoca si interessarono degli stupri di guerra. L’International Council of Women si battè per il riconoscimento dello stupro come crimine internazionale. Oltre a ciò le femministe sostennero la necessità di giungere a una condanna della guerra in quanto tale, in questa ottica gli stupri venivano considerati una diretta conseguenza del militarismo. La femminista Grace Isabel Colborn dichiarò nel 1914 : ” Il punto di vista militare è quello del disprezzo della donna, la negazione di qualsiasi valore che non sia la riproduzione. E’questo spirito del militarismo, la glorificazione della forza bruta, che ha tenuto la donna in schiavitù politica, legale, economica “.
A guerra finita, nel 1919, tre associazioni femminili,la “Union française pour le suffrage des femmes”, il “Conseil national des femmes françaises” e la “Conférence des femmes suffragistes alliées” , presentarono alla conferenza di pace di Versailles una petizione per la liberazione delle donne deportate e la punzione dei colpevoli degli stupri. La petizione era stata sottoscritta da cinque milioni di donne e affermava : ” Tali crimini, oltre a rappresentare un mostruoso insulto alla dignità della donna, colpiscono il cuore stesso della società, la famiglia (…) e pongono la società nell’alternativa seguente: o accettare la propria distruzione, tollerare il fatto che stuprare le donne e le ragazze, mutilarle, ridurle in schiavitù, costringerle alla prostituzione, diventi attraverso la forza del precedente una consuetudine ammessa dalle leggi di guerra, oppure condannare senza appello un tale precedente.”
Tuttavia le richieste delle associazioni femminili non furono accolte. Nella Conferenza di pace fu istituita una Commissione sulla violazione delle leggi di guerra che propose l’istituzione di un Tribunale supremo internazionale che giudicasse, tra gli altri crimini, anche gli stupri perpetrati in Belgio e in Serbia. Ma l’attività della Commissione venne impedita dall’opposizione degli Stati Uniti che giudicarono la definizione di “crimine contro l’umanità ” un concetto vago e privo di fondamento giuridico.
In Francia e in Italia si accese un dibattito intorno al problema delle gravidanze causate dagli stupri di guerra. In Francia il giornale Le Matin, nel gennaio 1915, pubblicò un articolo di Jean d’ Orsay che riprendeva il contenuto di un sermone di un sacerdote belga che invitava le parrocchiane stuprate dai soldati tedeschi ad abortire, per evitare che un “sangue impuro” corrompesse la loro razza e prometteva alle donne l’assoluzione davanti a Dio e agli uomini.
A febbraio dello stesso anno l’avvocato Louis Martin, presentò in Senato due proposte di legge che prevedevano la reintroduzione della “ruota” per i neonati abbandonati e la depenalizzazione dell’aborto nei territori occupati dai tedeschi. Il Governo francese bloccò però le iniziative consentendo alle donne vittime di violenze il parto segreto a Parigi o la possibilità di consegnare i bambini non riconosciuti ad ospizi di infanzia.
Anche in Italia la comunità scientifica e la stampa presero posizione intorno al problema. Il direttore della clinica ostetrico – ginecologica di Genova Luigi Maria Bossi si schierò decisamente in favore dell’aborto concesso alle donne violentate in guerra. Nel 1915 la Regia Accademia Ginecologica di Genova riprese le posizioni di Bossi votando un ordine del giorno che sosteneva la necessità di spegnere prima del parto le esistenze dei figli delle violenze, altrimenti destinati a divenire pazzi, delinquenti o deficienti nello sviluppo. Sulla stampa si distinse il “ Popolo d’Italia “ che ospitò una lettera di Bossi in cui proponeva un referendum sul “ diritto d’aborto per la donna violentata e sul modo di arrestare le violenze tedesche”.
Per anni le storie delle donne stuprate nel primo conflitto mondiale sono rimaste tra le pagine meno conosciute della Grande Guerra. Solo in tempi più recenti queste vicende insieme a quelle altrettanto tragiche di altri conflitti sono emerse dall’oblio. ” L’interesse attorno a questo tema – ha scritto Michela Ponzani – è iniziato a maturare solo a seguito del consolidarsi di un nuovo indirizzo del diritto internazionale, sempre più attento alla tutela e alla protezione dei civili, nonchè all’esplicito compito di perseguire i crimina iuris gentium. ” Tra il 1998 e il 2003, sentenze dei Tribunali Internazionali che hanno giudicato i crimini nell’ex Jugoslavia e in Ruanda, hanno dichiarato lo stupro, la schiavitù sessuale e la prostituzione forzata atti inumani che costituiscono un crimine contro l’umanità. Un altro passo avanti è stato fatto nel 2007 quando la Corte Internazionale di giustizia dell’Aja ha riconosciuto il fatto che gli stupri devono essere compresi tra i reati di genocidio.
Dopo oltre un secolo le battaglie delle associazioni femminili per riconoscere lo stupro di guerra come un crimine internazionale sono giunte a compimento. Tante sofferenze e tanto dolore sono state vissute dalle donne in questo lungo arco di tempo. Alla storia il compito di ricostruire quelle vicende, di far rivivere quelle testimonianze, quel passato affinchè il presente sia per sempre libero da quel dolore.
Il 25 /11/2020, Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, è comparso sulla pagina Facebook LE GRANDI BATTAGLIE DELLA STORIA , un documentatissimo saggio di Tiziano Giaiot sugli stupri commessi dalle truppe austro – ungariche e tedesche nelle zone d’occupazione in Italia, in Belgio e in Francia, dal quale sono state tratte numerose notizie utili alla stesura di questo articolo.