UTOPISTI ITALIANI TRA CINQUECENTO E SEICENTO : FRANCESCO PUCCI E LODOVICO ZUCCOLO
di Pancrazio Caponetto – ” Nella sua accezione più generica di ‘ generoso tentativo ‘ , l’utopia si presenta, nei suoi singolari risultati storici, come una sconfortante sequenza di disillusioni e di fallimenti, ed è altrettanto vero che il mondo degli utopisti è un ‘ immane guazzabuglio ‘. Eppure, persino nelle sue forme più primitive, come il Paradiso terrestre, l’età dell’oro, il millenarismo o, più vicino a noi, l’etica della romanità repubblicana ( da Machiavelli a Vincenzio Russo ) o la religione del dovere di Giuseppe Mazzini – tutte idee o complessi di idee apparse sovente in periodi di crisi – le utopie hanno dato voce, seppure in forma prescientifica, ai dolori dell’umanità e hanno espresso, talvolta in forma ingenua, la speranza di poterli alleviare o rimuovere definitivamente. ”
Così Leandro Perini, nel suo saggio ” Gli utopisti: delusioni della realtà, sogni dell’avvenire “, contenuto negli “Annali d’Italia ” della Einaudi, ricordava i caratteri fondamentali delle utopie. Il termine utopia ( “non luogo ” ) fu coniato da Thomas More nel suo famoso ” De optimo reipubblicae statu, deque nova insula Utopia ” ( 1516 ). Altrettanto note nella letteratura utopica, sono le opere di Tommaso Campanella, ” La città del Sole ” ( 1602 ) e di Francesco Bacone, ” La nuova Atlantide ” ( 1627 ). Meno conosciuti sono i testi di due utopisti italiani : Francesco Pucci ( 1543 – 1597 ) e Lodovico Zuccolo ( 1568 – 1630 ).
Il fiorentino Francesco Pucci maturò la sua formazione culturale sulle opere più spirituali di Francesco Petrarca e sugli scritti di Girolamo Savonarola, Dante Alighieri e Pico della Mirandola. In gioventù fu uomo d’affari e lavorò in Francia presso il banco di Pierfrancesco Rinuccini, fino a quando ( 1570 ) ricevette in eredità il notevole patrimonio dello zio materno Mariotto Giambonelli e si dedicò allo ” studio delle cose eterne e celesti”. Iniziò così a viaggiare nelle principali capitali europee. Nel 1572 fu a Parigi, dove assistette agli orrori della notte di S. Bartolomeo e aderì per un breve periodo al calvinismo; nel 1574 fu in Inghilterra dove divenne magister artium nella facoltà di Oxford; nel 1577 fu a Basilea dove conobbe il riformatore Fausto Sozzini col quale ebbe una disputa teologica sulla natura immortale del primo uomo. Dopo aver attraversato la Germania e le Fiandre, nel 1579 fece ritorno a Londra dove pubblicò la sua prima opera ” Informatione della religione christiana “, un manifesto della teologia di Pucci, “una vera e propria institutio del suo cristianesimo razionalizzante e ottimista “. ( Giorgio Caravale: Pucci Francesco, “Dizionario biografico degli italiani ” ).
Nel 1581 affidò il suo progetto di riforma della cristianità a un testo : ” Forma d’una republica catolica “. Pucci auspicava la formazione di una ” repubblica” cattolica, una comunità universale nella quale si riconoscessero greci e latini, papisti e protestanti, armeni e siriani, etiopi e indiani. Ne erano esclusi solo gli atei e coloro i quali negavano l’incarnazione di Cristo.
Le verità divine su cui si fonda questa “repubblica ” sono: 1) L’amore verso un unico Dio creatore dell’universo; 2) La fede in Gesù Cristo salvatore del mondo; 3) La persuasione risolutissima che Dio ” tiene conto de’ buoni e de’ tristi e serba premio a’ buoni e gastigo a’ tristi “.
La fede in queste tre semplici verità era la strada per superare le dispute teologiche che avevano diviso le Chiese e che avevano scatenato anche guerre di religione e stragi.
Questa “repubblica ” universale è organizzata in una serie di “collegi “, comunità che comunicano tra loro con messaggi cifrati. Si tratta di una sorta di società segreta internazionale destinata progressivamente ad espandersi fino al crollo delle grandi istituzioni ecclesiastiche e alla convocazione di un nuovo Concilio. L’utopia di Pucci si basa su un messaggio prevalentemente religioso, tuttavia in alcuni punti egli si sofferma anche sull’organizzazione politica e sociale della comunità, come quando assegna grande importanza all’educazione familiare. O come quando afferma che la “carità” sia il “legame della perfezione cristiana e della unione civile “, mostrando così, come ha sottolineato Perini, un’identità di vedute, circa il fondamento ultimo della società, con Tommaso Moro e Savonarola.
Nel 1625 venne pubblicato a Venezia ” La Repubblica d’Evandria ” un dialogo di Lodovico Zuccolo. Nato a Faenza, Zuccolo, dopo infanzia e adolescenza vissute in povertà, grazie all’aiuto di Giacomo fratello del padre, riuscì a laurearsi in filosofia a Bologna ( 1608 ). Nello stesso anno si trasferì ad Urbino alla corte dei Della Rovere, dove, come segretario e precettore, rimase fino al 1617 ( per questa lunga permanenza sarà detto ” Il Picentino ” ). In questi anni comparvero anche i suoi primi dialoghi su questioni letterarie, giocose e filosofiche. Lasciata la corte di Urbino, Zuccolo tornò a Faenza ( 1618 ) ma sarà soprattutto a Venezia ( dove frequenterà i circoli del teologo Paolo Sarpi ) che si affermerà come scrittore politico e dove pubblicherà tre dialoghi utopistici: ” L’Aromatario o vero Della Repubblica di Utopia ” , ” Il Belluzzi o vero Della città felice “, ” Il Porto o vero Della Repubblica d’Evandria “. ” In quei testi Zuccolo si rivelava – scrive Vincenzo Lavenia nel Dizionario biografico degli italiani – come un critico delle società idealizzate in cui si immaginava la comunanza dei beni, si confrontava con quelli che riteneva i modelli istituzionali migliori del suo tempo (la Repubblica oligarchica di Venezia, ma anche la monarchia temperata francese), polemizzava con il lusso e celebrava il mito della libertà politica, che nel ” Belluzzi ” è incarnato da San Marino, moderna ma più equilibrata città Stato di tipo spartano. ”
La Repubblica d’Evandria, oggetto di questo articolo, è un’utopia antiegualitaria. Evandria ha una forma di governo monarchica ( le repubbliche e le democrazie sono considerate da Zuccolo Stati degenerati ) e una società gerarchicamente organizzata . I nobili esercitano il mestiere delle armi, gli altri ceti si dedicano al lavoro, ma non esiste mobilità sociale visto che i mestieri sono ereditari. Nonvi è, o quasi, alcuna religione, poichè nel dialogo, il nome di Dio è citato una volta sola. Evidentemente, come ha notato Perini, l’esperienza delle guerre di religione che avevano travolto l’Europa in quegli anni, “deve aver convinto lo Zuccolo che la religione mal si adattava – a differenza di quanto pensava Tommaso Moro – a conferire ordine, stabilità, e prosperità ad una società seppure immaginaria. ” Pertanto la moralità dei cittadini di Evandria non si fonda su valori religiosi e si basa su una serie di principi: importanza dell’educazione dei giovani; limitazione delle disparità delle fortune; rifiuto del lusso; superamento delle divisioni politiche in vista del bene della patria; esaltazione dell’operosità; stretta connessione tra ogni nuova legge e i bisogni reali della società. Vi è poi la magistratura dei censori che vigila affinchè questi principi non siano violati.
Un aspetto che distingue l’utopia di Zuccolo da altre precedenti trattazioni è lo scopo patriottico. Egli infatti immagina che la Repubblica di Evandria sia descritta da Lodovico da Porto, nonno materno che aveva combattuto nelle guerre d’Italia, per veneziani, fiorentini e per gli Sforza di Milano, sempre avendo come fine la salvezza e la libertà d’Italia. Egli deluso dalla situazione politica italiana aveva inizato a viaggiare per il mondo fino ad arrivare ad Evandria. ” Si tratta perciò – ha scritto Perini – di un ‘ utopia ‘ vista da un italiano, anzi da un esule italiano politicae causa… e descritta per altri italiani. “Negli altri aspetti, soprattutto nella sua struttura monarchica e gerarchica, l’utopia di Zuccolo ricorda la “Nuova Atlantide ” di Francesco Bacone dalla quale differisce però per la totale assenza di interesse verso le scienze.
Le utopie di Pucci e Zuccolo descrivono realtà immaginarie e in fondo irrealizzabili ma sono, al tempo stesso, il prodotto di due intellettuali profondamente calati nei problemi del loro tempo ( la riforma religiosa per il primo, la libertà d’Italia per il secondo ) e preoccupati di offrire vie d’uscita alle crisi che travagliavano la società. Pucci fu sostanzialmente un profeta, Zuccolo uno scrittore politico, entrambi vissuti in anni difficili in cui il potere politico – religioso esercitava uno spietato controllo sulla libertà intellettuale: Bruno, Galilei, Campanella, lo stesso Pucci ( condannato dall’Inquisizione per eresia e decapitato ) ne furono vittime. I loro testi hanno lo spessore della denuncia: denuncia dei mali delle Chiese e delle guerre di religione , per Pucci, denuncia della divisione d’Italia e dei cattivi governi, per Zuccolo. Denunciarono, in sostanza, i mali della società, non furono spettatori inerti del loro tempo e in questo sta il valore della loro testimonianza.
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