L’OBIEZIONE DI COSCIENZA AL SERVIZIO MILITARE NELL’ITALIA DEGLI ANNI ’60 E ’70.
di Pancrazio Caponetto – Il 15 dicembre 1972 il Parlamento italiano approvò il disegno di legge Marcora che riconobbe il diritto all’obiezione di coscienza al servizio militare per motivi morali, religiosi e filosofici. Era una prima risposta a una lotta iniziata dieci anni prima e fatta di proteste,mobilitazioni, testimonianze da parte di pacifisti, anarchici,radicali, cattolici,testimoni di Geova.
In Italia vi furono casi di obiezione di coscienza al servizio militare anche prima degli anni ’60. Nel 1916 abbiamo il primo caso documentato di un obiettore processato per diserzione per essersi rifiutato di indossare la divisa: Remigio Cuminetti, testimone di Geova. Nel 1940 il Regime fascista condannò 26 testimoni di Geova per rifiuto dell’obbligo di leva. Alla fine degli anni ’40 Rodrigo Castiello ( membro della Chiesa pentecostale ) ed Enrico Ceroni ( testimone di Geova ) furono condannati per renitenza alla leva. Nel 1949 vi fu il processo a Pietro Pinna, militante nonviolento considerato il primo obiettore di coscienza per motivi politici, condannato da un tribunale militare a diversi mesi di carcere per disobbedienza.
Tuttavia solo negli anni ’60 il dibattito intorno all’obiezione di coscienza si accese vivacemente nell’opinione pubblica, sulla stampa ,nel ceto politico. Intanto consideriamo i dati ufficiali sui casi di obiettori in carcere. Li possiamo leggere nel libro di Andrea Maori, Gli eretici della pace: 1961, 4; 1962,11; 1963,14; 1964,16; 1965, 24; 1966, 41; 1967 ( novembre ), 77.
Inoltre il decennio si aprì con le polemiche scatenate da Non uccidere, film sull’obiezione di coscienza del regista francese Claude Autant – Lara. Il film si basava su una storia vera: quella di due giovani detenuti in un carcere militare francese nel 1948. Il primo,cattolico, non vuole indossare l’uniforme perchè si rifiuta di uccidere e viene condannato come obiettore; il secondo, un soldato tedesco, costretto a partecipare alla fucilazione di un partigiano, viene assolto per aver obbedito a ordini superiori.
Il film presentato alla Mostra cinematografica di Venezia, divise i giurati, mentre la critica ne valutò positivamente il rigore morale e la denuncia del verdetto assurdo del Tribunale militare che condanna un innocente e assolve un colpevole. La pellicola venne esclusa dai circuiti delle sale cinematografiche perchè la Commissione Ministeriale della censura la ritenne un’ istigazione a delinquere, a rifiutare l’obbligo di leva.
Il 20 ottobre 1961 era stata prevista una proiezione al cinema Quattro Fontane di Roma, ma l’ingresso alla sala venne vietato dalla Questura per motivi di ordine pubblico. La decisione causò la protesta di fronte al cinema, di personalità della politica e della cultura : il deputato socialista Riccardo Lombardi, il filosofo marxista Galvano Della Volpe, lo scrittore Carlo Levi, i registi Francesco Rosi e Pier Paolo Pasolini e numerosi attori: Anna Magnani, Gina Lollobrigida, Sandra Milo, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi.
Un mese dopo vi fu la disobbedienza civile del sindaco di Firenze, il cattolico Giorgio La Pira, il quale incurante dei divieti organizzò una proiezione per giornalisti e intellettuali. La Pira, denunciato per il suo gesto, verrà poi assolto nel 1964. Nel 1962 Non uccidere otterrà il nulla osta alla proiezione sugli schermi dopo aver subito una serie di tagli di fondamentali scene. Nel complesso la vicenda del film di Autant – Lara contribuì a sollevare il caso dell’obiezione di coscienza al servizio militare al punto che alla fine del 1961 nacque un Comitato nazionale con l’obiettivo di promuovere una mobilitazione per ottenerne il riconoscimento giuridico. Al comitato aderirono, tra gli altri, i deputati socialisti Paolo Rossi e Riccardo Lombardi, gli scrittori Ignazio Silone e Nicola Chiaromonte, l’avvocato Arturo Carlo Jemolo, il filosofo Guido Calogero e il gandhiano Aldo Capitini.
Negli anni ’60 il dibattito intorno all’obiezione di coscienza fu particolarmente vivo nel mondo cattolico. Vi furono, tra gli altri, i casi dell’obiezione di Giuseppe Gozzini e Fabrizio Fabbrini. Il primo rifiutò la divisa in nome del messaggio evangelico fondato sulla fratellanza di tutti gli uomini figli di Dio, il secondo obiettò affermando che il cattolico deve rifiutare la violenza e ogni tipo di guerra compresa quella partigiana e la guerra di difesa. In solidarietà con Gozzini, condannato nel 1963, si pronunciò Padre Ernesto Balducci, il quale in un’intervista su Il Giornale del mattino, sostenne che occorreva rivedere il concetto di patria e che in alcuni casi ( guerra atomica, chimica , batteriologica ), il cristiano aveva il dovere di disobbedire. Balducci venne denunciato alla procura della Repubblica e ,nel processo, fu assolto in primo grado e condannato in appello a otto mesi con la condizionale.
Le condanne di Gozzini e Balducci spaccarono il fronte cattolico. Come ha scritto Andrea Maori nel suo libro Gli eretici della pace, la gerarchia ecclesiastica “ temeva che il riconoscimento dell’obiezione di coscienza avrebbe aperto la strada ai comunisti tesi alla conquista del potere “. Inoltre essa “ si faceva interprete della conservazione dello stato in quanto tale, senza por mano ai problemi di coscienza” che derivavano “dalla scelta obiettrice irrigidendosi su una posizione che non ammetteva possibili alternative. “
Un altro caso che scosse il mondo cattolico fu quello di Don Lorenzo Milani. Accade che l’11 febbraio 1965, anniversario della firma dei patti lateranensi tra Chiesa e Fascismo, alcuni cappellani militari diffusero un documento in cui l’obiezione di coscienza veniva definita “ estranea al comandamento cristiano dell’amore” ed “ espressione di viltà “. Don Milani reagì inviando a molti giornali, una lettera che fu pubblicata dal solo settimanale Rinascita. La sua presa di posizione in difesa dell’obiezione di coscienza gli costò una denuncia per istigazione a delinquere, accusa da cui fu assolto in primo grado ma condannato in appello, quando era ormai deceduto. Ai giudici di primo grado Don Milani inviò una lunga lettera di autodifesa, affrontando, nell’ultima parte dello scritto, il problema dell’uccisione di civili in guerra, della guerra nucleare e della guerra giusta. Egli affermava che “ La Chiesa non ha mai ammesso che in guerra fosse lecito uccidere civili, a meno che la cosa avvenisse incidentalmente cioè nel tentativo di colpire un obiettivo militare …” Quindi considerato che in una guerra atomica le armi “ mirano direttamente ai civili “, “ il cristiano deve obiettare anche a costo della vita “. In una guerra atomica, aggiungeva Don Milani, l’unica “difesa “ possibile “ sarà di sparare 20 minuti prima dell’aggressore. E se uno Stato spara 20 minuti dopo, la sua non sarà una difesa ma una vera e propria vendetta. “ Pertanto nell’era atomica, non si poteva più parlare di guerra difensiva, o di guerra giusta “ né per la Chiesa, né per la Costituzione “.
Il processo a Don Milani contribuì a riaccendere il dibattito intorno all’obiezione di coscienza nel mondo cattolico e non solo. Dopo alcune contraddittorie prese di posizione del Concilio Vaticano II, un organo ufficiale cattolico cioè il Segretariato della Commissione pontificia Justitia et pax, nel 1969, affermò in un documento la legittimità dell’obiezione di coscienza per i cattolici a causa della loro fede religiosa. La Commissione si mostrava, inoltre preoccupata per l’atteggiamento dei tribunali militari di fronte agli obiettori cattolici e raccomandava al clero, ai laici e alle organizzazioni cattoliche e di diffondere l’informazione sull’obiezione di coscienza e di impegnarsi per l’introduzione di un servizio civile alternativo.
Nello stesso anno si formò a Roma la Lega per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza con l’adesione di parlamentari depositari di disegni di legge in merito e di altre personalità di diverse tendenze politiche e religiose. La Lega presentò una dichiarazione programmatica contenente i punti fondamentali sui quali avrebbe dovuto basarsi una futura legge , tra questi la regolamentazione dei casi di obiezione di coscienza; l’istituzione di un servizio civile alternativo ma non punitivo al servizio militare; la partecipazione prevalente di civili alla Commissione avente il compito di destinare gli obiettori al servizio alternativo.
“ Si trattò – ha scritto Andrea Maori – di obiettivi ancora generici che successivamente si sarebbero radicalizzati , a costo di divisioni profonde all’interno del movimento, ma rappresentò la prima risoluzione del collegamento effettivo che si stava realizzando tra le iniziative istituzionali e quelle di base senza il quale non si sarebbe data una risposta a coloro che sostenevano l’impossibilità di un riconoscimento giuridico dell’obiezione di coscienza. “
Gli anni ’70 si aprirono con un intenso dibattito all’interno del fronte antimilitarista. Da un lato vi furono le posizioni dei Proletari in divisa, ( organizzazione legata a Lotta Continua ) e dei Collettivi Militari Comunisti del Manifesto ( entrambi espressione della sinistra extraparlamentare rivoluzionaria ), dall’altro quelle dei pacifisti nonviolenti.
I Proletari in divisa criticavano l’obiezione di coscienza e l’istituzionalizzazione del servizio civile ritenendole inefficaci come strumenti per la trasformazione della società in senso socialista e per il superamento del capitalismo. Il servizio civile rischiava di dare maggiore efficienza alle forze armate che avrebbero creato un esercito di soli professionisti e volontari espellendo dalle caserme ogni elemento rivoluzionario.
Più radicale la critica dei Collettivi Militari Comunisti che metteva in discussione l’intera filosofia della nonviolenza. In un articolo comparso sul quotidiano Il manifesto nel 1972, “Non in prigione ma in caserma “, i Collettivi contestavano la posizione dei nonviolenti sul carattere repressivo di tutti gli eserciti , esaltavano “il piccolo esercito di liberazione dei Vietcong, popolare, volontario, egualitario”, impegnato nella guerra contro gli USA, affermavano che “una forza popolare ha il diritto e il dovere di combattere e di usare le armi. “ e accusavano gli obiettori di essere fuori dalle lotte rivoluzionarie del proletariato contro il capitalismo.
La risposta venne da un articolo pubblicato su Azione Nonviolenta,la rivista del Movimento Nonviolento. La nonviolenza è, si legge nell’articolo, “ attivissima lotta per cambiare il corso della storia.” Essa si propone di superare le condizioni di sfruttamento disumano della società capitalistica ma rifiuta la violenza rivoluzionaria, che spinta fino all’uccisione del capitalista, nega la sua umanità e l’umanità stessa di chi uccide. Quanto alla lotta dell’esercito popolare dei Vietcong ( di cui si riconosceva l’eroismo ), essa non sfuggiva alla logica delle grandi potenze in quanto era possibile grazie all’appoggio dell’URSS e della Cina che non avrebbero mancato prima o poi di far sentire il loro condizionamento. Infine la proposta dei soldati comunisti di usare l’insubordinazione come strumento di lotta per trasformare le caserme in luoghi armati di un esercito rosso, veniva considerata “improbabile” e “inaccettabile” ed a questa si opponeva l’obiezione di coscienza di massa da praticare fuori e dentro le caserme.
Nei primi anni ’70 il fronte antimilitarista – nonviolento non fu solo impegnato nel dibattito interno, ma diede vita anche a numerose iniziative di lotta, tra le tante: restituzione dei congedi militari; spedizione, nell’estate del 1972 di oltre 12.000 cartoline ai presidenti delle camere per sollecitare la discussione di una proposta di legge in merito; nascita di un Comitato valdese – metodista di solidarietà con gli obiettori; digiuno di 39 giorni dei radicali Marco Pannella e Alberto Gardin il cui Partito aveva il segretario Roberto Cicciomessere arrestato e processato per renitenza alla leva.
Alla fine, nel mese di dicembre del 1972 ,fu approvata la legge Marcora che riconosceva il diritto all’obiezione di coscienza e istituiva un servizio civile alternativo, destinato a durare otto mesi in più di quello militare. La legge istituiva anche una commissione che valutava “la fondatezza e la sincerità” dei motivi addotti dall’obiettore che rifiutava il servizio militare.
Andrea Maori, nel suo Gli eretici della pace, giudica la legge frutto di “ una discussione rapida e superficiale risultato di un compromesso tra varie posizioni. “ Inoltre, egli aggiunge che fra le intenzioni riuscite di chi aveva elaborato la legge vi era l’intento di mantenere entro limiti ristretti il numero degli obiettori e di smorzare la carica rivoluzionaria della scelta obiettrice. Molti obiettori la considerarono una “legge truffa”, come appare nelle parole dell’anarchico Franco Pasello, riportate da Maori: “…il richiedere con una domanda, detta di obiezione, il permesso al Ministero della difesa di svolgere un servizio cosiddetto civile, in sostituzione di quello militare, ed essere considerato un obiettore di coscienza, è ( comunque lo si voglia chiamare ) un atto di sottomissione. “
Pertanto la lotta degli obiettori non si arrestò con l’approvazione della legge Marcora. Nel gennaio 1973 nacque a Roma la Lega Obiettori di Coscienza ( LOC ) con l’obiettivo “di fornire una adeguata risposta politica ed organizzativa” ai tentativi che già si annunciavano, “ di utilizzare la legge in senso limitativo e discriminativo, per farne invece esplodere le contraddizioni e violare i limiti”. La LOC strinse un rapporto federativo con il Partito Radicale e aprì numerose sedi iniziando subito la lotta per un servizio civile autogestito e per denunciare l’ inadeguatezza della legge Marcora. La LOC tenne diversi congressi. Il primo a Napoli nel 1974, nel quale gli obiettori rifiutarono l’arruolamento nel Vigili del Fuoco ritenendolo non adatto al tipo di servizio civile richiesto e si dichiararono pronti ad affrontare il carcere. Di fronte a questa presa di posizione il Ministero revocò l’arruolamento previsto e gli obiettori poterono dar vita alle prime forme di servizio civile autogestito organizzando anche corsi di formazione sul militarismo, sull’emarginazione, sui servizi psichiatrici.
Il secondo congresso della LOC si tenne a Firenze nel gennaio 1975 e vide una spaccatura tra quanti sostenevano l’importanza del servizio civile e la componente radicale e libertaria che privilegiava l’obiezione totale e rifiutava il servizio alternativo alla leva. Il congresso elesse come segretario della LOC Dalmazio Bertolessi, obiettore totale detenuto nel carcere di Peschiera.
La spaccatura del fronte antimilitarista si ripropose nei successivi congressi della LOC ( Milano, gennaio 1976, Roma , gennaio 1977; Bologna, gennaio 1978 ) fino a quando non maturò la cessazione del patto federativo col Partito radicale. Nonostante queste divisioni l’antimilitarismo cercò nuove strade: lotta contro i progetti di servizio militare femminile; obiezione di coscienza alle spese militari; impegno contro il riarmo e il traffico delle armi; referendum abrogativi del codice militare e dell’ordinamento giudiziario militare; organizzazione di marce antimilitariste.
Quanto alle vicende relative all’obiezione di coscienza, bisognerà attendere una sentenza della Corte costituzionale del 1989 che dichiarerà costituzionalmente illegittima la durata superiore del servizio civile rispetto a quello armato. Altro passo avanti sarà la legge n.230 del del 1998 che abrogherà la legge Marcora del ’72 e riconoscerà per la prima volta il diritto all’obiezione di coscienza ritenuta non più un beneficio concesso dallo Stato ma un diritto della persona. Infine con l’abolizione dl servizio militare di leva ( 2004 ), risulterà superata anche l’opzione per il servizio civile.
In sede di bilancio possiamo dire che le lotte per il riconoscimento dell’obiezione di coscienza insieme ad altre battaglie per i diritti civili, combattute negli stessi anni ( divorzio, aborto ), hanno reso l’Italia un paese migliore: più libero, più democratico, più laico. Un paese dove minoranze attive hanno saputo affermare i valori della pace , della nonviolenza, del disarmo contro il militarismo imperante nella società italiana degli anni ’60 e ’70.
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