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GIULIO CESARE VANINI L’AQUILA DEGLI ATEI

di Pancrazio Caponetto – “ Certamente fu più facile bruciare Vanini che riuscire a confutarlo. “ Arthur Schopenhauer, Parerga e paralipomena

“ Quanto a Dio non credo affatto che esista; quanto al Re non l’ho mai offeso; e quanto alla giustizia, che i diavoli, se ce ne sono, la mandino in rovina. “
Queste furono le parole pronunciate da Giulio Cesare Vanini quando gli fu chiesto di domandare perdono a Dio, al Re e alla giustizia prima di essere bruciato a Tolosa, il 9 febbraio 1619, dopo essere stato condannato per ateismo, bestemmia, empietà ed altri eccessi.

Giulio Cesare Vanini era nato a Taurisano ( Lecce ) nel 1585.Poco sappiamo della sua formazione giovanile, abbiamo una sola notizia contenuta in una lettera di Vanini all’ambasciatore inglese a Venezia Dudley Carleton, che fa riferimento a suoi studi svolti sotto l’insegnamento dei gesuiti.
Tra il 1601 e il 1610 egli fu a Napoli dove studiò diritto, diventando Doctor in utroque iure ossia in diritto civile e canonico ed entrò nell’Ordine dei carmelitani nel convento del Carmine Maggiore, dove fu iniziato alla filosofia e alla teologia sulle opere del filosofo John Baconthorpe ( definito nelle sue opere Priceps averroistarum ). Nel 1610, Vanini conseguì la licentia concionandi, ossia il permesso di predicare e tentò senza successo la carriera ecclesiastica. Nello stesso anno si trasferì a Padova dove frequentò gli studi teologici e filosofici presso lo Studium generale dei carmelitani. Il suo soggiorno padovano fu sconvolto da un provvedimento adottato nel 1612, dal generale dell’Ordine carmelitano Enrico Silvio che imponeva a Vanini di trasferirsi a Sud, nella Terra del Lavoro. Secondo Francesco Paolo Raimondi, autorevole studioso di Vanini, “ si trattò senza alcun dubbio di una censura di carattere disciplinare alla quale però non furono forse del tutto estranee motivazioni di squisito sapore dottrinale e teologico. “

Tuttavia Vanini anziché raggiungere il Sud, associatosi al confratello Giovanni Maria Ginocchio amico e compagno di avventure, tentò una fuga liberatoria in Inghilterra. Essi entrarono prima in contatto con l’ambasciatore inglese a Venezia Dudley Carlton, presentandosi come difensori della Chiesa Anglicana dalle accuse mosse dai cattolici. Questi successivamente preparò la loro fuga affidandoli al suo amico e informatore John Chamberlain, che li pose sotto la protezione dell’Arcivescovo di Canterbury George Abbot .
Negli ambienti anglicani si pensava di utilizzare intellettuali provenienti dal mondo cattolico per ingaggiare un’aspra polemica contro i principi del Concilio di Trento. Pertanto è assai verosimile, come osserva Raimondi, che l’Abbot e forse lo stesso Re inglese Giacomo I, “ abbiano puntato su Vanini, che si era subito rivelato in possesso di grande dottrina, per condurre una rigorosa e coerente confutazione dei cardini della teologia controriformistica. “
Così, l’otto luglio del 1612 , nella Cappella dei Merciai di Londra ( la Chiesa riservata alla comunità protestante italiana ) , i due carmelitani pronunciarono l’abiura del cattolicesimo di fronte a un gran folla e alla presenza del filosofo Francis Bacon

Ben presto, però il rapporto di Vanini con gli ambienti anglicani si complicò e l’Inghilterra non sembrò più quella terra promessa a cui egli aveva affidato tutte le sue speranze. Troppo diverso, – come ha scritto Raimondi – per tradizione, costume e formazione religiosa era il carattere aperto e sanguigno di Vanini e Ginocchio, rispetto a quello chiuso e persino ostile degli alti prelati inglesi, in particolare dell’Abbot. A tutto ciò si aggiunse la notizia che arrivò a Vanini, della morte del Generale dei carmelitani Enrico Silvio che faceva venir meno la causa della sua fuga in Inghilterra. Pertanto il salentino riprese i contatti col mondo cattolico tramite l’ambasciatore spagnolo, Diego Sarmiento de Acuna e il nunzio di Francia, Roberto Ubaldini. Nel marzo 1613, egli inviò al Papa Paolo V un memoriale in cui cui chiedeva per sé e per il confratello Ginocchio, l’assoluzione in foro fori, la liberazione dai voti dell’ordine carmelitano e la possibilità di tornare a vivere in abito secolare.Il Pontefice rispose dichiarandosi disposto a concedere il perdono alle seguenti condizioni: Vanini e Ginocchio dovevano comparire spontaneamente di fronte al Santo Uffizio; abiurare la religione anglicana; vivere in abito secolare sotto l’obbedienza del Vescovo.

I contatti di Vanini col mondo cattolico non rimasero segreti. L’Arcivescovo di Canterbury Abbot ne venne a conoscenza e sottopose il salentino a stretta sorveglianza, fino a raccogliere prove certe del suo progetto di rientro in Italia. Pertanto, nel febbraio 1614, Vanini , venne arrestato e sottoposto a processo davanti alla High Commission, una sorta di tribunale dell’Inquisizione composto dallo stesso Abbot e altri vescovi inglesi. Dai verbali dei suoi interrogatori sappiamo che egli era accusato di aver avuto contatti con i cattolici prigionieri nel carcere londinese di Newgate; di considerare il calvinismo e il puritanesimo inglese fondati su eresie ariane e antitrinitarie; di essere ateo per aver letto libri di Machiavelli e Aretino.
Il 23 marzo 1614,Vanini, grazie all’intervento dell’ambasciatore spagnolo Sarmiento e, forse, con il consenso tacito del Re Giacomo I, riuscì a fuggire dalla prigione di Gatehouse e fu fatto imbarcare alla volta delle Fiandre. Qui sarà accolto prima dall’ambasciatore spagnolo a Bruxelles, marchese di Guadaleste e poi dal Nunzio apostolico Guido Bentivoglio. Nel maggio, Vanini e Ginocchio, fuggito anche lui dall’Inghilterra, furono mandati in Italia, dove il Pontefice attendeva sempre la loro abiura dell’anglicanesimo. Ma mentre Ginocchio si ritirò nella natia Chiavari, Vanini venne invitato a recarsi a Parigi dall’ Ubaldini, che aveva il compito, come sappiamo dalla documentazione conservata, di studiarne il comportamento “ con cautela e circospezione “. Nel giugno 1614 Vanini giunse a Parigi portando con sé il manoscritto di un lavoro sul Concilio di Trento,( Apologia pro Concilio Tridentino, ) chiedendo all’Ubaldini il permesso di darlo alle stampe in Francia con la licenza della Congregazione del Sant’Uffizio. Il testo,andato perduto, non verrà mai pubblicato in quanto le autorità ecclesiastiche erano interessate più di ogni altra cosa al rientro di Vanini in Italia ed alla sua abiura dell’anglicanesimo. Il salentino giungerà in Italia ma si guarderà bene dal recarsi a Roma, fermandosi a Genova, fino a quando, appresa la notizia dell’arresto del confratello Ginocchio da parte dell’Inquisizione, lascerà, nel 1615, la penisola per andare a Lione.
A Lione,l’editore de Harsy, darà alle stampe la sua prima opera a noi pervenuta: Amphitheartum aeternae providentiae divino-magicum, christiano- physicum, nec non astrologo- catholicum. Adversos veteres philosophos, atheos, epicureos, peripateticos et stoicos in italiano, Anfiteatro dell’eterna provvidenza divino-magico, cristiano-fisico, nonché astrologico-cattolico contro gli antichi filosofi atei, epicurei, peripatetici e stoici.

Nell’opera gli argomenti degli “antichi filosofi “ sono utilizzati per negare l’esistenza di Dio e della divina provvidenza, per dare spiegazioni razionali ai fenomeni considerati miracolosi e per dimostrare che l’uomo non possiede un’anima spirituale e immortale. Eppure secondo Jean Claude Deville, che fu censore dell’Amphitheatrum, nell’opera “ non sono sviluppate tesi estranee alla fede cattolica e romana, ma vi sono contenute acutissime argomentazioni, secondo la santa dottrina dei maestri più eccellenti in sacra Teologia… “Pertanto il testo di Vanini venne approvato e raccomandato dai censori. Il filosofo di Taurisano riuscì a sfuggire alla censura utilizzando – come ha scritto Mario Carparellli, studioso del suo pensiero – “ una serie di stratagemmi cautelativi ed espedienti letterari per indorare o nascondere il suo vero pensiero dietro una fitta e spessa cortina di fumo che nel corso degli anni gli studiosi hanno ribattezzato ‘contesti protettivi’; i quali nei suoi scritti prendono, di volta in volta, ora la forma di fantomatici incontri con atei, ora di reiterati rimandi a opere mai pubblicate, ora di ostentate ( ma insincere ) professioni di fede, ora dello pseudoplagio, ora di apparenti errori tipografici, ora del ricorso alla ‘doppia verità’…
Aldilà delle apparenze e della superficie, “ la filosofia di Vanini – ha scritto ancora Carparelli – è una filosofia innanzitutto antiteologica e antimetafisica. E’ una filososfia che si sostanzia in una critica radicale del pensiero dominante…Tutto ciò che viene accolto, creduto e tollerato per autorità, tradizione, ignoranza o superstizione viene sistematicamente vagliato e, all’occorrenza, demolito da Vanini con le sole armi della ragione, dell’esperienza, dell’ironia ma anche del buon senso. “

Quando Vanini si stabilì in Francia, il paese transalpino era governato da Maria de’ Medici, vedova di Enrico IV ( morto assassinato nel 1610 ) e madre di Luigi XIII, a nome del quale fu reggente fino a quando questi non raggiunse la maggiore età. Maria de’Medici si fece promotrice della cultura italiana a Parigi e pertanto Vanini riuscì a introdursi negli ambienti di corte e nei circoli molto diffusi dei liberi pensatori. Ottenne la protezione di personalità di spicco della cultura francese: Arthur d’Épinay de Saint-Luc, François de Bassompierre, Nicolas Brûlart, Adrien de Monluc conte di Cramail e, infine, Henri II duca di Montmorency.
Forte dell’appoggio di questi ambienti culturali diede alle stampe, nel 1616, la sua seconda opera: De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis in italiano I meravigliosi segreti della natura, regina e dea dei mortali.

L’opera, composto da quattro libri e sessanta dialoghi, presenta una concezione dell’universo materialistico – meccanicistica, in cui tutti i fenomeni, compresi quelli ritenuti miracolosi, vengono ricondotti a cause naturali. Soprattutto nel quarto libro, La religione dei pagani , dogmi e miracoli della religione ebraica e cristiana vengono confutati sulla base di un’analisi razionale o tratta dall’esperienza. Il quarto libro contiene anche il Dialogo su Dio che “in virtù dell’autonomia e della coerenza interna che lo caratterizzano” e per la “completezza ed esaustività degli argomenti” costituisce “un’opera nell’opera”, una piccola summa del vero pensiero di Vanini ( Mario Carparelli, Introduzione a Giulio Cesare Vanini, Dialogo su Dio ).

Ecco alcune delle idee più radicali e sovversive contenute nel dialogo: 1) Rifiuto della concezione antropocentrica e finalistica dell’uomo: l’universo non è stato creato per l’uomo, la sua comparsa sulla terra è dovuta al caso, la sua condizione è fatta di precarietà e miseria. 2) Cristo non era un essere divino ma un astuto politico machiavellico. 3) Il mondo esiste dall’eternità perchè essendo caratterizzato da finitudine e imperfezione non può essere stato creato da un Dio onnipotente .4) Le religioni positive sono strumenti di potere nelle mani di governanti che le usano per controllare i popoli.
Anche in questo caso le pagine più empie di Vanini sfuggirono inizialmente alla censura. “ Bisogna però tener presente – ha scritto il filosofo Arthur Schopenhauer -che Vanini ricorre continuamente allo stratagemma di impostare e presentare in modo convincente la sua vera opinione come quella che egli detesta e vuole confutare, per poi contrapporle personalmente ragioni superficiali e fiacchi argomenti ed infine, tamquam re bene gesta, scomparire trionfante e… facendo affidamento sulla malignità del suo lettore. Con questa scaltrezza seppe ingannare persino la dottissima Sorbona…”
Il De admirandis ottenne un largo successo tra i liberi pensatori e gli spiriti più critici in materia di religione, ma proprio questo insospettì la censura che un mese dopo l’uscita dell’opera, la condannerà cautelativamente.

Nel frattempo, terminata la reggenza di Maria de’ Medici, Luigi XIII prendeva in mano le sorti del regno di Francia, avviando un processo di restaurazione cattolica.Vanini, dunque, non sentendosi più sicuro a Parigi si trasferì a Tolosa, tra l’ottobre e il novembre 1616.Qui entrò nell’Accademia dei Filareti, un circolo di intellettuali, e visse, spacciandosi per un astrologo dal nome di Pomponio Usciglio, due anni di relativa tranquillità sotto la protezione di Adrien de Monluc conte di Cramail, uno degli uomini più potenti di Francia.
Per Vanini la situazione precipitò nell’agosto del 1618 quando venne arrestato dal Capitoulat ( una specie di polizia municipale ) di Tolosa sulla base di una denuncia anonima che lo accusava di magia nera.Pochi giorni dopo venne contestato a Vanini il “crimine” di ateismo, che in Francia, monarchia di diritto divino, era una forma di lesa maestà. Pertanto il filosofo di Taurisano venne consegnato al Parlamento cittadino, competente in materia, che avviò un processo nei suoi confronti.

Il processo, i cui atti sono andati perduti, – “ fu forse – come ha scritto Francesco Paolo Raimondi – uno dei più oscuri della storia moderna” e “ si protrasse per oltre sei mesi probabilmente per la difficoltà di trovare testimoni a carico. “
Il 9 febbraio 1619, il Parlamento di Tolosa, sulla base della requisitoria del pubblico ministero Guillame de Catel condannò Vanini ad essere bruciato. Nello stesso giorno la sentenza venne eseguita nella Place du Salin che dal 2012 è a lui dedicata., Al condannato venne prima strappata la lingua, l’organo con cui aveva offeso Dio, con la tenaglia, poi fu strangolato, dato alle fiamme e le sue ceneri sparse al vento.
Nella storia della cultura europea diversi intellettuali hanno ricordato Vanini e il suo martirio. Fra questi il poeta Friedrich Holderlin che gli dedicò, nel 1797, un’ode e il filosofo Arthur Schopenhauer che lo definì “ pensatore acuto e profondo “
Nel Novecento, invece, per molti anni Vanini è stato ignorato o sminuito dalla cultura ufficiale soprattutto dopo che uno studioso del suo pensiero, Luigi Corvaglia, sostenne che l’opera del filosofo di Taurisano era un “plagio gigantesco” di autori come Cardano, Pomponazzi, Agrippa. Questo giudizio di scarsa originalità lo si ritrova, sostanzialmente anche in Delio Cantimori e Nicola Abbagnano che si sono occupati di Vanini nell EnciclopediaTreccani, il primo, e nella sua Storia della filosofia, il secondo.

Negli ultimi cinquant’anni queste opinioni sono state rovesciate: alla figura e al pensiero di Vanini sono stati dedicati tre convegni internazionali di studi; sono state pubblicate le edizioni critiche e le traduzioni in italiano delle sue due opere; la Treccani ha affidato a Francesco Paolo Raimondi la cura di una nuova voce dedicata a Vanini in cui quest’ultimo viene presentato come pensatore originale e rivoluzionario.
Infine ricordiamo le parole del filosofo Sossio Giametta: “ Incastrato tra Giordano Bruno e Baruch Spinoza come terzo eroe della laicizzazione dell’Europa, Giulio Cesare Vanini è, con le sue due sole opere rimasteci, Amphitheatrum aeternae providentiae e De admirandis naturae reginae deaeque mortalium arcanis, un gigante non inferiore al suo predecessore e al suo successore. “

Molte notizie su vita e opere di Giulio Cesare Vanini si possono trovare su
www.studivaniniani.it il sito del Centro Internazionale Studi Vaniniani


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