RETI DI SPIONAGGIO NEL REGIME FASCISTA – LE ABERRAZIONI DEL POTERE
di Pancrazio Caponetto – “ Egli ha scritto una buona cosa in quel manoscritto.,..Suggerisce un sistema di spionaggio. Ogni membro della società spia gli altri ed ha il dovere di denunciarli. Ognuno appartiene a tutti e tutti ad ognuno. Tutti sono schiavi ed uguali nella loro schiavitù”
Fedor Dostoevskij, I demoni
“ Ogni fascista deve essere il carabiniere dell’altro”.
Roberto Farinacci, Il Regime fascista, 1 novembre 1927.
Ha scritto lo storico Renzo De Felice, nel suo Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, che “il fascismo fu sempre qualcosa di estremamente complesso e composito rispetto alla sua intima realtà e alla sua dialettica interna.” Mussolini considerava il fascismo un “blocco monolitico” che non ammetteva eterodossie, correnti, differenziazioni. Ma gli storici hanno messo in luce una realtà ben diversa. Tra i primi De Felice, appunto, ha evidenziato il carattere esteriore della monoliticità del fascismo e ha individuato una sua dialettica interna fatta di confronti e scontri tra singole personalità e gruppi di alleanza.
“ Se dall’esterno – ha scritto – era il fascismo, all’interno erano i fascismi o- se si preferisce – erano i fascisti, con le loro personalità, le loro origini e soprattutto con le loro posizioni personali, i loro interessi, le loro alleanze, i loro punti di forza, le loro politiche, i loro legami e le loro simpatie rispetto alle varie realtà politiche, economiche, spirituali italiane ed internazionali;…”
Più recentemente Emilio Gentile ha scritto di una “ sorda lotta fra i ‘potentati’ dell’oligarchia fascista” e Lorenzo Benadusi ha messo in evidenza come la dialettica interna tra le diverse anime del fascismo si manifestava spesso con “largo uso di ricatti e di dossier per diffamare e mettere in cattiva luce i rivali.”
Mussolini nei suoi colloqui con lo scrittore Emil Ludwig, rivendicava l’importanza di una forma di controllo capillare sui principali esponenti del fascismo: “La maggior parte dei posti importanti nel paese sono occupati da abili fascisti. Quello che non fanno già per fedeltà lo fanno per paura, perchè sanno di essere controllati.” Sappiamo dalle memorie di Quinto Navarra, cameriere del Duce, che Mussolini dedicava la prima parte della giornata ai colloqui con i capi di Carabinieri, OVRA ( servizi segreti ) e Polizia analizzando informazioni e denunce delle spie. Nel febbraio del 1943 , in una fase di difficoltà del fascismo, dubbi sulla fedeltà della Polizia, fecero nascere una rete spionistica parallela, il “ Servizio 6 X “, una sorta di personale servizio informativo del Duce.
Sotto controllo , del resto, era lo stesso Mussolini visto che Arturo Bocchini, capo della polizia politica, faceva intercettare e stenografare le sue telefonate.
Questo sistema di spionaggio veniva denunciato da un gerarca di primo piano come Roberto Farinacci che lo definiva “ deleterio” perchè creava sgomento e diffidenza tra i fascisti : “non c’è Ministro né gerarca, né fascista intemerato che non sia oggetto di sorveglianza e di controllo in ogni atto e in ogni parola. “ Come ha scritto Lorenzo Benadusi”:“ In questo quadro si dilatava a dismisura l’impiego di spie e delatori utilizzati ampiamente da un regime che aveva costruito una rete di spionaggio così fitta, capillare e diffusa da non avere precedenti in nessuna altra epoca. “Testimonianze di questo sistema di spionaggio sono rimaste nelle carte della segreteria particolare del Duce dove è depositata una gran mole di documenti che formano i dossier sui diversi gerarchi di partito.
Non erano solo gli organi ufficiali di polizia, carabinieri e OVRA a raccogliere informazioni e dossier. Fin dal periodo dello squadrismo i ras locali si erano dotati di una rete di spie che utilizzarono a lungo contro i rivali di partito. Gerarchi come Balbo, Turati, Farinacci Starace avevano creato reti di informatori al loro servizio spesso in contrasto con l’attività della polizia politica. Ancora Farinacci scriveva in una lettera a Mussolini che “ogni gerarca forma il nucleo dei suoi informatori contro i suoi nemici personali “ e ciò creava una “disonesta confusione di equivoci, di insinuazioni,di calunnie e di sospetti”. C’era insomma – ha osservato Benadusi – “ un clima di sospetto dove tutti al tempo stesso spiavano ed erano spiati. “
Vediamo alcuni casi.
Augusto Turati fu segretario del Partito Nazionale Fascista dal 1926 al 1930. Negli anni della sua segreteria egli fu impegnato in una dura lotta contro l’indisciplina e le irregolarità di alcuni gerarchi e ras locali. Tra questi Roberto Farinacci, precedente segretario del Partito Fascista. Farinacci e Turati erano distanti non solo per linea politica, ma anche per carattere e mentalità. Quest’ultimo per difendersi dagli attacchi dei suoi nemici aveva messo in piedi una rete di spionaggio personale per raccogliere informazioni sui membri del partito. “ Il suo fidato amico Ernesto Gulì , capo della Divisione polizia politica, gli forniva le prove contro chiunque potesse nuocergli e una serie di microfoni, nascosti nel suo ufficio di Palazzo Vidoni, gli servivano per registrare le conversazioni con i vari gerarchi, in modo da poter documentare le loro affermazioni più compromettenti.”( Lorenzo Benadusi, Il nemico dell’uomo nuovo ). Ma questo non gli bastò a parare i colpi di Farinacci che riuscì ad estrometterlo dalla segreteria del Partito e lo costrinse a ritirarsi dalla vita politica.Il primo attacco fu contro Ernesto Belloni, podestà di Milano, molto legato aTurati. Sulle pagine de “ Il Regime fascista”, la rivista di Farinacci , Belloni fu accusato di affarismo e riscossione di tangenti. Il podestà di Milano reagì denunciando Farinacci per diffamazione, ma nel processo che seguì, quest’ultimo risultò vincente e pertanto Turati, uscito indebolito dalla vicenda, abbandonò la segreteria del Partito per assumere la direzione de La Stampa di Torino.
Evidentemente non pago della vittoria ottenuta, Farinacci scatenò un nuovo attacco questa volta investendo al vita privata di Turati con accuse di omosessualità. Farinacci riuscì ad entrare in possesso di alcun lettere di Turati indirizzate alla sua amante Paola Marcellino e stendeva un memoriale, che inviò ad altri gerarchi come Starace ed Arpinati, nel quale denunciava “le più complete e torbide esasperazioni della psicopatia sessuale” del suo rivale. Pertanto Turati venne sollevato dall’incarico di direttore de La Stampa, rinchiuso, prima, nel manicomio di Sant’Agnese a Roma e trasferito poi in un casa di cura in provincia di Parma. La sua vita politica era finita: venne sospeso dal Partito, espulso dal Gran consiglio del fascismo “ per vita sregolata e licenziosa” e confinato a Rodi.
Altra faida interna al regime fascista fu quella che vide vittima l’ex federale di Torino Claudio Colisi Rossi, membro della direzione nazionale del partito e del Gran Consiglio.
Nell’ottobre del 1925 Mussolini aveva decretato lo scioglimento delle squadre d’azione e la fine di ogni attività illegale. A Torino operava la “Mutua squadristi” un gruppo di 600 militanti con alle spalle reati e violenze commesse. Colisi Rossi aveva in un primo tempo cercato di allontanarli dal Partito fascista, mostrandosi poi indulgente nei loro confronti. Egli pertanto nel 1926 veniva espulso dal Partito accusato di indisciplina e di fomentare divisioni interne. Anche la “Mutua squadristi” veniva sciolta e si imponeva la chiusura de “Il Maglio”, giornale dei fascisti torinesi. Questo ridimensionamento dello squadrismo lasciava delusi molti fascisti torinesi, tra questi lo stesso Colisi Rossi e i suoi fedelissimi che riprendevano le loro posizioni critiche nei confronti del Partito. A questo punto partì una campagna per screditare moralmente e politicamente Colisi Rossi al fine di eliminarlo dalla vita politica. Egli venne accusato di avere organizzato una sorta di milizia personale di squadristi, di essere massone, di aver progettato l’assassinio dei nuovi dirigenti del Partito imposti da Roma a Torino, infine di essere omosessuale. Nel 1927 Colisi Rossi venne arrestato e condannato, su ordine di Mussolini, a un anno di confino. Tuttavia egli non disarmava e grazie all’aiuto del fratello, fiduciario della polizia politica, veniva in possesso di documenti su numerosi esponenti politici e finanziari torinesi, che dimostravano un vero e proprio complotto ai suoi danni. Nel 1928, Mussolini, venuto a conoscenza di molte prove a discolpa di Colisi Rossi, con un atto di clemenza lo liberava dal confino. Tuttavia la sorveglianza della Polizia sulla sua vita privata non cessava. Un’informativa del 1931 denunciava le sue abitudini “efebiche”.
Claudio Colisi Rossi morì di tifo nel 1936 nella casa di cura Sant’Agnese di Roma dopo essere stato rinchiuso per qualche tempo in manicomio perchè “riconosciuto affetto da un pericoloso delirio paranoico. “
In psichiatria, secondo il Diagnostic and statistical manual of mental disorders ) la paranoia è una psicosi caratterizzata da «diffidenza e sospettosità pervasive nei confronti degli altri “(tanto che le loro intenzioni vengono interpretate come malevole).
Elias canetti nel suo fondamentale Massa e potere, ha scritto che “la paranoia è, nel significato letterale della parola, una malattia di potere.”E ancora. “il paranoico è il preciso ritratto del potente.”
Sappiamo, come nei casi di Turati e Colisi Rossi, che il potere fascista internò in manicomio diversi esponenti politici che si voleva eliminare. Ma come ha scritto ancora Canetti: “ Le caratteristiche e le aberrazioni del potere devono essere accuratamente raccolte e confrontate. Un malato di nervi che, reietto, abbandonato e trascurato, ha trascorso i suoi giorni in una clinica può essere più importante di Hitler e di Napoleone per il suo contributo alla conoscenza e può chiarire all’umanità la sua maledizione e i suoi sovrani.”
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