Norme & Prassi

UN REFERENDUM PER LEGALIZZARE L’EUTANASIA

Di Pancrazio Caponetto-  Martedì 20 aprile è stato depositato in Corte di cassazione , su iniziativa dell’Associazione Luca Coscioni ( associazione che si batte per il diritto alla scienza e per i diritti civili ) il quesito referendario che punta ad ottenere la legalizzazione dell’eutanasia. Del Comitato promotore del referendum fanno parte anche: Radicali Italiani, Partito Socialista Italiano, Eumans, Volt, Più Europa.

Il dibattito intorno all’eutanasia si era acceso nell’opinione pubblica italiana con il caso di Piergiorgio Welby. Welby, attivista politico e giornalista, co – presidente dell’Associazione Luca Coscioni, malato di distrofia muscolare, aveva aperto nel 2002 un blog e un forum on line per parlare di eutanasia e della sua esperienza con il dolore e la malattia incurabile. Nel 2006 egli sottopose il suo caso al Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano scrivendogli una lettera e presentò un ricorso alla magistratura per ottenere il distacco del respiratore artificiale che lo manteneva in vita. Respinto il ricorso Welby decise di porre fine alle sue sofferenze interrompendo la respirazione  artificiale con l’aiuto di un medico.

Negli anni l’Associazione Coscioni ha continuato a mantenere vivo il ricordo della battaglia di Welby e nel 2013 ha depositato alla Camera dei deputati una proposta di legge di iniziativa popolare per l’eutanasia legale, sottoscritta da 70.000 cittadini.

Un altro caso che ha contribuito a riaccendere il dibattito intorno all’eutanasia, è stato quello del DJ Fabiano Antoniani. Egli rimasto cieco e tetraplegico dopo un incidente stradale descriveva, con queste parole, riportate in un articolo su La Stampa, la sua condizione di malato incurabile e la sua volontà di porre fine al dolore : «Le mie giornate sono intrise di sofferenza e disperazione, non trovando più il senso della mia vita ora. Fermamente deciso, trovo più dignitoso e coerente, per la persona che sono, terminare questa mia agonia».

Fabo fece anche un appello al Presidente della Repubblica Mattarella affinchè la politica si occupasse del tema della legalizzazione dell’eutanasia, ma di fronte al silenzio che seguì, egli aiutato da Marco Cappato, tesoriere dell’Associazione Coscioni, si recò in Svizzera dove, in una clinica, il 27 febbraio 2017 gli venne somministrato il suicidio assistito .

Dopo la morte di Fabo, Cappato sia autodenunciò per violazione dell’articolo 580 del Codice Penale che condanna l’aiuto al suicidio. La sua autodenuncia era una scelta forte ma necessaria.  «Il processo – dichiarerà Cappato –  sarà un’occasione per processare una legge sbagliata dell’era fascista», e ancora: “ voglio che in Italia finalmente si possa discutere di come aiutare i malati a essere liberi di decidere fino alla fine»,

Nel gennaio 2018 la Procura di Milano chiedeva l’assoluzione per Cappato non avendo egli svolto “ alcun ruolo nella fase esecutiva del suicidio di DJ Fabo e non avendone rafforzato la volontà di morire.” Un mese dopo il Tribunale di Milano chiedeva alla Corte costituzionale la valutazione della legittimità costituzionale del reato di aiuto al suicidio.

Nel settembre 2019 la Corte così si pronunciava sulla vicenda: “E’ non punibile”, a “determinate condizioni”, chi “agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di un paziente tenuto in vita da trattamenti di sostegno vitale e affetto da una patologia irreversibile, fonte di sofferenze fisiche e psicologiche che egli reputa intollerabili ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli”.

Pertanto alla luce delle conclusioni della Corte, dopo qualche mese, il Tribunale di Milano assolse Cappato perché “il fatto non sussiste” e il Procuratore aggiunto Tiziana Siciliano, che aveva chiesto l’assoluzione dell’imputato, così commentò la sentenza : “E’ una giornata storica e un grande risultato perchè la decisione della Corte realizza  pienamente il significato dell’articolo due della Costituzione che mette l’uomo al centro della vita sociale…”

Nonostante l’importante sentenza della Corte Costituzionale il Parlamento non è riuscito a legiferare sull’eutanasia e proprio per colmare questo vuoto legislativo che nasce l’idea di proporre un referendum sul tema. Il quesito referendario depositato in cassazione è parzialmente abrogativo dell’articolo 579 del Codice penale ( omicidio del consenziente ). Ecco il testo del quesito: “ Volete voi che sia abrogato l’art. 579, comma 1 del codice penale (omicidio del consenziente) approvato con R.D. 19 ottobre 1930, n. 1398, limitatamente alle seguenti parole «la reclusione da sei a quindici anni.», comma 2 dell’articolo integralmente, comma 3 dell’articolo limitatamente alle parole «Si applicano»? “

In Italia è vietata l’eutanasia attiva sia nella sua forma diretta, quando un medico somministra un farmaco che procuri la morte ( art. 579 codice penale – omicidio del consenziente ) , sia nella sua forma indiretta, quando viene preparato un farmaco eutanasico assunto poi dalla persona che  richiede di porre fine alla sua vita ( art. 580 Codice penale – istigazione e aiuto al suicidio ), salvo i casi citati dalla sentenza della Corte costituzionale sul caso Cappato.

Pertanto “con il referendum parzialmente abrogativo dell’articolo 579 del Codice penale (Omicidio del consenziente), – si legge in un comunicato dell’Associazione Coscioni – si andrebbe da un lato a distinguere l’aiuto al suicidio, e dall’altro a depenalizzare l’eutanasia, attualmente vietata dalla fattispecie di omicidio del consenziente.

La raccolta delle 500.000 firma necessarie per ottenere lo svolgimento del referendum partirà a luglio e durerà tre mesi. Nei giorni 14, 15 e 16 maggio l’Associazione Coscioni e gli altri partiti e movimenti che sostengono il referendum daranno vita a una mobilitazione straordinaria per l’eutanasia legale.

“E’ arrivato il momento – ha dichiarato Marco Cappato –  di far decidere ai cittadini su un tema che i politici si sono rifiutati di affrontare…Se non si interviene ora con il referendum, il problema sarà spazzato sotto il tappeto ancora per molti anni, e noi non lo vogliamo permettere, per rispetto alle troppe persone costrette a subire condizioni di sofferenza insopportabile imposta dallo Stato italiano”.

Pancrazio Caponetto


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