Piero Martinetti un uomo libero in tempi di servitù politica
di Pancrazio Caponetto – “Ho sempre diretto la mia attività filosofica secondo le esigenze della mia coscienza, e non ho mai preso in considerazione, neppure per un momento, la possibilità di subordinare queste esigenze a direttive di qualsivoglia altro genere. Così, ho sempre insegnato che la sola luce, la sola direzione ed anche il solo conforto che l’uomo può avere nella vita, è la propria coscienza; e che il subordinarla a qualsiasi altra considerazione, per quanto elevata essa sia, è un sacrilegio. Ora col giuramento che mi è richiesto, io verrei a smentire queste mie convinzioni ed a smentire con esse tutta la mia vita…|”
Con queste parole, contenute in una lettera del 1931, indirizzata al Ministro dell’Educazione nazionale Balbino Giuliano, il filosofo Piero Martinetti comunicava il proprio rifiuto di prestare giuramento al Regime fascista.
Piero Martinetti era nato il 21 agosto 1872 a Pont Canavese ( To ). Fin dagli studi liceali matura una profonda passione per la filosofia, in particolare per il filosofo Arthur Schopenhauer, da lui definito ” il mio primo Maestro”. Dalla lettura di Schopenhauer deriverà un grande interesse per il pensiero indiano. Nel 1889 si iscrive all’Università, frequentando prima la facoltà di Giurisprudenza e passando poi a quella di filosofia. In questi anni si dedica agli studi sulle filsosofie indiane prebuddiste che confluiranno nella sua tesi del 1893 sul sistema Sankhya, il più antico dei sistemi filosofici indiani.
Tra il 1899 e il 1906 insegna nei Licei e lavora alla sua prima opera importante Introduzione alla metafisica, pubblicata nel 1904. Il testo di Martinetti viene accolto da numerose recensioni sulle principali riviste filosofiche italiane, suscita l’attenzione anche del filosofo idealista Giovanni Gentile, all’epoca in posizione dominante nella cultura italiana. Quest’ultimo è consapevole delle diverse radici culturali di Martinetti ( ” viene all’idealismo da altri porti ed altri mari…” ), ma ritiene che egli sia giunto su posizioni comuni a quelle dell’idealismo (” …il nostro incontro è appunto perciò più significativo.” ). Tuttavia Gentile non risparmia critiche e annotazioni al testo di Martinetti, riflessioni che ci fanno comprendere la distanza che separa i due filosofi , distanza che più tardi sfocerà in aperto contrasto.
La pubblicazione di Introduzione alla metafisica, permette a Martinetti di concorrere alle cattedre universitarie di Filosofia teoretica e di entrare, nel 1906,all’Accademia scientifico- letteraria di Milano che sarebbe divenuta , dal 1923, Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università Statale di Milano. Negli anni di insegnamento universitario dell’anteguerra, Martinetti tenne corsi su Schopenhauer, Fichte, Kant e divulga il suo idealismo etico-religioso nelle lezioni di Metafisica generale (1911-13) e su La visione idealistica del mondo ( 1912-14 ).
Allo scoppio della Prima guerra mondiale egli si dichiara neutralista. Il suo pensiero sulla guerra compare in uno scritto rimasto per molti anni inedito e pubblicato da un suo biografo Amedeo Vigorelli nel 1998. Il testo è stato ripreso e commentato da Giorgio Boatti nel suo Preferirei di no, volume che comprende le storie dei professori universitari che si oppossero al fascismo. Martinetti – scrive Boatti – “non solo si dimostra convinto che per evitare i conflitti occorra eliminare alle radici le ragioni sociali e le ingiustizie che dànno alla lotta tra i popoli motivo di eplodere. Ancor più impellente vede la necessità di far emergere, negli individui, una coscienza morale risoluta ‘a non transigere col divieto divino della violenza’.” Tuttavia per resistere alla guerra non basta la conversione alla nonviolenza del singolo individuo. Gli uomini debbono unirsi in un movimento collettivo, in ” piccole chiese – scrive Martinetti – legate con altre chiese consimili da vincoli puramente spirituali e nel rapporto con esse sempre ispirate soprattutto alla legge suprema della tolleranza e della carità.” Niente c’è da sperare dalle grandi Chiese perchè esse – aggiunge Martinetti – ” hanno perduto il loro specifico carattere religioso e si sono nel corso della storia trasformate in istituti di carattere prevalentemente politico. Il loro fine non è più soltanto il regno di Dio ( che non è di questa terra ) ma anche la conquista del potere e dei beni della terra. Ciò che esige naturalmente la loro subordinazione alle potenze terrene che dispongono di questi beni.”
Dopo la guerra,Martinetti sviluppò la sua visione dei rapporti tra filosofia e religione, fondando a Milano nel 1920, la Società di studi filosofici e religiosi dove tennero conferenze, oltre a Martinetti, il filosofo Antono Banfi e Luigi Fossati, ex sacerdote approdato al modernismo il movimento di rinnovamento del cattolicesimo.
Nel 1926 Martinetti è invitato dalla Società Filosofica Italiana a curare l’organizzazione del VI Congresso nazionale di filosofia da tenersi a Milano. In quel tempo il clima politico-culturale in Italia era incandescente. L’anno prima Giovanni Gentile aveva pubblicato il Manifesto degli intellettuali fascisti a cui aveva risposto Benedetto Croce con il Manifesto degli intellettuali antifascisti. Martinetti non aveva firmato nè l’uno, nè l’altro, tuttavia nel Congresso del ’26 manterrà, come si vedrà, una posizione ferma e decisa in difesa della libertà di pensiero.
I primi contrasti emergono quando la Società Filosofica chiede di dare spazio nel Congresso a studiosi dell’Università cattolica, in particolare al suo fondatore Padre Gemelli. Martinetti risponde che non gli risulta essere quest’ultimo un filosofo, pertanto non lo inserirà tra i relatori del Congresso, che avrebbero dovuto essere: il professor Emilio Ciocchetti, cattolico, Benedetto Croce, Francesco De sarlo e Ernesto Buonaiuti. il nome di Croce mette in allarme i gentiliani, ma è soprattutto la presenza di Buonaiuti a scatenare le polemiche del mondo cattolico. Buonaiuti, docente di Storia del cristianesimo, massimo esponente del modernismo italiano, poco tempo prima del Congresso era stato scomunicato dalla Santa Sede, per questo i filosofi cattolici neoscolastici ritireranno le loro adesioni all’assise. Di fronte a questa scelta, Martinetti mantiene il suo invito a Buonaiuti e in apertura del Congresso dichiarerà di non potere essere ” esecutore di un decreto di scomunica, io, filosofo, cittadino di un mondo nel quale non vi sono nè persecuzioni, nè scomuniche.” Ma le polemiche non si placheranno, anzi si scateneranno al punto da causare l’intervento del Perfetto di Milano. Accade che il filosofo Francesco De Sarlo svolge un intervento sul tema L’alta coltura e la libertà ,”un itinerario che recupera la tradizione di rispetto dei diritti civili della civiltà liberale”, a questo punto Armando Carlini, filosofo di stretta militanza fascista insorge, ” vi sono violentissini battibecchi tra relatori, convegnisti e pubblico sedati a stento da un Martinetti quanto mai deciso a non lasciar scadere la discussione in un alterco “( G. Boatti, Preferirei di no ). Vista la situazione, il Rettore dell’Universita decide la sospensione dei lavori, misura seguita dall’intervento del Prefetto di Milano che dispone lo scioglimento del Congresso per motivi di ordine pubblico. Sciogliendosi, il Congresso vota all’unanimità un ordine del giorno di protesta, scritto da Martinetti e da Cesare Goretti ( segretario del congresso ), diretto al Rettore: ” il Congresso della Società filosofica italiana riunitosi in Milano: avuta comunicazione che è stato rivolto alla Presidenza un invito superiore a chiudere i lavori … protesta in nome della libertà degli studi e della tradizione italiana, contro un atto di violenza che impedisce l’esercizio della discussione filosofica ed invano pretende di vincolare la vita del pensiero.”
Da parte fascista fu Giovanni Gentile, dalle colonne de Il popolo d’Italia, a commentare l’esito del Congresso di Milano. Egli definiva filosofi “disorientati” De sarlo e Martinetti e aggiungeva. ” La dimostrazioncella antifascista del Congresso viene da uomini che nella presente vita italiana non hanno nessunissima importanza; non sanno nemmeno che cosa il fascismo voglia, in che consista.” ( L’articolo di Gentile è citato in parte, in Giorgio Boatti, Preferirei di no ).
Si consumava così la rottura tra Martinetti e Gentile e il Congresso di Milano segnava una dolorosa “frattura umana, oltrechè dottrinale, della vita filosofica italiana” ( Eugenio Garin, Cronache di filosofia italiana ).
Dopo qualche mese di sospensione dall’insegnamento, Martinetti riprende le sue lezioni universitarie e la sua attività di studio che lo porterà, nel 1927, alla direzione della Rivista di filosofia e sfocerà, l’anno dopo, nella pubblicazione del volume La libertà. Il libro – scriverà lo scrittore Guido Piovene, allievo di Martinetti – “uscito nel 1928, in poche copie, quasi vendute sottobanco: tutti noi che lo leggemmo allora sappiamo che una copia serviva a molti, circolando di mano in mano. La libertà resta uno stupendo libro anche per impeto espressivo e passione razionale.”
La vita accademica di Piero Martinetti termina nel 1931, quando egli essendosi rifutato di prestare giuramento al Regime fascista , viene allontanato dall’insegnamento. Egli fu uno dei dodici professori univesitari, su milleduecento che dissero no al fascismo, è giusto ricordarli: tre giuristi (Francesco ed Edoardo Ruffini, Fabio Luzzatto), un orientalista (Giorgio Levi Della Vida), uno storico dell’antichità (Gaetano De Sanctis), un teologo (Ernesto Buonaiuti), un matematico (Vito Volterra), un chirurgo (Bartolo Nigrisoli), un antropologo (Marco Carrara), uno storico dell’arte (Lionello Venturi), un chimico (Giorgio Errera).
Dopo l’abbandono dell’insegnamento Martinetti si ritira a vivere nella sua casa di Spineto. Negli anni Trenta egli collaborerà intensamente alla Rivista di filosofia e lavorerà agli ultimi suoi scritti Gesù Cristo e il cristianesimo ( 1934 ), opera che venne messa all’indice dei libri proibiti della Chiesa Cattolica e Ragione e fede,una raccolta di scritti comparsi sulla Rivista di filosofia, pubblicato da Einaudi nel 1942.
Nel 1935 conosce per pochi giorni anche il carcere, quando la Polizia effettua una retat a di antifascisti di Giustizia e Libertà, fra cui Norberto Bobbio, che era in contatto con Martinetti.Bobbio lo ha ricordato così:” La fama di Martinetti era a quel tempo, nella cittadella della filosofia italiana, altissima. Oltre a Croce e a Gentile, solo Martinetti allora era considerato da noi giovani, non un professore di filosofia, ma un filosofo….”
Piero Martinetti morì il 22 marzo 1943. A lui è dedicata La Fondazione casa e archvio Piero Martinetti ONLUS. “Gli scopi principali della Fondazione – si legge nel suo sito internet – sono ricordare Piero Martinetti e promuovere la conoscenza della sua figura e della sua opera, conservare e tutelare in modo adeguato documenti e scritti martinettiani, stimolare e sviluppare gli studi nel campo della filosofia, dell’etica, della libertà di pensiero e dei diritti umani.. ” Dal sito della Fondazione( www.fondazionepieromartinetti.org ), sono state tratte molte notizie utili per la stesura di questo articolo.
Tutti gli articoli del Prof. Pancrazio Caponetto
© Litis.it – 21 Giugno 2020 – Riproduzione riservata