Avvocato – No a restituzione contributi versati anche se la pensione è modesta
Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 10866 del 08/06/2020
Per la Cassazione, i contributi solidaristici del 3% versati alla Cassa Forense non sono restituibili agli iscritti anche se la pensione è modesta rispetto a quanto versato. Risponde a canone di razionalità il disposto dell’art. 4 del Regolamento della Cassa Forense – nel testo risultante dalle delibere approvate con D.M. 24 giugno 2004, e D.M. 16 maggio 2005 -, nella parte in cui lo stesso ha previsto la facoltà per l’ente di optare per il sistema pensionistico contributivo a condizione di maggior favore per gli interessati stabilendo, al contempo, il divieto di rimborso della contribuzione legittimamente versata.
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Cassazione Civile, Sezione Lavoro, Sentenza n. 10866 del 08/06/2020
Presidente: MANNA ANTONIO
Relatore: CALAFIORE DANIELA
Data pubblicazione: 08/06/2020
SENTENZA
sul ricorso 28049-2014 proposto da:
F.G.,
– ricorrente –
contro
CASSA NAZIONALE DI PREVIDENZA ED ASSISTENZA FORENSE,
in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3874/2014 della
CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 20/05/2014 R.G.N. 6274/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/02/2020 dal Consigliere Dott. DANIELA CALAFIORE;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PAOLA MASTROBERARDIN che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato …
FATTI DI CAUSA
1. L’avv. F.G. conveniva davanti al Tribunale del lavoro di Napoli la Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza Forense (d’ora in avanti Cassa) deducendo che: in seguito all’ammissione al pensionamento di vecchiaia in data 1.1.2005 aveva fruito di un trattamento inferiore a quello spettantegli; la pensione era stata, infatti, calcolata dalla Cassa non includendo nella base di calcolo anche i contributi versati ai sensi dell’art. 10 comma primo lett. b) I. n. 576 del 1980 e, per tale ragione, ne chiedeva la condanna, previa riliquidazione della pensione, al pagamento delle differenze pensionistiche spettanti sui ratei già erogati. In subordine, chiedeva la restituzione della predetta contribuzione
versata.
2. Nella resistenza della convenuta il Tribunale, in accoglimento del ricorso, accertava che la pensione di vecchiaia del ricorrente doveva essere determinata prendendo a base di calcolo anche la contribuzione di cui all’art. 10, primo comma lett. b) I. n. 576 del 1980, in ragione del fatto che il Regolamento della Cassa era stato modificato con provvedimento del 31.12.2009 e condannava la Cassa al pagamento dei ratei e degli arretrati nella misura richiesta.
3. Proposto gravame da parte della Cassa, la Corte d’appello di Napoli riformava la sentenza di primo grado e rigettava la domanda osservando che la modifica regolamentare intervenuta nel 2009, relativa al sistema di liquidazione della pensione, non era applicabile ratione temporis alla pensione dell’avvocato F.G., pensione contributiva disciplinata dal Regolamento del 23 luglio 2004, in applicazione dei principi introdotti dalla legge n. 335 del 1995; da ciò desumeva la legittimità dell’esclusione dalla base di calcolo della pensione del contributo soggettivo del 3% sul reddito prodotto, dato il carattere solidaristico del medesimo contributo. La Corte territoriale rigettava, infine, l’appello incidentale condizionato proposto dall’avvocato F.G., alla luce della giurisprudenza di legittimità che aveva confermato la conformità a legge dell’art. 4, comma 1, del Regolamento della Cassa che aveva determinato la sostanziale abrogazione dell’obbligo di restituire i contributi legittimamente versati di cui all’art. 21 I. n. 576 del 1980 .
4. Avverso tale sentenza ricorre per cassazione l’avvocato F.G. sulla base di quattro motivi poi ulteriormente illustrati da memoria.
La Cassa resiste con controricorso pure illustrato da memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione a tutti i principi fondamentali introdotti con la riforma del sistema previdenziale di cui alla legge n. 335/1995, quali i principi di proporzionalità, corrispettività e reciprocità, nonché in relazione all’art. 2 Cost. ed agli artt. 10,11,21 I. n 576 del 1980. In particolare, il ricorrente rileva che la sentenza impugnata ha impostato il proprio ragionamento sulla errata
considerazione che l’esclusione dal calcolo della pensione contributiva liquidata al F.G. dell’intera contribuzione versata al 3% sarebbe conforme ai principi espressi dalla legge n. 335 del 1995 ed anche a quello di corrispettività, poiché il rispetto di tale principio andrebbe valutato quanto all’an della pensione e non al quantum. Ciò sarebbe dimostrato, secondo la sentenza impugnata, dal fatto che l’art. 4 del Regolamento, come modificato con delibera del 23 luglio 2004, aveva consentito il riconoscimento della pensione de qua con soli 19 anni di contribuzione versata. Tale ragionamento, a parere del ricorrente, sarebbe viziato in quanto in palese violazione della regola, propria di ogni sistema pensionistico di tipo contributivo, secondo la quale va rispettata una rigorosa proporzionalità tra tributi versati e prestazioni previdenziali, al contrario di ciò che avviene nei sistemi di tipo remunerativo. La fragilità dell’argomento, ad avviso del ricorrente, emergerebbe anche dalla motivazione addotta al fine di rigettare l’appello incidentale condizionato, motivazione che si incentra sul richiamo alla sentenza della Corte di cassazione n. 12209 del 2011 con l’affermazione dell’esistenza di un principio di reciprocità tra prestazione e controprestazione.
2. Con il secondo motivo si denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione a tutti i principi di cui alla legge n. 335 del 1995 nonché in relazione agli articoli 2,3,4,35,36 e 38 della Carta Fondamentale. Il ricorrente torna ad evidenziare la incoerenza con il sistema pensionistico proprio della Cassa forense della tesi sostenuta dalla sentenza impugnata. La illegittimità della sentenza, ad avviso del
ricorrente, emergerebbe con evidenza considerando che, seguendo l’interpretazione scelta dalla Corte territoriale, l’importo della pensione del F.G. sarebbe stato di soli euro 746,86 a fronte di contributi versati per euro 290.187,52, dato del tutto ignorato.
3. Con il terzo motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 10,11 e 21 I. n. 576 del 1980, laddove la sentenza impugnata ha confermato il carattere solidaristico della quota contributiva del 3%, sostenendo che la specifica esclusione dell’utilizzo a fini pensionistici di tale contribuzione attua i principi di cui alla legge n. 335 del 1995. Ad avviso del ricorrente, tale ragionamento sarebbe del tutto contrario ai principi ispiratori del sistema come confermato dalla giurisprudenza di legittimità (Cass. 5098 del 2003) che aveva negato natura solidaristica ai contributi al 3%.
4. Con il quarto motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 21 I. n. 576 del 1980 e dell’art. 3, comma 12, I. n. 335 del 1995, con riguardo al rigetto dell’appello incidentale condizionato, proposto al fine di ottenere se non il ricalcolo della pensione almeno la restituzione della contribuzione al tre per cento versata, in quanto dalle norme sopra indicate non potrebbe trarsi la conclusione che il sistema conosca ed ammetta ipotesi di versamento contributivo a fondo perduto.
Infatti, ad avviso del ricorrente, come già chiarito da Cass. n. 5098 del 2003, seppure la soppressione della previsione del rimborso della contribuzione non utilizzabile a fini pensionistici è certamente correlata al sopravvenuto riconoscimento di un diritto a pensione con requisiti più accessibili, deve ritenersi che tale nuovo sistema sia espressione di un principio di maggior favore che non può comportare l’esclusione del rimborso del contributo al tre per cento, prima garantito dall’art. 21 della I. n. 576 del 1980.
5. I primi quattro motivi, da trattarsi congiuntamente in quanto connessi, sono infondati. E’ opportuno ricordare che il ricorrente è titolare di pensione contributiva ex art. 4 Regolamento generale della Cassa come modificato con delibera del 23 luglio 2004. Tale prestazione deriva dalla contestuale previsione che i contributi versati alla Cassa non sono più restituibili agli iscritti ed ai loro aventi causa, ad eccezione di quelli relativi ad anni non riconosciuti validi ai fini del pensionamento per mancanza del requisito della continuità dell’esercizio professionale (art. 22 della legge n. 576/80). La disposizione regolamentare ha sostituito l’istituto del rimborso dei contributi, di cui all’art. 21 della legge n. 576/80, con la pensione contributiva sempre che l’iscritto non si sia avvalso degli istituti della ricongiunzione o della totalizzazione presso altri enti previdenziali, nè intenda proseguire nei versamenti alla Cassa al fine di conseguire il diritto alla pensione di vecchiaia, calcolata con il sistema retributivo ordinario.
6. Le modalità di calcolo contributivo sono quelle previste nel sistema generale (INPS), dalla legge 335/95. I contributi soggettivi che confluiscono nel montante da utilizzare per il calcolo sono solo quelli versati entro il “tetto” reddituale sottoposto all’aliquota del 10% (sono cioè esclusi, come nel regime ordinario,i contributi versati, a titolo di solidarietà, con l’aliquota del 3%) nonché le somme versate a titolo di riscatto o ricongiunzione. Nel sistema di calcolo contributivo incide l’età del soggetto alla data in cui viene richiesta la pensione (irrilevante invece nel calcolo retributivo).
7. Ciò in quanto il sistema contributivo, attribuendo rilievo alla residua aspettativa di vita del pensionando, prevede un aumento dei coefficienti di calcolo proporzionali all’età del soggetto richiedente.
8. Il ricorrente denuncia l’illegittimità del sistema delineato dal Regolamento in esame che ritiene in contrasto sia con il sistema previdenziale delineato dalla legge n. 335 del 1995 che con le previsioni specifiche della legge n. 576 del 1980.
9. Questa Corte, a proposito della efficacia dell’attività regolamentare della Cassa Forense all’interno del sistema delle fonti, a seguito dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 509 del 1994, art. 2, comma 1, e della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, si è pronunciata in diverse occasioni (Cass. n. 24202 del 16 novembre 2009; Cass. 12209/2011; Cass. 19981/2017; Cass. 4980/2018) con orientamento, cui si intende dare continuità, che previa ricognizione del quadro normativo come interpretato dalla precedente giurisprudenza costituzionale e di legittimità, ritiene che: a) il nuovo ente, sorto per effetto del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509 in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, non fruisce di finanziamenti o di altri ausili pubblici di carattere finanziario e mantiene la funzione di ente senza scopo di lucro cui continuano a fare capo i rapporti attivi e passivi ed il patrimonio del precedente ente previdenziale; b) tale ente ha assunto la personalità giuridica di diritto privato con il mantenimento dei poteri di controllo ministeriale sui bilanci e di intervento sugli organi di amministrazione (oggi più penetranti per effetto della L. n. 111 del 2011, art. 14) in aggiunta alla generale soggezione al controllo della Corte dei conti ed a quello politico da parte della Commissione parlamentare di cui alla L. n. 88 del 1989, art. 56: dunque è rimasto immutato il carattere pubblicistico dell’attività istituzionale di previdenza ed assistenza svolta dall’ente originario, non incidendo su di esso la modifica degli strumenti di gestione legati alla differente qualificazione giuridica e permanendo l’obbligatorietà della contribuzione a conferma della rilevanza pubblicistica dell’inalterato fine previdenziale come affermato da Corte costituzionale n. 248 del 18 luglio 1997, oltre che del principio di autofinanziamento (vedi Corte cost. n. 340 del 24 luglio 2000); c) il riconoscimento, operato dalla legge in favore del nuovo soggetto, dell’autonomia gestionale, organizzativa, amministrativa e contabile che, comunque, non esclude l’eventuale imposizione di limiti al suo esercizio (vd. Corte cost. n. 15/1999), ha realizzato una sostanziale delegificazione attraverso la quale, nel rispetto dei limiti imposti dalla stessa legge, è concesso alla Cassa di regolamentare le prestazioni a proprio carico regolamentare le prestazioni a proprio carico anche derogando a disposizioni di leggi precedenti, secondo paradigmi sperimentati ad esempio laddove la delegificazione è stata utilizzata in favore della contrattazione collettiva (vd. Cass. n. 29829 del 19 dicembre 2008; 15135/2014).
10. L’operatività di tale delegificazione all’interno del sistema delle fonti, deve aggiungersi, è stata confermata dalla Corte costituzionale con l’ordinanza n. 254/2016 in relazione alla questione di legittimità costituzionale sollevata riguardo all’art. 3 Cost., tra l’altro, del D.Lgs. 30 giugno 1994, n. 509, art. 1, comma 4, art. 2, comma 2, e art. 3, comma 2, in attuazione della delega conferita dalla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 1, comma 32, e della L. 8 agosto 1995, n. 335, art. 3, comma 12, in combinato disposto con l’art. 1 del Regolamento della Cassa forense 17 marzo 2006 e con l’art. 2 del Regolamento della Cassa forense 19 settembre 2008. La citata ordinanza, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte di cassazione relativa alla “sostanziale delegificazione” della materia, ha ribadito che la giurisdizione del giudice costituzionale, ai sensi dell’art. 134 Cost., non si estende a norme di natura regolamentare, come i regolamenti di “delegificazíone” (Corte cost. n. 427 del 2000) e, proprio con riferimento alle fonti di valore regolamentare, adottate in sede di “delegificazione”, la garanzia costituzionale va ricercata, a
seconda dei casi, o nella questione di legittimità costituzionale sulla legge abilitante il Governo all’adozione del regolamento, ove il vizio sia ad essa riconducibile, per avere, in ipotesi, posto principi incostituzionali o per aver omesso di porre principi in materie che costituzionalmente li richiedono; o nel controllo di legittimità sul regolamento, nell’ambito dei poteri spettanti ai giudici ordinari o amministrativi, ove il vizio sia proprio ed esclusivo del regolamento stesso (Corte cost. n. 427 del 2000).
11. La peculiare delegificazione appena descritta, dunque, realizza la scelta legislativa di riconoscere l’autonomia regolamentare della Cassa nella materia indicata nella L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, e l’effettivo esercizio del relativo potere, attraverso l’adozione dell’art. 4 del Regolamento generale che ha esteso il divieto di rimborso dei contributi, principio generale dell’intero sistema previdenziale (Corte cost. n. 404/2000), ha necessariamente prodotto l’effetto abrogativo delle precedenti disposizioni contenute nella L. n. 576 del 1980, art. 21. Ciò a prescindere dalla esistenza di una esplicita indicazione da parte della legge di delegificazione, posto che l’effetto abrogativo deriva comunque dalla forza normativa della legge che dispone la delegificazione e la determinazione del testo abrogato va fatta sulla base dell’interpretazione delle disposizioni in essa contenute.
12. Nella fattispecie in esame, in particolare, la materia oggetto di delegificazione è stata ravvisata dalla citata sentenza di questa Corte di cassazione n. 24202/2009 nella previsione della L. n. 335 del 1995, art. 3, comma 12, nella formulazione originaria di attribuzione del potere di adottare provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione del coefficiente di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del pro rata. E’ questa la base giuridica ed il parametro di legittimità dell’art. 4 del Regolamento della Cassa nel testo risultante dalle delibere approvate con D.M. 24 giugno 2004, e D.M. 16 maggio 2005.
13. L’effetto abrogativo, peraltro, non dipende neanche dal rispetto delle forme previste dalla L. n. 400 del 1988, art. 17, comma 2, poiché tale testo, seppure nelle intenzioni ispirato a costituire modello generale di riferimento dell’affidamento alla fonte secondaria di materia prima regolate dalla legge, si è in concreto accompagnato a numerose statuizioni di legge per specifiche materie che o rinviano a questa disposizione con delle varianti, oppure stabiliscono autonome procedure più o meno simili (ad es. L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 2, commi 7 e 9).
14. La delegificazione in oggetto risulta legittimamente adottata in assenza di una riserva assoluta di legge in materia di regolamentazione da parte della Cassa degli obblighi contributivi e di rimborso dei contributi versati, nè si ravvisa alcuna violazione delle finalità indicate dalla legge di delegificazione.
15. Risponde, inoltre, a canone di razionalità il disposto dell’art. 4 del Regolamento della Cassa sopra indicato, nella parte in cui lo stesso ha previsto la facoltà per l’ente di optare per il sistema pensionistico contributivo a condizione di maggior favore per gli interessati stabilendo, al contempo, il divieto di rimborso della contribuzione legittimamente versata.
16. La tesi del ricorrente muove dall’erroneo presupposto che sia operante una sorta di necessaria corrispettività tra contribuzione versata e divieto di rimborso dei contributi legittimamente versati, per cui non rispetterebbe tale relazione il trattamento contributivo commisurato ai soli contributi versati al 10%. Tale presupposto non esiste, anzi alla luce di Corte costituzionale n. 404/2000, si deve rammentare che “l’istituto della restituzione dei contributi costituisce un tratto peculiare della previdenza dei liberi professionisti…, che non trova corrispondenza nel regime dell’assicurazione generale obbligatoria (salvo talune limitatissime eccezioni…., nel quale vige l’opposto principio dell’acquisizione, alla gestione previdenziale di appartenenza, dei contributi debitamente versati, nonostante che gli stessi non siano utili per l’insorgenza di alcun trattamento pensionistico. Il previsto rimborso da parte di alcune casse professionali dei contributi versati non vale, peraltro, a far venire meno quel principio solidaristico che, nel rappresentare l’impronta caratteristica della previdenza obbligatoria generale, tende, come più volte evidenziato dalla Corte (tra le altre, vedi sentenze n. 450 del 1993 e n. 390 del 1995), ad ispirare ormai anche la previdenza dei liberi professionisti, almeno secondo il modello in essa più diffuso, nel quale detto principio, sia pure con valenza endocategoriale, normalmente concorre, combinandosi con quello di irrispettività tra contribuzione e prestazioni, a garantire, a tutti i membri della categoria, una prestazione minima”. E ciò in quanto, secondo la stessa giurisprudenza della Corte costituzionale citata, l’istituto del rimborso contributivo “non implica necessariamente la corrispettività tra contributi e pensioni, ma soltanto una particolare configurazione dei doveri di solidarietà comunque posti a carico di tutti gli iscritti” (vedi sentenze n. 133 e n. 132 del 1984). Prevale l’esigenza di tutela dei livelli di finanziamento del sistema previdenziale della categoria professionale e la tutela degli equilibri finanziari del medesimo; non può non restare affidato alle valutazioni discrezionali del legislatore di stabilire in quale misura l’interesse dei singoli alla restituzione dei contributi sia suscettibile di contemperamento con il principio di solidarietà (vedi sentenza n. 450 del 1993, già cit.).
17. Da ultimo, e per le medesime considerazioni sopra riportate in relazione alla legittimità dell’art. 4 del Regolamento cit., va disatteso anche il quarto motivo, che riprende la domanda subordinata di rimborso della contribuzione al tre per cento, quale trattamento di maggior favore, rivendicando l’applicazione dell’art. 21 della L. n. 576 del 1980, ormai abrogato.
18. In definitiva il ricorso va rigettato. Le spese di lite seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre ad Euro 200,00 per esborsi ed oltre spese generali nella misura del 15% e spese accessorie di legge. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo dì contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 5 febbraio 2020.