Le mani dei clan su giochi e scommesse, 8 arresti a Palermo
di Salvo Cataldo – Scommesse sportive gestite da clan mafiosi: sequestrati capitali aziendali per 40 milioni di euro
Gli investimenti della mafia nella gestione dei giochi e delle scommesse sportive sono al centro di una operazione della guardia di finanza, coordinata dalla Direzione distrettuale antimafia di Palermo, che ha portato a otto arresti e a due divieti di dimora. Cinque degli otto sono finiti in carcere e tre ai domiciliari.
Queste le accuse: partecipazione e concorso esterno in associazione di stampo mafioso, riciclaggio e trasferimento fraudolento di valori con l’aggravio di avere favorito le cosche mafiose della città. Con lo stesso provvedimento il gip ha disposto il sequestro preventivo dell’intero capitale sociale e del compendio aziendale di otto imprese con sede in Sicilia, Lombardia, Lazio e Campania: cinque di queste sono titolari di concessioni governative cui fanno capo i diritti per la gestione delle agenzie di scommesse.
Sequestrate anche nove agenzie di scommesse a Palermo, Napoli e in provincia di Salerno gestite da aziende riconducibili agli indagati. Il valore complessivo del sequestro è di quaranta milioni di euro. L’operazione, denominata ‘All Inn’, ha visto impegnati duecento finanzieri in forza ai reparti di Palermo, Milano, Roma, Napoli e Salerno che stanno inoltre effettuando decine di perquisizioni in Sicilia, Campania, Lazio e Lombardia.
UN GIRO DA UN MILIONE DI EURO E RISCHIO INFILTRAZIONE PER IL COVID
Un volume di gioco di circa cento milioni di euro. A tanto ammonta il valore degli affari gestiti dall’organizzazione che grazie a Cosa nostra aveva allargato i suoi interessi nel campo dei giochi e delle scommesse sportive. Gli indagati, scoperti dalla Dda e dalla guardia di finanza di Palermo, “grazie alla loro abilità imprenditoriale e ai vantaggi derivanti dalla vicinanza ai clan, hanno acquisito – dicono gli inquirenti – un numero sempre maggiore di licenze e concessioni per l’esercizio della raccolta di scommesse fino alla creazione di un impero economico”. L’inchiesta ha fatto emergere inoltre il rischio di infiltrazioni della criminalità organizzata nel tessuto economico legale oggi in seria difficoltà a causa delle conseguenze derivanti dall’emergenza epidemiologica data dal Covid-19. Una “minaccia” confermata dagli inquirenti che ricordano come il gruppo imprenditoriale indagato nell’operazione ‘All in’ abbia acquistato nell’ultimo periodo un immobile e un’agenzia di scommesse, entrambi sequestrati, senza fare ricorso a finanziamenti bancari.
GLI ARRESTATI
Questi i nomi dei cinque destinatari dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal gip di Palermo nell’ambito dell’inchiesta ‘All In’, che ha alzato il velo sugli interessi della mafia nel settore dei giochi e delle scommesse: Francesco Paolo Maniscalco, 57 anni; Salvatore Sorrentino, 55 anni; Salvatore Rubino, 59 anni; Vincenzo Fiore, 42 anni; Christian Tortora, 44 anni.
Tre indagati sono finiti ai domiciliari: Giuseppe Rubino, 88 anni; Antonino Maniscalco, 26 anni; Girolamo di Marzo, 61 anni. Per altri due indagati è scattato il divieto di dimora a Palermo: Elio e Maurizio Camilleri, di 62 e 65 anni.
Per la procura di Palermo, che ha portato avanti le indagini con i sostituti coordinati dal procuratore aggiunto Salvatore De Luca, le aziende sequestrate sarebbero state “strategicamente dirette da soggetti appartenenti e contigui a Cosa nostra” e sarebbero state “finanziate da risorse economiche” provenienti dalle attività illecite dei clan.
Intercettazioni telefoniche e ambientali, pedinamenti e riprese video, oltre che l’esame dei flussi finanziari, hanno portato gli inquirenti e i finanzieri del Gico a evidenziare la “sistematica ricerca del potere economico da parte di Cosa nostra” attraverso il controllo del settore dei giochi e delle scommesse sportive.
Le due figure “centrali” secondo gli inquirenti erano quelle di Francesco Paolo Maniscalco e Salvatore Rubino, entrambi finiti in carcere. Attorno ai due gravitava il gruppo di imprese sequestrate, mentre secondo gli investigatori gli indagati sarebbero riusciti a “infiltrarsi” nell’economia legale attraverso il controllo di imprese che detengono anche le concessioni statali, rilasciate dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli a seguito di bando pubblico, per la raccolta di giochi e scommesse sportive: la gestione “occulta” di queste imprese veniva “demandata” a Vincenzo Fiore e Christian Tortora, anche loro in carcere.
Un progetto aziendale “ambizioso” che per la procura di Palermo “ha beneficiato di finanziamenti provenienti sia dal mandamento di Porta Nuova, attraverso il ‘cassiere’ pro tempore che ha investito e ricavato liquidità utile anche al sostentamento dei carcerati, sia da dal mandamento di Pagliarelli, attraverso l’acquisto di quote societarie operato dai fratelli Elio e Maurizio Camilleri”, imprenditori considerati “vicini” al reggente del mandamento e per i quali è stato disposto il divieto di dimora a Palermo. Quell’investimento venne poi liquidato a causa di dissidi interni con l’erogazione, in più tranche, di oltre 500mila euro. le indagini hanno portato al monitoraggio di diversi summit mafiosi cui hanno partecipato anche massimi vertici del mandamento di Pagliarelli, come Settimo Mineo e Salvatore Sorrentino, chiamati in causa proprio per dirimere alcuni contrasti. La tesi degli investigatori è che l’espansione della rete di agenzie di scommesse e di corner sul territorio sia stata “garantita dall’ombrello protezionistico delle famiglie mafiose” con cui gli indagati “si sono costantemente relazionati – dicono dalla guardia di finanza – ottenendo reciproci vantaggi”.
I contatti con Cosa nostra non si sarebbero limitati ai mandamenti di Porta Nuova e Pagliarelli: sono state documentate delle “interazioni” anche con referenti della Noce, di Brancaccio, di Santa Maria di Gesù e di Belmonte Mezzagno, piccolo centro alle porte di Palermo. In questi territori, una volta ottenuta la “necessaria” autorizzazione mafiosa, sono stati aperti altri centri scommesse. Gli indagati avrebbero avuto contatti anche con esponenti del mandamento di San Lorenzo, sul versante occidentale di Palermo, per l’affidamento di lavori di allestimento delle agenzie del gruppo a imprese “riconducibili” ai vertici mafiosi di quella zona.
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