Sezioni Unite – Droghe leggere. L’aggravante scatta dopo i due chili
Cassazione Penale Sezioni Unite, Sentenza n. 14722 del 12/05/2020
“A seguito della riforma introdotta nel sistema della legislazione in tema di stupefacenti dal d.l. 20 marzo 2014, n. 36, convertito con modificazioni dalla legge 16 marzo 2014, n. 79, mantengono validità i criteri fissati dalla sentenza delle Sezioni Unite n. 36258 del 24 maggio 2012, Biondi, per l’individuazione della soglia oltre la quale è configurabile la circostanza aggravante dell’ingente quantità prevista dall’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309/90.”
“Con riferimento alle c.d. droghe leggere la soglia rimane fissata in 2 kg. di principio attivo”.
Questo il principio enunciato dalle Sezioni Unite Penali della Corte di Cassazione nella sentenza in rassegna.
Secondo le S.U., rimane di perdurante attualità ed efficacia dimostrativa – con le precisazioni che seguiranno a proposito delle c.d. “droghe leggere” – la base
sostanziale e formale delle conclusioni cui sono pervenute le Sezioni Unite nella sentenza “Biondi” del 2012 per la definizione dei criteri di individuazione della circostanza aggravante dell’ingente quantità; conclusioni che – collegando l’entità della sanzione anche a dati oggettivi i quali indirizzano in funzione di garanzia la discrezionalità del giudice – soddisfano insieme, come rilevato, ineludibili esigenze costituzionali e convenzionali di determinatezza del precetto penale e parità di trattamento. Non può sfuggire, a questo proposito, il limite intrinseco dell’indirizzo rimasto minoritario il quale, pur sollecitando un ripensamento della giurisprudenza “Biondi” in ragione del ritenuto “accresciuto tasso di modulazione normativa” conseguente alla riforma del 2014, di tale ripensamento non indica la direzione, limitandosi ad assegnare genericamente al giudice di rinvio la ricostruzione di un criterio alternativo, così tornando a rendere “vaga” una norma “elastica” alla quale l’interpretazione sistematica delle Sezioni Unite ha dato concretezza e determinatezza.
Successivamente alla pronuncia delle Sezioni Unite ed all’interno dell’indirizzo giurisprudenziale poi definitivamente affermatosi che ne ha condiviso il criterio “aritmetico” temperato dalla discrezionalità giudiziale, si è sviluppato un contrasto interpretativo concernente la individuazione precisa dei fattori della moltiplicazione il cui prodotto determina il confine inferiore dell’ingente quantità nell’ipotesi di reati concernenti le c.d.”droghe leggere”.
Tale contrasto ha avuto origine da un’imprecisione contenuta nella sentenza resa in causa Biondi la quale, individuato in 2000 il moltiplicatore deldato numerico (costituito dal valore soglia di principio attivo, cioè la quantità massima detenibile) da utilizzare come primo fattore dell’operazione per determinare il livello ponderale minimo, pure numerico, dell’ingente quantità, ha indicato per le c.d. droghe leggere un “valore soglia”, espresso in milligrammi, pari
a 1000.
Ed invero, pur avendo la sentenza operato, al fine di individuare i dati dei valori-soglia, un generico riferimento alle tabelle di cui agli artt. 13 e 14 del d.P.R. n. 309/90 le quali, come si è detto, hanno solo la diversa funzione di individuare le sostanze “vietate” o comunque sottoposte a controllo, appare evidente come le Sezioni Unite abbiano tratto tali valori dall’«elenco» allegato al più volte citato D.M. 11 aprile 2006 previsto dall’art. 73. comma 1 bis, legge “Fini Giovanardi (ed ora “recuperato” dalla riforma del 2014 come precisato al paragrafo 12.2) il quale tuttavia, al momento della decisione, prevedeva per le c.d. “droghe leggere” (THC) un valore-soglia di principio attivo, espresso in milligrammi, pari 500 e non a 1000, come invece indicato in sentenza. Tutto ciò in quanto il D.M. 4 agosto 2006 il quale – aumentando da 20 a 40 il moltiplicatore del valore di principio attivo della dose media singola (25 mg.) da applicarsi per ottenere la quantità massima detenibile – aveva portato a 1000 il valore-soglia del THC espresso in milligrammi, era stato annullato per vizi della motivazione che qui non rilevano dal Tribunale amministrativo del Lazio, Sez. III quater, con sentenza n. 2487 del 21 marzo 2007.
Immediatamente dopo la pronuncia delle Sezioni Unite la giurisprudenza di legittimità ha quindi preso atto della circostanza che prima della decisione fosse
già intervenuto l’annullamento del D.M. 4 agosto 2006 ed ha così ricondotto il valore-soglia delle “droghe leggere” all’originaria previsione di 500 milligrammi, con la conseguenza che, operata la moltiplicazione di quest’ultimo dato per il fattore 2000 indicato da Sezioni Unite “Biondi” per tutte le sostanze, il limite minimo dell’ingente quantità è stato fissato in 1 kg. di principio attivo.
Alcune decisioni hanno espressamente motivato il disallineamento (meramente numerico e non di principio) dalla sentenza Biondi proprio con specifico riferimento all’annullamento del D.M. 4 agosto 2006 (Sez. 3, n. 2294 del 22/11/2012, dep. 2013, Poerio, n.m.; Sez. 6, n. 43771 del 07/10/2014, Ammer, n.m.; Sez. 6, n. 46301 del 15/10/2014, Sala, n.m.; Sez. 6, n. 6631 del 04/02/2015, Berardi, n.m.), mentre altre hanno sostanzialmente dato per scontata l’applicazione del dato numerico pari a 500 milligrammi indicato nel D.M. 11 aprile 2006 come vigente al momento della pronuncia delle Sezioni Unite per ribadire il limite minimo dell’ingente quantità nel caso di “droga leggera” in 1 kg.di principio attivo (Sez. 4, n. 6369/2013 del 20/12/2012, Casale, n.m. sul punto;Sez. 6, n. 15788 del 09/01/2014, Laachir, n.nn.; Sez. 3, n. 44375 del 20/07/2016, Mariniello, n.m.; Sez. VII, del 11/10/2016, Rostom, n.m.; Sez. 3, n. 47275 del 19/10/ 2016, Ichaqdi, n.nn.).
A far data da Sez. 3, n. 47978 del 28/09/2016, Hrim, Rv. 268698, tale indirizzo è stato tuttavia integralmente sostituito da altro (tanto che il contrasto
segnalato dalla sezione rimettente può ben definirsi diacronico e considerato ormai riassorbito), secondo il quale, seguendo il filo logico della motivazione della sentenza “Biondi”, per rispettare le proporzioni e rendere omogeneo il principio con essa affermato alle conseguenze dell’annullamento del D.M. 4 agosto 2006, il quantitativo minimo di principio attivo di sostanza stupefacente del tipo “leggero” al di sotto del quale non è ravvisabile la circostanza aggravante di cui all’art. 80, comma 2, d.P.R. n. 309 del 1990, «deve essere necessariamente pari al doppio di quello da essa (erroneamente) indicato e dunque a 4.000 (e non 2.000) volte il quantitativo di principio attivo che può essere detenuto in un giorno (corrispondente a 2 kg. di principio attivo, che del resto corrisponde a quanto ipotizzato immaginando un quantitativo lordo di sostanza pura al 5%)».
A tale decisione si è conformata la giurisprudenza successiva, anche in questo caso con motivazioni tutte lessicalmente sovrapponibili a quella di cui si è appena dato conto (Sez. 3, n. 5427/17 del 21/09/2016, dep. 2017, Di Maggio, n.m.; Sez. 3, n. 14214 del 09/12/2016, dep. 2017, Palaj, n.m.; Sez. 4, n. 11722 del
17/01/2017, Aliaj, n.m.; Sez. 6, n. 36209 del 13/07/2017, Trifu, Rv. 270916; Sez. 6, n. 18829 del 16/02/2018, Mauceri, n.m.; Sez. 4, n. 50300 del 07/11/2018,
Forti, rv 274049; Sez. 4, n. 49366 del 19/07/2018, Coku, Rv. 274038).
Le Sezioni Unite, con la precisazione che seguirà, ritengono la correttezza di quest’ultimo orientamento, perché aderente al reale contenuto dell’analisi effettuata dalla sentenza “Biondi” del 2012 come riferita alle caratteristiche oggettive della sostanza (qualità, quantità, concentrazione) idonee a rendere applicabile l’art. 80, comma 2, d.P.R. 309/90.
Detta analisi, svolta come già precisato su dati giudiziari empirici, ma altamente dimostrativi del fenomeno, si è sviluppata da parte delle Sezioni Unite
dapprima commisurando il dato oggettivo delle quantità di stupefacente alle quali attribuire – secondo la verifica effettuata in concreto da un osservatorio
privilegiato – rilievo ponderale tale da poter integrare il valore minimo per la configurabilità della circostanza aggravante de qua; e quindi, in successione logica e partendo dalla premessa teorica della fissazione normativa della quantità massima detenibile, individuando un moltiplicatore di questa che consentisse di ricostruire e rappresentare in termini numerici proprio quel valore ponderale minimo come determinato attraverso l’esame dell’esperienza giudiziaria.
In altre parole, nel ragionamento della Corte è venuta prima la verifica delle quantità definibili ingenti (significativo il riferimento esemplificativo ai 50 kg. di “droghe leggere”) e poi quella dei numeri atti a rappresentarle, sicché l’evidente errore di lettura del D.M. quanto al valore-soglia di principio attivo del THC non può inficiare in alcun modo l’accertamento empirico delle quantità rilevanti effettuato dalle Sezioni Unite, ma impone solo una correzione dei fattori del calcolo per ricostruirlo secondo i principi espressi in sentenza; e che questa correzione riguardi il moltiplicatore normativo della dose media singola (20 divenuto 40 e poi tornato 20) per ottenere la dose-soglia o, in alternativa, il moltiplicatore empirico di questa (2000 o 4000) poco importa, perché il risultato aderente all’esito dell’indagine induttiva delle Sezioni Unite cristallizzato nella sentenza “Biondi” è che la soglia minima perché si possa intendere ingente una quantità di “droga leggera” è di 2 kg. di principio attivo.
Si è detto poc’anzi della opportunità di una precisazione relativamente all’indirizzo giurisprudenziale di cui è confermata qui la validità. Tale precisazione
concerne la reiterata definizione in motivazione della dose-soglia come «quantitativo di principio attivo che può essere detenuto in un giorno» e si palesa
necessaria, più che per ragioni di correttezza terminologica, per il contributo che essa può fornire al giudice nell’ambito dell’esercizio della residua discrezionalità valutativa della sussistenza o meno della circostanza aggravante dell’ingente quantità nei casi in cui risulti superato il valore minimo ponderale determinato secondo l’insegnamento delle Sezioni Unite.
E’ d’uopo qui rammentare che la figura giuridica della “dose media giornaliera” quale limite alla detenzione per uso esclusivamente personale sia stata introdotta con la legge 26 giugno 1990, n. 162, poi confluita nel d.P.R. n. 309/90, artt. 75 comma 1, e 78, comma 1, lett. c) e sia venuta meno all’esito di referendum popolare (d.P.R. 5 giugno 1993, n. 171).
La normativa attuale, come si ricava dalla lettura del preambolo al più volte citato D.M. 11 aprile 2006, contiene nell’«elenco» ad esso allegato l’indicazione,
per ogni sostanza, in primis di una dose media singola, intesa come quantità di principio attivo per singola assunzione idonea a produrre in un soggetto tollerante e dipendente un effetto stupefacente e psicotropo; e, di seguito, quella di una dose-soglia, significante la quantità massima detenibile, la quale è data dall’incremento della dose media singola in base ad un moltiplicatore variabile in relazione alle caratteristiche di ciascuna sostanza: essa prescinde totalmente dalla frequenza delle assunzioni nell’arco della giornata e perciò sembra anzi consentire (tollerare) anche un modesto accumulo per più giorni, sempre presunto come destinato all’uso personale.
L’unità di misura rapportabile al singolo cliente-consumatore è e deve pertanto essere non quella della non più normativamente esistente e perciò giuridicamente irrilevante “dose media giornaliera” (il cui valore era stato fissato dal D.M. 12 luglio 1990, n. 186), bensì quella del valore soglia (la quantità massima detenibile) posto a base del percorso argomentativo delle Sezioni Unite Biondi e ricavato dalla moltiplicazione del valore espresso in milligrammi della dose
media singola per un fattore – di individuazione ministeriale sulla base di scelte di discrezionalità tecnica – pari a 5 per la cocaina, 10 per l’eroina, 20 per il THC, la cui determinazione già sconta la differente pericolosità o efficacia drogante dei vari tipi di stupefacente.
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Cassazione Penale Sezioni Unite, Sentenza n. 14722 del 12/05/2020