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I libri del mese scelti dalla Dire

di Alessandro Melia – Ad aprile abbiamo letto Paolo Miorandi, Henry David Thoreau, Ben Lerner, Georges Simenon e Sadeq Hedayat


Paolo Miorandi – L’unica notte che abbiamo (Exorma)

Paolo Miorandi è uno degli scrittori italiani più interessanti in circolazione. I suoi libri toccano temi come la memoria, il tempo, l’assenza; ci costringono a entrare in contatto con noi stessi e con il senso delle cose. Dopo Verso il bianco, il toccante e appassionato diario di viaggio a Herisau, in Svizzera, dove Robert Walser visse per ventitré anni internato in manicomio, Miorandi torna in libreria con quest’opera polifonica che mira a entrare nelle pieghe della storia di ogni famiglia. Sono voci che “si infiltrano senza chiedere il permesso nelle crepe della vita, che, con l’ostinazione dell’acqua che riaffiora dalle pareti, tornano a farsi sentire quando si è ormai certi di averle dimenticate”. In scena c’è un’anziana signora che ripercorre le vicende della sua famiglia che nessuno ha voluto né raccontare né ascoltare. La sua è una deposizione che viene raccolta da un uomo che ha bisogno di annotarla prima che l’eco di quelle voci si spenga. In questo gesto, nell’accoglienza della parola dell’altro, si coglie il senso dello scrivere di Miorandi. Un gesto di cui oggi abbiamo un disperato bisogno.

Henry David Thoreau – Io cammino da solo (Piano B)

“Tra le pagine di un buon libro deve riecheggiare qualcosa di simile ai suoni di un bosco” scrive Henry David Thoreau il 20 giugno 1840 sul suo diario, che la casa editrice Piano B ha il grande merito di recuperare. Concepiti non come un memoriale privato, ma come un’officina di perfezionamento e un’opera pubblica “alla pari di qualsiasi foglia in natura”, i diari possono essere considerati, insieme a Walden, le opere più significative del poeta, filosofo e attivista americano. Il libro è diviso in capitoli: maturità e formazione, nei boschi e dopo i boschi, l’impegno politico, gli ultimi anni. Thoreau fu tante cose, e sempre a modo suo: la sua essenza sta proprio nella compenetrazione di tali sfaccettature. Io cammino da solo è un romanzo della vita che non mancherà di appassionare i lettori.

Ben Lerner – Topeka School (Sellerio)

E’ un tuffo nella provincia americana degli anni Novanta la nuova opera di Ben Lerner, poeta e scrittore pluripremiato negli Stati Uniti. Il romanzo, semiautobiografico, è la storia di formazione di Adam Gordon, studente all’ultimo anno di liceo, campione di tornei di retorica. Lerner narra da diversi punti di vista i fallimenti e i successi dei Gordon, lo spettro di un passato violento, i tradimenti tra i genitori, la sfida di crescere un figlio immerso in un tossico ambiente maschile. Il romanzo è anche una sorta di preistoria del nostro presente, del collasso del discorso pubblico sepolto dal diluvio delle parole dei social, e intuisce l’emergere di un nuovo pensiero che dalla crisi di identità dei maschi bianchi fa scaturire un desiderio di rivalsa e di potere.

Georges Simenon – Il signor Cardinaud (Adelphi)

I lettori che in questo periodo hanno difficoltà a leggere perché angosciati dall’emergenza che stiamo vivendo, provino con Simenon. La possibilità che il corpo si rilassi e la mente ritrovi il gusto e la curiosità per la lettura è alta. Ne Il Signor Cardinaud, del 1942, lo scrittore narra la vicenda di Hubert Cardinaud, lasciato dalla moglie Marthe che un giorno decide di fuggire con un poco di buono. Il marito però è intenzionato a riportarla a casa ad ogni costo, perché il suo posto “è accanto a lui e ai bambini” e perché confida “nel trionfo del bene sul male”. Simenon, in modo magistrale, racconta un amore eroico, che sfida la vergogna. Ma Hubert ci riuscirà?

Sadeq Hedayat – La civetta cieca (Carbonio)

Pubblicato a Bombay nel 1936 mentre l’autore era in esilio volontario a Parigi, ‘La civetta cieca’ è l’opera più nota di Sadiq Hedayat, considerato il padre della letteratura persiana moderna. Il romanzo poté essere pubblicato in Iran solo nel 1941, dopo l’abdicazione del sovrano, e suscitò scandalo per la sua antireligiosità. Fra realtà e allucinazioni indotte dall’oppio, un miniaturista di portapenne racconta la sua tragica storia, il suo tormento, il suo desiderio di oblio. “Se ora mi sono deciso a scrivere è soltanto per rivelare me stesso alla mia ombra. Bisogna che mi faccia conoscere da lei”. Seducente, intrigante e introspettiva, la scrittura di Hedayat avvolge il lettore in una spirale che lo trascina in un vero e proprio stato di ipnosi. “Non è forse la vita dal principio alla fine una storia assurda, uno stupido labirinto?” si chiede Hedayat, che nel 1951 si suiciderà nel suo appartamento.


Fonte Agenzia Dire – www.dire.it

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