I rimedi contrattuali al tempo del Coronavirus
dell’Avv. Tatiana Parrella – L’attuale stato di pandemia, dovuto alla diffusione del covid-19, oltre a sortire devastanti effetti sulla salute della popolazione mondiale, ha generato forti criticità nell’ambito dei rapporti contrattuali, sia a livello nazionale, che internazionale.
Inevitabilmente, son stati intaccati i naturali meccanismi giuridici ed economici inerenti le forniture di beni e servizi, con pregiudizio per imprese, privati cittadini e consumatori che si trovano, sempre più spesso, nell’impossibilità di adempiere le proprie obbligazioni, anche a causa delle forti restrizioni governative contenute nel Decreto Legge, 17 marzo 2020, n. 18 ( c.d. Decreto “Cura Italia”) necessarie a fronteggiare lo stato di emergenza sanitaria.
Si pensi ad esempio alle misure restrittive della libertà personale e di circolazione, quali i divieti di allontanamento e di accesso, l’ applicazione di quarantene o le limitazioni all’accesso o sospensione dei servizi di trasporto che generano ritardi o impossibilità nella consegna di prodotti o nell’effettuazione di servizi.
Il nostro ordinamento giuridico, in particolare il codice civile, offre un ventaglio di rimedi giuridici sia nell’ambito della disciplina generale sui contratti, che in quello della regolamentazione dei singoli contratti tipici.
In relazione ai contratti stipulati prima della diffusione della pandemia, annoveriamo quello dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione, disciplinato dall’art. 1256, da interpretarsi in combinato disposto con gli artt. 1218 e 1463 cc. in base al quale : “L’obbligazione si estingue quando per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile.
Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore, fino a che essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’inadempimento. Tuttavia l’obbligazione si estingue se l’impossibilità perdura fino a quando, in relazione al titolo dell’obbligazione o alla natura dell’oggetto, il debitore non può più essere ritenuto obbligato a eseguire la prestazione, ovvero il creditore non ha più interesse a conseguirla”.
Il suddetto istituto giuridico è sia una causa di esonero della responsabilità del debitore, che di estinzione dell’obbligazione, nel caso in cui ricorrano tutti i presupposti di legge, tra i quali, l’elemento oggettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, che quello soggettivo dell’assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell’evento, che ha reso impossibile la prestazione.
Tuttavia, come chiarisce la Cassazione sez. III civile, nella sentenza n. 14915/2018, un divieto o un ordine dell’autorità quali, ad esempio, i numerosi provvedimenti governativi adottati in relazione allo stato emergenza Covid-19, non sempre giustificano l’esenzione dalla responsabilità del debitore per impossibilità sopravvenuta della prestazione, soprattutto nel caso in cui il provvedimento fosse ragionevolmente e facilmente prevedibile, secondo la comune diligenza, all’atto della assunzione dell’obbligazione, oppure rispetto al quale non abbia, sempre nei limiti segnati dal criterio della ordinaria diligenza, sperimentato tutte le possibilità che gli si offrivano per vincere o rimuovere la resistenza o il rifiuto della pubblica autorità.
In relazione all’onere probatorio, nel caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione, la giurisprudenza di legittimità (Cass. civ., III, 25 maggio 2017, 13142) ha sancito che, affinché essa costituisca causa di esonero del debitore da responsabilità, deve essere offerta la prova della non imputabilità, anche remota, di tale evento impeditivo, non essendo rilevante, in mancanza, la configurabilità o meno del “factum principis” .
Un altro rimedio dato dall’ordinamento, ma limitatamente ai contratti a prestazione corrispettiva, è quello della risoluzione per eccessiva onerosità della prestazione per causa di forza maggiore, regolato dall’1467c.c.: “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall’articolo 1458.
La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell’alea normale del contratto.
La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.
Nel caso di specie, lo stato di pandemia, ponendosi come “factum principis” potrebbe agire quale condizione assolutoria dell’inadempimento contrattuale, spezzando il rapporto di sinallagmaticità e corrispettività delle prestazioni contrattuali che verrebbero meno, in virtù di eventi straordinari ed imprevedibili.
Nel nostro ordinamento giuridico, al contrario di ciò che avviene nell’ordinamento comunitario, per il quale nei contratti deve essere espressamente inserita una clausola che riconosca effetti risolutori alla causa di forza maggiore, la sussistenza di essa deve essere valutata dal giudice, in relazione al caso concreto.
Lo stesso Decreto Legge, 17 marzo 2020, n. 18, all’art. 91 impone al giudice, in sede di contenzioso civile relativo agli inadempimenti contrattuali ex art. 1218 c.c., di valutare la situazione di grave emergenza dovuta alla diffusione del COVID-19 e presuppone che egli acceda agli annoverati rimedi di cui, i principali, agli artt. 1467, 1265 c.c.
Le norme generali sull’ applicazione dei principi di buona fede nella fase delle trattative contrattuali ( 1337 c.c.)e di quella relativa all’ interpretazione( 1366 c.c.) e dell’ esecuzione ( 1375 c.c.) del contratto e di quello di diligenza nell’adempimento delle obbligazioni contrattuali( art. 1176 c.c.) fungono da parametro di bilanciamento nella valutazione del comportamento delle parti contrattuali, impedendo la deresponsabilizzazione del debitore e l’abuso dei rimedi risolutori dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione e della forza maggiore.
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