Ultimi aggiornamenti sui contenziosi pendenti contro la banca depositaria italiana dei fondi Pegasus
A seguito della conclusione delle indagini preliminari della Procura di Roma, il director della Lux Finance Ltd – società di diritto inglese dichiarata insolvente dall’Alta Corte britannica già a partire dal 2016 – è stato chiamato a rispondere dei reati di associazione a delinquere, truffa, ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza, abusivismo e ricettazione in danno di numerosi investitori italiani ed esteri che hanno perso i loro risparmi acquistando Fondi Pegasus o anche c.d. “Fondi truffa”, con rinvio a giudizio all’udienza del 6 febbraio 2019.
All’udienza del 6 febbraio, che ha contato in aula una platea di investitori, il Collegio, presieduto dal Presidente dott.ssa Ciampelli e dalla Pubblica Accusa dott.ssa Guglielmi, a seguito della richiesta della UBS – banca italiana depositaria dei fondi – di costituirsi parte civile nel processo penale quale persona offesa dai fatti, rigettando la richiesta così disponeva “ (…), quanto alla richiesta di UBS Europe SE Succursale Italia, che detta ha svolto attività professionale per conto dell’imputato e che l’esposizione delle ragioni che giustificano la domanda non risultano esaustive quanto al corretto adempimento degli oneri di gestione del mandato svolto, avuto peraltro riguardo ai principi generali che regolano la raccolta del risparmio ed al rapporto contrattuale tra banche e cliente, tra i quali, quelli di informazione e salvaguardia dell’interesse della controparte.”
Alla successiva udienza del 22 maggio 2019 il Tribunale Penale di Roma, in composizione Collegiale, autorizzava la citazione in giudizio della Banca UBS Italia S.p.a. nonché la GBM Banca S.p.a., in qualità di responsabili civili degli investimenti Pegasus Fund.
Il provvedimento assunto dal Collegio che ha consentito la citazione in giudizio delle banche depositarie come responsabili civili, sebbene ancora da accertare con un giudicato, è certamente un risultato di straordinaria importanza rispetto all’analisi condotta da questo Studio Legale che a partire dal 2016 ha evidenziato, già nei primi articoli, le criticità riguardanti gli investimenti Pegasus Rorial Fund e Pegasus Gold Fund, sia in termini oggettivi che soggettivi e la responsabilità delle banche depositarie italiane.
All’udienza del 13 settembre 2019 e successivo rinvio al 17 gennaio 2020, venivano formulate le richieste di prove, con rinvio al prossimo 30 marzo 2020.
Tutte le posizioni assunte dal Tribunale penale capitolino sono certamente guardate con favore dai molteplici investitori che hanno, diversamente, scelto la tutela giudiziaria in sede civile per l’accertamento delle responsabilità in capo alle banche depositarie dei fondi e che, in quanto tali, avrebbero dovuto tutelare la clientela e vigilare sull’operato di tutti i soggetti coinvolti a vario titolo nelle operazioni di investimento.
In aggiunta alle precedenti riflessioni, con oggi si vuole offrire un ulteriore spunto sintetico su alcune questioni, sì puramente giuridiche, ma al tempo stesso di grande approccio pragmatico.
In primo luogo, è necessario stabilire normativamente, da un punto di vista soggettivo, il soggetto in quanto tale che ha investito il proprio patrimonio per l’acquisto di fondi speculativi, c.d. “hedge funds”.
Da un’attenta analisi della documentazione agli atti, il soggetto investitore che ha scelto di acquistare un prodotto finanziario ad alto rendimento ma di elevato rischio, secondo i parametri normativi in materia di diritto bancario e finanziario, è un consumatore non qualificato.
La maggior parte degli investitori che hanno sottoscritto contratti di investimento Pegasus Fund – sia con la società emittente che con la depositaria dei fondi – non ha dichiarato di appartenere ad una specifica categoria di operatori professionali del settore finanziario – non avendone oltremodo i requisiti di professionalità richiesti dal T.U.F. per l’acquisto della particolare categoria di investimenti Pegasus Fund quali “hedge fund” collocati sul mercato oltre confine. “Elective Professional Client”, vale a dire “cliente professionale” è una qualifica che, secondo la normativa MiFid (d.lgs. 164 del 2007), viene attribuita alla clientela in grado di prendere scelte di investimento, comprendendone i rischi connessi. Già solo questo dato normativo non avrebbe dovuto consentire, ai molti consumatori, operazioni a loro precluse ab origine. Ed invero: “Affinché le persone fisiche siano considerate operatori qualificati, ai sensi dell’art. 31, comma 2, del regolamento Consob adottato con delibera n. 11522 del 1° luglio 1998 in attuazione del d.lg. n. 58 del 1998 (T.U.F.), occorre che le stesse abbiano manifestato all’intermediario la volontà di essere considerate tali e non è sufficiente che siano in possesso dei requisiti di professionalità stabiliti dal medesimo decreto legislativo per i soggetti che svolgono funzioni di amministrazione, direzione e controllo presso società di intermediazione mobiliare” (Cass. Civ., Sez. I, 20/11/2015, n. 23805).
Non è dato sapere se la società emittente, o la depositaria dopo, avessero mai sottoposto ai consumatori apposito questionario MiFid, dal quale sarebbe chiaramente emerso come molti risparmiatori non avevano le competenze in materia di investimenti e finanza e dunque erano sprovvisti dei requisiti richiesti dalla legge per accedere ad un mercato finanziario altamente rischioso.
In ogni caso le banche avrebbero dovuto vigilare sull’adeguatezza delle operazioni e considerare come alert, da parte della miriade di investitori, la medesima modalità di impiego di interi patrimoni per l’acquisto di un unico fondo di per sé complesso e quotato su un mercato estero senza operare alcuna diversificazione del portafoglio finanziario; chi eseguiva tali operazioni avrebbe dovuto addirittura rifiutarne l’adempimento o fornire una adeguata informazione, al fine di indurre il consumatore ad una conferma consapevole delle operazioni.
La successiva questione giuridica attiene alla nullità del contratto del conto corrente e di conseguenza del relativo conto dossier titoli.
Molti risparmiatori, all’epoca degli investimenti, hanno sottoscritto contratti di apertura di conto corrente e conti dossier titoli fuori dai locali commerciali, in specie presso proprie abitazioni, dinanzi a soggetti anche non autorizzati dalla banca contraente, senza che venisse mai rilasciato loro un esemplare del contratto in copia.
Secondo il più recente indirizzo delle S.U. della Corte di Cassazione, in tema di intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dal D.Lgs. n. 58 del 1998 (T.U.F.) va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicché tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente.
L’ultima questione giuridica, ma non certo per importanza, che si vuole approfondire è la responsabilità giuridica delle banche depositarie dei fondi di investimento.
Dall’attività esercitata dalle Banche depositarie appare evidente che la stessa esercitasse lo svolgimento dell’attività di custodia dei titoli. Orbene, ai sensi dell’art. 1838 c.c. “La banca che assume il deposito dei titoli in amministrazione deve custodire i titoli, esigerne gli interessi o i dividendi, verificare i sorteggi per l’attribuzione di premi o per il rimborso del capitale, curare le riscossioni per conto del depositante, e in generale provvedere alla tutela di diritti inerenti ai titoli. Le somme riscosse devono essere accreditate al depositante. Se per i titoli depositati si deve provvedere al versamento di decimi o si deve esercitare un diritto di opzione, la banca deve chiedere in tempo utile, istruzioni al depositante e deve eseguirle, qualora abbia ricevuto i fondi all’uopo occorrenti. In mancanza d’istruzioni, i diritti di opzione devono essere venduti per conto del depositante a mezzo di un agente di cambio. Alla banca spetta un compenso nella misura stabilita dalla convenzione o dagli usi, nonché il rimborso delle spese necessarie da essa fatte. È nullo il patto con il quale si esonera la banca dall’osservare, nell’amministrazione dei titoli, l’ordinaria diligenza.”
La normativa in materia finanziaria prevede specifici criteri affinché un Istituto possa assumere l’incarico di banca depositaria nonché le modalità di sub deposito dei beni di un fondo; la Banca depositaria non è, appunto, mera depositaria delle risorse del fondo, bensì è tenuta ad eseguire le istruzioni del gestore secondo quanto riportato nello Statuto del fondo, statuto la cui visione non è mai stata rilasciata agli investitori né dalla banca né dallo stesso intermediario finanziario, quale director di Lux, al momento della sottoscrizione dei contratti.
Appare evidente come, proprio per queste ragioni, il Tribunale Penale di Roma ha sin dalla prima udienza negato alla banca depositaria la possibilità di costituirsi parte civile proprio per le evidenti responsabilità che discendono dall’attività professionale svolta per conto del gestore della società emittente i fondi, in violazione dei principi generali di informazione e di salvaguardia dell’interesse dei risparmiatori, che regolano la raccolta del risparmio ed il rapporto contrattuale tra banca e cliente. Non vi è dubbio alcuno, dunque, che il ruolo di “banca depositaria”, nel caso de quo, è stato assunto senza il rispetto dei principi che regolano la materia del settore. La banca depositaria ha il compito di custodire gli strumenti finanziari e le disponibilità liquide di un fondo comune di investimento attraverso specifiche funzioni: accertare la legittimità delle operazioni di emissione e rimborso delle quote del fondo, nonché la destinazione dei redditi del fondo; accertare che nelle operazioni relative al fondo la controprestazione sia ad essa rimessa nei termini d’uso; eseguire le istruzioni della società di gestione del risparmio se non sono contrarie alla legge, al regolamento o alle prescrizioni degli organi di vigilanza. La banca depositaria è responsabile nei confronti della società di gestione del risparmio e dei partecipanti al fondo di ogni pregiudizio da essi subito in conseguenza dell’inadempimento dei propri obblighi.
Orbene. Cosa resta fare per tutti gli altri investitori dei Fondi Pegasus?
E’ indubbio che tutti gli investitori sono parti danneggiate in questa vicenda, tutte, con il medesimo interesse al recupero del proprio credito oltre al risarcimento del danno potendo agire in giudizio dinanzi al Giudice civile contro la banca depositaria.
Questo Studio Legale, specializzato in materia di diritto bancario e intermediazione finanziaria, sin dal 2015 per la vicenda in esame ha proceduto alla ricostruzione dei fatti con l’aiuto degli investitori e, step by step, a cercare di recuperare le somme, dapprima con l’insinuazione nella procedura di liquidazione secondo la normativa del diritto inglese e, per i piccoli risparmiatori, con l’accesso al Fondo di Garanzia del Regno Unito che, però, fino ad oggi non ha ancora erogato alcuna somma in termini di indennizzo, in attesa delle statuizioni dei liquidatori della società Lux e del processo penale dinanzi il Tribunale di Roma.
Tutto il lavoro fin qui svolto, sia in Italia che a Londra, anche grazie all’attenzione costante rivolta al processo penale, ha consentito a questo Studio Legale di intraprendere consapevolmente le opportune azioni civili contro la banca depositaria per la tutela di coloro che sono stati vittime di questa incresciosa vicenda.
Avv. Elena Pompeo Avv. Alessandra Mazzola
STUDIO LEGALE POMPEO
Avv. Elena Pompeo
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