Notifica valida anche se la casella Pec è satura
Cassazione Civile, Sezione Sesta, Ordinanza n. 3164 del 11/02/2020
A cura dell’Avv. Marco Martini
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Il lasciare la casella di PEC satura equivale ad un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite di essa e l’essere della sua gestione direttamente responsabile il titolare giustifica il considerare la conseguenza di tale atteggiamento come equipollente ad una consegna dell’atto. Lo afferma la Corte di Cassazione nell’ordinanza in rassegna.
Al riguardo, si osserva che in tema di comunicazioni, il Supremo Collegio (Sez. 5, sent. n. 7029 del 21/32018, rv. 647554- 01) ha avuto modo di precisare che: “Il mancato buon esito della comunicazione telematica di un provvedimento giurisdizionale, dovuto alla saturazione della capienza della casella di posta elettronica del destinatario, è un evento imputabile a quest’ultimo, in ragione dell’inadeguata gestione dello spazio per l’archiviazione e la ricezione di nuovi messaggi, sicché legittima l’effettuazione della comunicazione mediante deposito dell’atto in cancelleria, ai sensi dell’art. 16 comma 6 del d.l. n.n. 179 del 2012, conv. in I. n. 221 del 2012, come modificato dall’art. 47 del d.l. n. 90 del 2014, conv. in I. n. 114 del 2014” (cfr. altresì Sez. L, sent. n. 13532 del 20/05/2019, rv. 653961 – 01).
Il principio sopra richiamato è dettato per le comunicazioni, ma l’ordinamento contiene una norma sostanzialmente di contenuto omologo nel codice di procedura civile anche in tema di notificazione.
Essa si desume dal disposto di cui all’art. 149-bis , terzo comma, cod. proc. civ. in tema di notificazioni a mezzo posta elettronica eseguite dall’ufficiale giudiziario. Qui espressamente si prevede che «La notifica si intende perfezionata nel momento in cui il gestore rende disponibile il documento informatico nella casella di posta elettronica certificata del destinatario.». Ritiene il Collegio che tale disposto vada inteso nel medesimo senso indicato più esplicitamente dal disposto del d.m. n. 179 del 2012.
Va ricordato che il disposto dell’art. 20 comma 5 del D.M. n. 44 del 2011 (recante, “Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo Ric. 2018 n. 26068 sez. M3 – ud. 10-10-2019 -5- civile e nel processo penale, delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto- legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24), stabilisce che «Il soggetto abilitato esterno è tenuto a dotarsi di servizio automatico di avviso dell’imminente saturazione della propria casella di posta elettronica certificata e a verificare la effettiva disponibilità dello spazio disco a disposizione.».
E’ dunque onere del difensore provvedere al controllo periodico della propria casella di PEC. Un simile onere è manifestamente finalizzato ad assicurare che gli effetti giuridici connessi alla notifica di atti tramite lo strumento telematico si possano produrre nel momento in cui il gestore del servizio PEC rende disponibile il documento nella casella di posta del destinatario. Il disposto del d.m., data la natura secondaria della fonte, naturalmente non è sufficiente a giustificare la conclusione che in presenza di c.d. casella di PEC satura la notificazione si abbia per perfezionata.
Ma non altrettanto è da dirsi per l’espressione “rendere disponibile” figurante nel citato disposto codicistico: poiché esso individua un’azione dell’operatore determinativa di effetti potenziali e non una condizione di effettività della detta potenzialità dal punto di vista del destinatario, si giustifica la conclusione che, qualora il “rendere disponibile” quale azione dell’operatore non possa evolversi in una effettiva disponibilità da parte del destinatario per causa a lui imputabile, come per essere la casella satura, la notificazione si abbia per perfezionata, con la conseguenza che il notificante può Ric. 2018 n. 26068 sez. M3 – ud. 10-10-2019 -6- procedere all’utilizzazione dell’atto come se fosse stato notificato.
D’altro canto, con riferimento all’esecuzione della notificazione da parte dell’avvocato a norma dell’art. 3-bis della I. n. 53 del 1994, il disposto del comma 3 di tale norma, là dove allude, come momento di perfezionamento della notificazione dal punto di vista del destinatario, al «momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna prevista dall’articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68», si presta ad essere inteso nel senso che a tale ricevuta deve equipararsi anche quella con cui l’operatore attesta l’avere rinvenuta la casella di PEC “piena”.
Tanto implica che la consegna non sia potuta effettivamente avvenire (nel senso dell’inserimento nella casella del destinatario), ma giustifica che, essendo imputabile tale evento al destinatario, l’inserimento debba ritenersi come avvenuto, sì da equivalere ad una consegna effettiva.
Questa complessiva ricostruzione, sottolineano gli Ermellini, risulterebbe giustificata anche alla luce del precetto di cui all’art. 138, secondo comma, cod. proc. civ., il quale considera il rifiuto del destinatario di ricevere la copia di un atto che si tenti di notificargli a mani proprie come equivalente ad una notificazione di tale genere.
In conclusione, dunque, il lasciare la casella di PEC satura equivale ad un preventivo rifiuto di ricevere notificazioni tramite di essa e l’essere della sua gestione direttamente responsabile il titolare giustifica il considerare la conseguenza di tale atteggiamento come equipollente ad una consegna dell’atto.
Avv. Marco Martini
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