Operazioni inesistenti: il reato non guarda l’oggetto o il soggetto
Articolo di Francesco Brandi
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La dichiarazione fraudolenta vale anche se i costi esposti nelle fatture si riferiscono a persone diverse da quelle effettive, riferiti a una condotta priva del requisito dell’inerenza,
Cassazione Penale, Sentenza n. 50362 del 12 Dicembre 2020
Ai fini della configurabilità del reato di dichiarazione fraudolenta, di cui all’articolo 2, Dlgs n. 74/2000, l’indicazione di elementi passivi fittizi, per essersi l’imputato avvalso di fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, anziché relative a operazioni oggettivamente inesistenti, non incide sul perfezionamento del reato, il quale, nel riferirsi all’uso di fatture o altri documenti concernenti operazioni inesistenti, non distingue tra quelle che sono tali dal punto di vista oggettivo o soggettivo.
È quanto emerge dalla sentenza 50362 del 12 dicembre 2019 con cui la Cassazione, intervenendo su di una questione controversa nella giurisprudenza di legittimità, ha rigettato il ricorso del legale rappresentante di una srl confermando le misure cautelari disposte nei confronti dei beni societari e personali dell’indagato.
La vicenda processuale e la pronuncia della Cassazione.
Col ricorso in Cassazione l’imputato denunciava violazione del predetto articolo 2, ritenendo che il reato de quo possa essere integrato solo in caso di inesistenza oggettiva delle prestazioni.
Nel rigettare il ricorso la Cassazione aderisce all’orientamento predominante della giurisprudenza di legittimità secondo cui la regola della indeducibilità dei componenti negativi del reddito relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti non colposi trova applicazione anche per i costi esposti in fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi nell’ambito di una frode carosello, trattandosi di costi comunque riconducibili ad una condotta criminosa e quindi priva del requisito dell’inerenza all’attività di impresa. Perciò la consapevolezza da parte del contribuente di partecipare ad un sistema sofisticato di frode fiscale comporta tuttora l’indeducibilità di qualsiasi componente negativo (costi o spese) riconducibile a fatti, atti o attività qualificabili come reato, per violazione del principio di inerenza (cfr Cassazione n. 4236/2019, 53637/2018 e 42994/2015).
Secondo la Cassazione, quindi, i costi documentati in fatture per operazioni soggettivamente inesistenti non possono essere dedotti (neppure ai fini delle imposte dirette) dal committente/cessionario che li abbia consapevolmente sostenuti in quanto essi deviano rispetto le finalità tipiche dell’attività di impresa, interrompendo il nesso di inerenza con l’attività imprenditoriale. Nel caso di specie risulta che l’emittente era una società priva di sede legale, di uffici e di personale operante e tuttavia era attivissimo in scambi commerciali con numeri elevatissimi. C’erano tutti gli estremi quindi per qualificarlo come società “cartiera” il cui scopo è quello di emettere fatture per operazioni “quantomeno soggettivamente inesistenti” per consentire a terzi l’evasione dell’Iva e delle imposte dirette.
Esiste anche un (minoritario) orientamento opposto, più garantista che considera integrato il reato di cui all’art. 2 solo in caso di inesistenza oggettiva delle operazioni (in caso di imposte dirette). Secondo tali pronunce il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’Iva, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura. L’indirizzo interpretativo più garantista risulta fondato sul rilievo che l’utilizzatore della fattura non indica nella dichiarazione costi fittizi perché l’operazione sottesa alla fattura è vera e dunque non emerge un’imposta minore da quella effettivamente dovuta (cfr Cassazione n.18768/2019).
Ulteriori osservazioni
L’articolo 2 Dlgs n. 74/2000 punisce chi “al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, avvalendosi di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti, indica in una delle dichiarazioni relative a dette imposte elementi passivi fittizi”.
Affinché, pertanto, possa ritenersi realizzata la condotta prevista da tale normativa, è necessario che siano posti in essere due comportamenti diversi:
– la confezione delle fatture o degli altri documenti per operazioni inesistenti e la loro registrazione nelle scritture contabili obbligatorie o la loro detenzione a fine di prova nei confronti dell’amministrazione finanziaria (articolo 2, comma 2, Dlgs n. 74/2000)
– l’indicazione nella dichiarazione annuale di elementi passivi fittizi suffragando tali circostanze con i documenti previamente registrati (Cassazione n. 32525/2010 e 14718/2008).
Quanto alla distinzione tra operazioni oggettivamente o soggettivamente inesistenti, in ambito tributario, in base all’articolo 8 del predetto Dl n. 16/2012 come interpretato dalla sezione tributaria della Cassazione, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che siano stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo (cfr Cassazione 26461/2014 e, da ultimo Cassazione 30564/2017 e 19626/2018).
Sul punto, però, nella giurisprudenza penale si tende ad escludere sempre e comunque la deducibilità ai fini delle imposte dirette anche di queste ultime operazioni: ciò in quanto sono espressione di distrazione verso finalità ulteriori e diverse da quelle proprie dell’attività dell’impresa, comportando la cessazione dell’indefettibile requisito dell’inerenza tra i costi medesimi e l’attività imprenditoriale. Unico scopo di tali operazioni è infatti di consentire a terzi, oltre agli indubbi vantaggi commerciali derivanti dal meccanismo delle frodi carosello, comunque l’evasione dell’Iva e delle imposte dirette.
Ne deriva quindi l’adesione all’orientamento per cui il predetto articolo 8 si limita a precisare una regola per le procedure di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi, ma non ha alcuna incidenza sulla configurabilità delle condotte di dichiarazione fraudolenta punite dall’articolo 2 Dlgs n. 74/2000 (cfr Cassazione 42994/2015 e 43393/2015).
Francesco Brandi – Fiscooggi.it