La cartella di pagamento non rientra nella definizione delle liti pendenti
In particolare, quella emessa per omesso o carente versamento a seguito di controllo automatizzato della dichiarazione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell’amministrazione
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In una fattispecie relativa all’impugnazione, per vizi propri, di una cartella di pagamento emessa ai sensi dell’articolo 36-bis del Dpr 600/1973, la Corte di cassazione, con l’ordinanza n. 7099 del 13 marzo 2019, ha rigettato l’istanza di sospensione del processo formulata dal contribuente (articolo 6, Dl 119/2018), chiarendo che la cartella di pagamento non costituisce un “atto impositivo” in senso stretto.
La disposizione citata prevede, infatti, che “le controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’Agenzia delle entrate, aventi ad oggetto atti impositivi, pendenti in ogni stato e grado del giudizio, compreso quello in Cassazione e anche a seguito di rinvio, possono essere definite […] con il pagamento di un importo pari al valore della controversia” o dei diversi importi previsti dai commi 1-bis e seguenti.
Tuttavia, secondo la Cassazione, la cartella di pagamento emessa per “omesso o carente versamento” a seguito di controllo automatizzato (ex articoli 36-bis, Dpr 600/1973, e 54-bis, Dpr 633/1972), “non può ritenersi atto impositivo derivando, per quanto attiene ai versamenti, da una mera liquidazione dei tributi già esposti dal contribuente e, con riferimento alle sanzioni, da un riscontro puramente formale dell’omissione, senza alcuna autonomia e discrezionalità da parte dell’Amministrazione”.
Si tratta di orientamento, a ben vedere, non innovativo: nello stesso senso, infatti, si è espressa l’ordinanza n. 28064/2018 in tema di “chiusura delle liti fiscali pendenti” ai sensi dell’articolo 16 della legge 289/2002, il cui terzo comma, alla lettera a), chiarisce che per “lite pendente” deve intendersi quella “avente ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione”.
Inoltre, poiché l’articolo 16, ivi inclusa la limitazione agli atti impositivi, è integralmente richiamato dall’articolo 39, comma 12, Dl 98/2011, la Corte di cassazione ha esteso il suddetto principio anche alla chiusura delle liti fiscali del 2011. Ad esempio, nell’ordinanza n. 28064/2018 (con richiamo a numerosi precedenti; nello stesso senso anche il punto 4.2 della circolare 48/E/2011), la Corte ha confermato il diniego dell’ufficio sulla scorta della considerazione che la cartella scaturiva da “un debito proprio della contribuente che aveva omesso il versamento di imposte dalla stessa dichiarate e non pagate per gli anni in contestazione”.
Non è invece condivisibile l’orientamento (Cassazione, n. 32132/2018) che giustifica la definibilità della lite in tema di cartella di pagamento con la considerazione che con tale atto l’Amministrazione porta la pretesa a conoscenza del contribuente per la prima volta. Infatti, altro è affermare – ai fini dell’impugnabilità e dei vizi prospettabili nel ricorso, come ad esempio l’effettiva sussistenza di un credito non esposto in dichiarazione, perché omessa – che trattasi di atto lesivo della sfera patrimoniale, altro che la cartella abbia natura impositiva, cioè di accertamento della debenza di un’obbligazione tributaria non spontaneamente dichiarata, anziché di mera liquidazione (con la sola funzione, quindi, di atto di precetto) di un tributo non versato.
La correttezza della soluzione indicata dalla Corte può trarsi anche da un argomento di ordine sistematico. Diversamente dalle tre definizioni sin qui esaminate (2002, 2011 e 2018), la definizione del 2017 (articolo 11, Dl 50/2017) non contiene specificazioni circa la tipologia degli atti oggetto delle controversie potenzialmente definibili, limitandosi a menzionare genericamente le “controversie attribuite alla giurisdizione tributaria in cui è parte l’agenzia delle entrate pendenti in ogni stato e grado del giudizio”. Proprio per tale motivo, è stato confermato (cfr circolare 22/E/2017, paragrafo 1.2) che possono essere definite le controversie inerenti a iscrizioni a ruolo, quand’anche “si tratti di ruoli emessi a seguito delle attività di liquidazione della dichiarazione”, e la Cassazione (ad esempio, con ordinanza n. 2186/2018) ha più volte dichiarato la cessazione della materia del contendere in giudizi in tema di cartelle di pagamento.
Ulteriori osservazioni
Una volta escluse dall’ambito delle “controversie definibili” quelle in materia di cartelle di pagamento scaturenti da liquidazione e controllo formale delle dichiarazioni, deve ritenersi che le medesime controversie siano estranee anche alla sospensione di nove mesi dei termini di impugnazione e riassunzione scadenti tra il 24 ottobre 2018 e il 31 luglio 2019, prevista dal comma 11 dell’articolo 6, Dl 119/2018.
Inoltre, l’arresto della Corte di cassazione permette di confermare la correttezza dell’opinione, già espressa dall’Agenzia delle entrate in occasione del “Telefisco 2019”, secondo cui non sono definibili gli avvisi bonari. In effetti, tali atti non solo non sono “atti impositivi” ma, costituendo delle mere comunicazioni non immediatamente lesive della sfera patrimoniale del contribuente, non sono nemmeno atti impugnabili.
Tutto ciò, del resto, è coerente con il consolidatissimo orientamento (cfr Cassazione, ordinanza n. 5861/2019) secondo cui “l’invio al contribuente della comunicazione di irregolarità, al fine di evitare la reiterazione di errori e di consentire la regolarizzazione degli aspetti formali, è dovuto solo ove dai controlli automatici emerga un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione” e il contraddittorio preventivo risulta dovuto soltanto laddove “sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, situazione che non ricorre necessariamente nei casi di liquidazione «cartolare» che si basa sul mero controllo documentale di dati direttamente riportati in dichiarazione dal contribuente”.
Andrea Gaeta
Fonte: FiscoOggi.it