‘TI Segu Sa Conca!’ (‘TI Taglio La Testa!’). Ed Il minacciato se la cava nel giudizio di falsa testimonianza
Nota a Cass. Pen. sent. n. 21092/2013
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Certo non era una dichiarazione d’amore. Né di buoni intenti, in senso lato, ciò che veniva comunicato dall’imputato ad un testimone trovatosi accusato, successivamente ed a causa di ciò, di falsa testimonianza.
Il primo, infatti, minacciava il testimone del proprio processo di ‘tagliargli la testa’ se non avesse reso una dichiarazione, dinanzi al giudice, a lui favorevole. E così si verificava. Ma la sorte, spesso benigna nei confronti di chi non la merita e maligna contro gli ‘sfortunati’, riservava al testimone una citazione a giudizio per falsa testimonianza. In dipendenza di quanto subìto.
L’uomo, a propria discolpa, esponeva di aver mentito a causa delle minacce di morte formulate dal primo imputato.
Ora, in linea generale, affinchè si possa applicare l’esimente di cui all’art. 384 c.p. occorre, preliminarmente, che il pericolo non sia solo genericamente temuto ma collegato a circostanze attuali, oggettive e concretamente determinate.
Successivamente, si deve valutare se il fatto -costituente reato da scriminare- si ponga in rapporto di consequenzialità, immediata ed inderogabile, rispetto alla necessità di salvare sé od un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento.
Ebbene, nel caso di specie risultava che l’imputato (leggi: la cd. fonte del pericolo) aveva già ucciso e tentato di uccidere altre persone. Ed il tutto per futili motivi.
Ma non solo. Vi erano, a sostegno della attualità e serietà del pericolo, tutta una serie di ulteriori dati quali, ad esempio, il fatto che l’imputato ottantenne, con alle spalle una lunga storia criminale degna di nota, non avesse più nulla da perdere in caso di reiterazione di reati e condotte illecite.
Per tutti questi motivi, la Cassazione cassava senza rinvio la sentenza di condanna nei confronti dello sfortunato testimone per la applicabilità, al caso di specie, della esimente dell’art. 384 c.p.
Tanto in quanto si dovevano considerare, oltre al resto, due circostanze importanti: a) ritenere oggettivamente normale l’istinto di conservazione del ‘falso testimone’, con esplicito riferimento al principio etico-giuridico secondo cui nemo tenetur se detegere; b) rispettare l’interpretazione estensiva dell’esimente, condivisa dalla maggioritaria giurisprudenza, che abbraccia anche l’ipotesi di timore per l’incolumità fisica propria o dei familiari.
Avv. Gianluca Artiaco – Foro di Napoli
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 27 marzo – 16 maggio 2013, n. 21092
Presidente Milo – Relatore Lanza
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
P.P. ricorre, a mezzo del suo difensore, avverso la sentenza 31 maggio 2012 della Corte di appello di Cagliari, che ha confermato la sentenza del G.U.P. presso il Tribunale di Lanusei, di condanna per il reato di falsa testimonianza, commesso il (omissis) , in relazione a fatti accaduti nel (omissis) tra M.V. e Po.Gi. , persona quest’ultimo uccisa dal M. in data (omissis) .
1.) l’accusa ex art. 372 cod. pen..
A P.P. è contestato il delitto p. e p. dall’art. 372 C.P. perché, deponendo come testimone innanzi al Tribunale penale di Lanusei, all’udienza in data 10 ottobre 2005 taceva ciò che sapeva intorno ai fatti sui quali veniva interrogato e, sosteneva falsamente di non ricordare nulla delle circostanze, sulle quali era già stato sentito in data 31 agosto 1999 dai Carabinieri della Stazione di Bari Sardo, in riferimento a quanto da lui visto ed udito presso l’abitazione di Po.Gi. nel gennaio 1999; in particolare il P. sosteneva di non ricordare di essersi ivi recato per effettuare dei lavori di costruzione di un muro, salvo poi ammettere di essere stato sentito dai Carabinieri proprio su questa circostanza, all’epoca da lui pacificamente ammessa; sosteneva poi di non ricordare la presenza in loco di M.V. e di aver assistito ad una discussione tra questi e Po.Gi. , salvo poi ammettere di ricordarsi della discussione; in seguito rifiutava in maniera netta e categorica di confermare le sue precedenti dichiarazioni ai Carabinieri peraltro parzialmente confermate pochi istanti prima, fornendo ulteriori risposte palesemente provocatorie e di comodo al P.M. ed al Giudice che lo esaminavano, sostenendo di non essersi nemmeno recato a casa del P. ma solo alla Stazione Carabinieri di Bari Sardo, e ciò in palese contrasto con quanto da lui poc’anzi dichiarato agli stessi P.M. e Giudice, oltre che con quanto dichiarato ai Carabinieri di Bari Sardo nei seguenti termini: “M. ha detto a me a mio padre che se facevamo il muro ci avrebbe sparato” (circostanza che) non rispondeva al vero ed era stata da lui inventata salvo poi tornare a sostenere di non ricordarsi nulla; alla fine ritrattava tutto quanto da lui in precedenza dichiarato ai Carabinieri, sostenendo nuovamente di essersi inventato tutto, cadendo, quindi in un’ulteriore palese contraddizione con riferimento alla circostanza, da lui già ammessa in quella medesima deposizione, della programmata edificazione del muro nella proprietà del Po. . In (omissis) .
2.) la tesi difensiva e le decisioni dei giudici di merito.
Per il difensore, il comportamento ascritto a P.P. , lungi dal manifestarsi quale condotta isolata e indipendente, affondava invece le sue “proprie radici” e trovava la sua giustificazione, prossima e immediata, in alcuni “fatti di sangue” consumati (proprio per mano del M. ) in (OMISSIS) nel periodo precedente a quello in cui è contestata la falsa testimonianza.
I giudici di merito hanno invece escluso la ricorrenza: sia della causa di giustificazione di cui all’art. 54 cod. pen., sia della esimente ex art. 384 cod. pen., sostenendo, per tale ultima norma, quell’orientamento giurisprudenziale secondo cui la “incolumità fisica” non può rientrare nel grave ed inevitabile nocumento della libertà e dell’onore.
In ogni caso la Corte di appello ha considerato che nella specie sia mancata la prova rigorosa della sussistenza del pericolo per la propria vita o incolumità fisica.
Sotto tale profilo la gravata sentenza ha ritenuto:
a) che la difesa abbia enfatizzato la pericolosità del M. ed ha considerato inverosimile che il M. , persona anziana, già condannata per omicidio, potesse avere un interesse “cosi pregnante” per evitare un’ulteriore condanna per le minacce da lui rivolte a Po.Gi. , nel corso di una discussione tra i due;
b) che comunque la situazione rappresentata dall’imputato e confermata dal teste D. non configurava una situazione riconducibile negli schemi degli artt. 54 o 384 cod. pen. trattandosi di una situazione di pericolo indeterminato;
c) che infine le gravi minacce di morte, ricollegabili alla espressione “ti segu sa conca”, che il primo giudice ha tradotto in “ti taglio la testa”, in realtà andavano contenute in quanto, in sardo, la locuzione significa “ti rompo la testa”.
I motivi di impugnazione e le ragioni della decisione di questa Corte.
Con un primo motivo di impugnazione viene dedotta inosservanza ed erronea applicazione della legge, nonché vizio di motivazione sotto il profilo della mancata applicazione dei disposti di cui agli artt. 54 e 384 cod. pen..
L’assunto difensivo, che critica la lettura parziale e frammentaria della vicenda da parte dei giudici di merito, è che la condotta contestata al P. trova la sua giustificazione in termini di prossimità ed immediatezza causale in alcuni fatti di sangue posti in essere dal M. , la cui presenza nell’abitazione di Po.Gi. e dell’avvenuto alterco tra i due, era stato oggetto della falsa testimonianza ad opera dell’imputato.
In particolare P.P. aveva sostenuto di aver mentito e di essere stato reticente sulle minacce di morte formulate nel (OMISSIS) da M.V. nei confronti di Po.Gi. e P.P. , perché minacciato di morte dal M. , il quale pochi mesi dopo, in data 14 novembre 1999, aveva effettivamente ucciso, il Po.Gi. (sparandogli due colpi con un fucile Berretta: all’addome ed alla nuca), e tentato di uccidere, senza riuscire nel suo intento, p.f. (attinto da un altro colpo di fucile, alle spalle, in regione emitoracica sinistra).
Con un secondo motivo si lamenta l’immotivata ed inadeguata giustificazione della negazione delle circostanze attenuanti generiche.
Il primo motivo è fondato, nei termini oggi illustrati dal Procuratore generale in punto di applicabilità dell’art. 384 cod. pen., ed il suo accoglimento esclude la possibilità di esame del secondo.
Ritiene infatti questa Corte che la motivazione assunta dai giudici di merito sia basata su di una considerazione in fatto per la quale esiste in atti la prova contraria.
Innanzitutto e preliminarmente va rammentato che trattasi di causa esimente di carattere soggettivo, rilevabile anche di ufficio, e che trova la sua ragione di essere nella doppia esigenza di rispettare l’istinto di conservazione, con esplicito riferimento al principio etico – giuridico secondo cui nemo tenetur se detegere e di tener conto dei vincoli di solidarietà familiare (cfr. in termini: cass. pen sezione 6, 14 dicembre 2011 Tasso e Bertacchi); inoltre trattasi di disposizione che si è ritenuto -anche di recente- estensibile pure all’ipotesi di timore per l’incolumità fisica propria o dei familiari.
Invero questa Corte (cfr. da ultimo, Sez. 6, 10271/13 Spano) ha chiarito che fra le ipotesi individuate nell’esimente prevista dall’art. 384, comma primo, cod. pen., va compresa anche quella del timore di un nocumento all’incolumità fisica (cass. pen. sez. 6 26061/2011, Rv. 250748), solo salvaguardando la duplice esigenza: in primo luogo che il pericolo non sia solo genericamente temuto, ma sia invece collegato a circostanze obiettive, attuali e concretamente determinate, che ne delineino con precisione il contenuto e gli effetti (vds. in termini: Sez. 6, 8638/1999, Rv. 214315; Sez. 6, 12672/1989, Rv. 182095; Sez. 6, 10707/1985 Rv. 171081); e, in secondo luogo, che il fatto costituente il reato da scriminare si ponga, nel suo accadimento, in rapporto di consequenzialità, immediata ed inderogabile, rispetto alla necessità di salvare sé medesimo od un prossimo congiunto da un grave ed inevitabile nocumento ai beni ritenuti meritevoli di particolare tutela dalla speciale disposizione dell’art. 384 cod. pen. (cass. pen. sez. 6, 47481/2007, r.v. 239263).
Tanto premesso ritiene il Collegio che l’affermazione dei giudici di merito, circa la virtualità ed inefficacia delle minacce del M. , non appaia logicamente sostenibile nel contesto di gravità e serietà delle minacce stesse, avuto peculiare riguardo alla persona che le aveva pronunciate.
Va infatti sottolineato che il M. era sì soggetto invalido ed ultraottantenne, ma che, peraltro, non molti anni prima, nel 1999, per futili motivi aveva commesso un omicidio, proprio nei confronti del Po.Gi. ed un tentato omicidio nei confronti di una terza persona, e che il 27 febbraio 2005, in tempo di poco anteriore all’udienza al Tribunale di Lanusei aveva rivolto al ricorrente, testimone (nel gennaio del 1999) dell’alterco e delle minacce di morte del M. al Po. (ucciso poi dallo stesso M. il successivo 14 novembre 1999), uno specifico avvertimento minatorio idoneo ad impedire la sua testimonianza.
È evidente, in tale quadro, che il valore intimidatorio della prospettazione minacciosa, sia che la si interpreti come “ti taglio” (primo giudice), oppure come “ti rompo la testa” (Corte di appello), va commisurato, alla specifica caratura e spessore criminale dell’autore, quale espressa e ragionevolmente percepita nella psiche del destinatario, e alla non irreale evenienza della sua agevole pratica estrinsecazione, negativamente apprezzata la personalità ed i profili di aggressività di cui il M. , anche per ragioni futili, era riuscito a dare gravissima ed irrefutabile prova, per di più correlata ad identica condotta di preliminare e funzionale minaccia.
Realtà questa, quindi, non solo frutto di soggettiva percezione del P. , ma correlata, come evidenziato dal Procuratore generale in udienza, ad una serie di dati di sostegno e conforto in punto di pericolosità e rischio effettivo di realizzabilità, ad opera dell’autore della minaccia il quale, proprio per età e storia criminale, nulla aveva da perdere da un’ulteriore grave condotta illecita.
La gravata sentenza va quindi annullata senza rinvio, risultando il P. persona non punibile ai sensi dell’art.384 cod. pen..
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, perché trattasi di persona non punibile ai sensi dell’art. 384 cod. pen..