Tortura: via libera della Camera al Ddl, il testo torna al Senato
Il Via libera della Camera al ddl sul reato di tortura (approvato con 244 sì, 14 no e 50 astenuti) avvicina l’ordinamento italiano all’introduzione di questo nuovo delitto, che tuttavia diverrà legge solo fra diverse settimane visto che il testo tornerà al Senato. Dal ministro della giustizia Andrea Orlando un appello finale in aula con la richiesta di un voto “il più ampio possibile per andare a Strasburgo con un risultato non del governo ma di tutto il Parlamento”.
Ecco i punti chiave della legge che arriva sull’onda della sentenza di condanna della Corte dei Strasburgo per i fatti di Genova e che ha, tra i suoi riferimenti principali la Convenzione Onu contro la Tortura, firmata (anche dall’Italia), a New York nel 1984. L’art. 1 prevede che quello di tortura sia un reato comune, punibile con la reclusione da 4 a 10 anni e ascrivibile a chiunque “con violenza o minaccia ovvero con violazione dei propri obblighi di protezione o assistenza, intenzionalmente cagiona a una persona a lui affidata, o comunque sottoposta a sua autorità, vigilanza o custodia, acute sofferenze fisiche o psichiche” per “ottenere informazioni o dichiarazioni, per infliggere una punizione, per vincere una resistenza” o “in ragione dell’appartenenza etnica, dell’orientamento sessuale o delle opinioni politiche o religiose”.
Ma in Aula scoppia la querelle sul fatto che il reato scatti solo nel caso la vittima sia affidata alla vigilanza del presunto colpevole. Una fattispecie che, secondo il M5S, escluderebbe, di fatto, che avvenimenti come quelli della Diaz possano essere puntiti per reato di tortura. “Cosi’ è una legge inutile”, è l’accusa del M5S, che ha portato al momentaneo accantonamento di un emendamento che prevedeva il reato a prescindere dalla custodia e poi, dopo una riunione serale del Comitato dei Nove della commissione Giustizia, alla conferma del parere contrario di relatore e governo e alla sua bocciatura. Con il Pd che ha sottolineato come la fattispecie della custodia o vigilanza non limiti la casistica del reato di tortura.
E scatta l’aggravante quando a commettere il reato è proprio un pubblico ufficiale che agisce con abuso di potere o violando i doveri inerenti alla sua funzione. In questo caso, con un emendamento approvato oggi, la pena massima è di 15 (e non più 12) di carcere, la minima di 5, con una ‘postilla’: la sofferenza inflitta deve essere “ulteriore” rispetto all’esecuzione delle legittime misure privative o limitative dei diritti. La pena, per pubblici ufficiali e non, sale di 1/3 in caso di gravi lesioni, di 2/3 per morte non voluta della vittima e si trasforma in ergastolo in caso di decesso causato volontariamente. La legge introduce inoltre il reato di istigazione del pubblico ufficiale (ad altro pubblico ufficiale) a commettere tortura: da 1 a 6 anni di reclusione la pena prevista. L’art. 1 è l’asse di una legge che, tuttavia, interviene anche su espulsioni, immunità diplomatiche e estradizioni. Si vietano, infatti, espulsioni o respingimenti verso uno Stato nel quale, basandosi su fondati motivi, il respinto rischi di essere sottoposto a tortura. Stop – nel rispetto del diritti internazionale – anche all’immunità diplomatica a chi è condannato o indagato nel suo Paese d’origine. Prevista infine l’estradizione di un cittadino straniero verso il Paese richiedente nel caso in questo risulti indagato o condannato per il delitto di tortura.