Quando è confessione affidabile, il tribunale fiscale deve ascoltarla
E non è tutto. La Cassazione affronta anche un altro argomento, ribadendo che la sanatoria cancella i debiti del contribuente, ma non incide sui crediti contestati dall’Agenzia
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Sono questi i principi che emergono dalla sentenza 27314 del 23 dicembre scorso della Cassazione, conforme all’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità.La vicenda processuale
In seguito a un verbale della Guardia di finanza, l’Agenzia delle Entrate notificava a una società di persone un avviso di rettifica, con il quale recuperava alcune somme già rimborsate a titolo di credito Iva e negava un rimborso infrannuale non ancora eseguito.
Giunto in contenzioso, l’atto veniva annullato dalla Ctp con decisione confermata, poi, in secondo grado.
In particolare, secondo la Ctr della Lombardia, il condono tombale perfezionato dalla contribuente (ex articolo 9 della legge 289/2002) impediva all’Amministrazione di contestare anche i crediti Iva. Inoltre, le dichiarazioni rese da terzi in sede di verifica non erano utilizzabili ai fini della decisione in virtù del divieto contenuto nell’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992.
Con il successivo ricorso in Cassazione, l’Agenzia delle Entrate denunciava, tra l’altro, la falsa applicazione dell’articolo 9 della legge 289/2002: la Ctr avrebbe, infatti, errato nel ritenere che il perfezionamento del condono, oltre a estinguere i debiti fiscali, impedisce all’Amministrazione finanziaria anche il potere di controllo dei crediti esposti in dichiarazione.
Con un altro motivo, la ricorrente si doleva per la violazione dell’articolo 7, comma 4, del Dlgs 546/1992, perché il giudice di merito aveva escluso, dal materiale probatorio utilizzato per la decisione, le dichiarazioni rese dal legale rappresentante della società cessionaria del bene acquistato in sospensione di imposta (articolo 8, comma 1, lettera c), del Dpr 633/1972). Quest’ultimo aveva infatti dichiarato che la propria società, che a sua volta avrebbe dovuto portare la merce a un cliente tedesco, non aveva potuto adempiere perché non abilitata al trasporto di merci all’estero.
La Cassazione, con la pronuncia in commento, ha accolto il ricorso dell’Agenzia delle Entrate, rinviando la controversia ad altra sezione della Ctr anche per la liquidazione delle spese di lite.
L’efficacia del condono
In merito al condono, la Corte, nel ritenere fondato lo specifico motivo di ricorso, ha ricordato che “l’Amministrazione finanziaria può procedere – nelle ipotesi di cui agli artt. 9, co. 9 e 10 della legge n. 289 del 2002 – all’accertamento diretto a dimostrare l’inesistenza di un diritto al rimborso, poiché il condono elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, i quali restano soggetti all’eventuale contestazione da parte dell’ufficio“.
L’articolo 9, comma 9, secondo periodo, della legge 289/2002 (Finanziaria 2003), dispone che “La definizione automatica non modifica l’importo degli eventuali rimborsi e crediti derivanti dalle dichiarazioni presentate ai fini delle imposte sui redditi e relative addizionali, dell’imposta sul valore aggiunto, nonché dell’imposta regionale sulle attività produttive“.
Con riguardo a tale disposizione, già nella sentenza 5586/2010, la Corte di cassazione ha precisato che “la previsione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 9, comma 9, … non sottrae all’ufficio il potere di contestare il credito. Pertanto, quando sia stato chiesto il rimborso dell’Iva e l’ufficio abbia motivo di ritenerla mai versata, trattandosi di operazioni inesistenti, l’Erario non è tenuto, per automatico effetto del condono, a procedere al rimborso, né gli è inibito l’accertamento diretto a dimostrare l’inesistenza del diritto a conseguirlo, atteso che il condono fiscale elide in tutto o in parte, per sua natura, il debito fiscale, ma non opera sui crediti che il contribuente possa vantare nei confronti del fisco, i quali restano soggetti all’eventuale contestazione da parte dell’ufficio (Cass. n. 375/09)“.
In altri termini, secondo la giurisprudenza di legittimità, le disposizioni dell’articolo 9 della legge finanziaria 2003 precludono la possibilità di effettuare accertamenti tributari finalizzati al recupero delle imposte evase, ma non costituiscono ostacolo alla effettuazione di accertamenti volti a verificare la spettanza dei crediti risultanti dalle dichiarazioni.
Tale posizione è stata del resto avallata anche dalla Corte costituzionale con l’ordinanza 340/2005, secondo cui “il condono non influisce di per sé sull’ammontare delle somme richieste a rimborso, non impone al contribuente la rinuncia al credito e non impedisce all’erario di accogliere tali richieste, allorché la pretesa di rimborso sia riscontrata fondata (…) data la natura del condono, che incide sui debiti tributari dei contribuenti e non sui loro crediti“.
Valore delle dichiarazioni dei terzi nel processo tributario
Sul valore delle dichiarazioni dei terzi nel processo tributario, la Corte ricorda l’ormai consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui nel processo tributario le stesse, almeno in linea di principio, hanno valore indiziario concorrendo assieme ad altri elementi a formare il convincimento del giudice.
Tuttavia, qualora abbiano valore confessorio, “possono integrare una prova presuntiva, ai sensi dell’art. 2729 c.c., idonea da sola ad essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’amministrazione finanziaria“.
Nel caso in esame, l’errore della Ctr è stato quello di non aver tenuto conto delle dichiarazioni rese dal rappresentante della società di autotrasporto il quale aveva dichiarato ai verificatori che la merce, destinata a un cliente tedesco, non era mai stata consegnata visto che la società effettuava solo trasporti nazionali. Tale omissione ha avuto l’effetto di inficiare il percorso motivazionale della sentenza impugnata che, di conseguenza, è stata cassata con rinvio ad altra sezione della Ctr.
Il divieto di testimonianza nel processo tributario non comporta l’inutilizzabilità delle dichiarazioni di terzi, eventualmente raccolte dall’Amministrazione nella fase procedimentale, dato che le dichiarazioni rese al di fuori e prima del processo sono essenzialmente diverse dalla prova testimoniale, che è necessariamente orale e richiede l’osservanza di determinate formalità, quali il previo giuramento e la predisposizione di specifici capitoli (cfr Cassazione 21812/2012, 20032/2011 e 13161, 15331 e 16223 del 2014).
Per quanto concerne il valore e l’efficacia di tali dichiarazioni, secondo i giudici di legittimità, le dichiarazioni rese da terzi agli organi di verifica rivestono una valenza, se non direttamente probatoria, quanto meno indiziaria, da corroborare con ulteriori elementi: ciò vale non solo per l’Amministrazione finanziaria ai fini della motivazione degli atti impositivi, ma anche per il giudice tributario che deve valutare “le dichiarazioni di terzi, anche assunte in sede di verifica, e nel disattenderne l’eventuale contenuto ha l’obbligo di motivarne gli aspetti ritenuti non veridici” (cfrCassazione 25104/2008).
Tuttavia, tali dichiarazioni – nel concorso di particolari circostanze – possono rivestire i caratteri delle presunzioni gravi, precise e concordanti, ai sensi dell’articolo 2729 cc, dando luogo, di conseguenza, non a un mero indizio, bensì a una prova presuntiva, idonea da sola a essere posta a fondamento e motivazione dell’avviso di accertamento in rettifica, da parte dell’Amministrazione finanziaria.
Ciò accade, in particolare, quando le dichiarazioni rese a verbale dal terzo si segnalano come dotate di una particolare attendibilità e affidabilità, poiché aventi natura confessoria, per le conseguenze negative che possono derivarne a carico del terzo medesimo (cfr Cassazione 9876/2011 e 9402/2007).