I Cimiteri Militari Nella Grande Guerra
Articolo del Prof. Pancrazio Caponetto
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Walter Flex, uno degli scrittori tedeschi più famosi negli anni della Grande Guerra,paragonò il conflitto all’ultima cena. La morte dei soldati tedeschi veniva considerata una ripetizione voluta da Dio, del miracolo della morte e della Resurrezione di Cristo. In quasi tutti i paesi coinvolti nel conflitto questo modo di intendere la morte in guerra fu il motivo che ispirò la costruzione dei cimiteri militari ( “I Templi del culto della Nazione” , secondo G. Mosse ).
In Germania, il nuovo tipo di cimitero militare prodotto dalla guerra fu rappresentato dai “ boschi degli eroi”. Lo storico tedesco George Mosse ha messo in rilievo “ il legame tra natura, simbolismo religioso e sacrificio nazionale di cui i caduti erano un esempio. I morti che riposavano sotto le croci in un bosco pieno di vita stavano a simboleggiare il ciclo della morte e della Resurrezione.”
L’ideale cristiano della morte si fondeva con la letteratura popolare e con la tradizione nazionale. Nella letteratura popolare tedesca il bosco è il simbolo della Resurrezione, della Primavera che segue l’Inverno. Nella tradizione nazionale . la quercia era l’albero sacro per i tedeschi. Durante le guerre di Liberazione, combattute nel Primo decennio dell’Ottocento contro i francesi, era stato proposto che i combattenti fossero seppelliti sotto le querce. Nel 1871, la vittoria prussiana contro la Francia, che segnava la nascita della nazione tedesca, era stata celebrata piantando le cosiddette “ querce dell’Imperatore.”
In Inghilterra non furono i boschi ma i fiori e i giardini il simbolo della morte e della Resurrezione dei soldati.In particolare i papaveri rossi che erano sbocciati nelle campagne devastate delle Fiandre, dove avevano combattuto i soldati inglesi. “ Gli inglesi – ha scritto George Mosse – con la loro tradizione pastorale, misero gli occhi sulla bellezza di questo fiore rievocativo sia dei fiori rossi delle elegie pastorali sia del colore scarlatto di una tradizione omosessuale che poteva servire a simboleggiare il cameratismo del periodo bellico. “
In Italia il più grande cimitero che ha raccolto le spoglie dei caduti della Grande Guerra, è il sacrario di Redipuglia, in Provincia di Gorizia, dove sono sepolti più di centomila soldati, alcuni dei quali ignoti. Venne costruito tra il 1928 e il 1938. Anche a Redipuglia è presente il legame tra simbolismo cristiano, natura e sacrificio nazionale, ma in una cornice naturale priva di alberi, fiori, giardini. In una Guida del Touring Club del 1931 si legge: “ Si è volutamente lasciato all’insieme l’aspetto sassoso e brullo del Carso, senza ghiaia nei viali, senza alberi, né verde, né ombre ma solo pietre nude, arnesi di guerra. Al culmine della collina è un piazzale circolare ed al centro sorge l’obelisco della fede, innalzato a forma di faro, sormontato dalla Croce, acceso ogni notte.”
Ma Redipuglia non è solo un luogo della memoria. E’stato il teatro dell’opera “più compiuta di appropriazione del culto della Grande Guerra da parte del fascismo.” ( Patrizia Dogliani, REDIPUGLIA, in AA.VV. I LUOGHI DELLA MEMORIA. )
Fin dall’epoca del primo governo Mussolini, furono inviate diverse circolari dal Sottosegretariato all’istruzione, con l’invito a realizzare in ogni città, paese e borgata, parchi o viali della Rimembranza. L’obiettivo era quello di legittimare il Fascismo come erede e continuatore della guerra vittoriosa. Il culmine di questo progetto si ebbe con la costruzione di Redipuglia, un enorme altare, dominato da tre croci a testimonianza della fede cristiana, che guidò i soldati al sacrificio, come Cristo sul Calvario.
Il mito della Grande Guerra venne vissuto nel Fascismo, non solo sul piano della memoria, ma anche e soprattutto come punto di partenza per la nuova politica estera e interna del Regime.
Ciò fu evidente nel 1938, quando venne inaugurata una nuova parte del Sacrario.
In quell’occasione Mussolini riaffermò, durante la cerimonia, il legame con la Germania nazista, l’accettazione della annessione dell’Austria al Reich tedesco e del progetto di spartizione della Cecoslovacchia, le mire espansionistiche verso la Jugoslavia. Il viaggio di Mussolini si concluse a Trieste con il discorso che anticipava i principi della politica razziale che di lì a breve il Regime avrebbe attuato.
Forse l’unico cimitero militare che sfugge a questa mitizzazione della Grande Guerra è l’ossario di Douamont, realizzato nei pressi di Verdun, dove venne combattuta una delle più sanguinose battaglie della Grande Guerra. L’ossario ospita 130.000 caduti francesi ( ricordati con croci bianche ) e tedeschi ( ricordati con croci nere ). Un lato del cimitero ospita 15.000 soldati coloniali francesi identificabili dalle lapidi rivolte verso La Mecca. L’ossario è dominato da una torre di 46 metri di altezza che rappresenta una spada conficcata nel suolo per non essere più utilizzata in altri massacri.
Così non fu, visto che la Francia, dopo pochi anni fu coinvolta in un nuovo grande conflitto.
Anche l’ossario di Doumont è un tempio del culto della Nazione, dove sono degnamente ricordati i soldati francesi morti per la Patria. Tuttavia il simbolismo cristiano, l’uso dei luoghi naturali utilizzati a Redipuglia o nei cimiteri militari tedeschi, per esaltare la morte in guerra e il sacrificio dei soldati è meno marcato. La grande torre che rappresenta la spada conficcata nel terreno, ricorda certamente che la guerra è un calvario, ma anche che la morte in combattimento spesso non è eroica, come dimostrano i corpi sconosciuti, i corpi dilaniati, i corpi mutilati e come sanno le famiglie per sempre private dei loro cari. Per questo il monumento dell’ossario di Doumont, voleva essere un grido contro la follia della guerra, un invito alla pace tra i popoli. Un invito che scompare negli altri cimiteri militari del primo dopoguerra costruiti non solo per ricordare quel calvario ma anche per esaltare l’idea che una Nazione è viva solo in armi, in difesa dei propri confini, in lotta continua per il predominio sulle altre o in guerra per riscattare le sconfitte subite.
Oggi quegli ossari, quei cimiteri andrebbero visitati da tutti i cittadini europei per capire e studiare i disastri prodotti dal nazionalismo bellicista, che alcuni storici considerano la peste del XX secolo. Una peste che non si ripresenterà più nelle stesse forme, ma che in veste nuova può alimentare razzismo e intolleranza. Solo l’Europa unita in Federazione può far fronte a queste minacce
Prof. Pancrazio Caponetto
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