Codice deontologico forense. Patto di quota lite ok (se proporzionato)
Il Codice deontologico forense all’art. 45 permette all’avvocato di concordare con il cliente, purché in forma scritta, compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, sub condicione che i compensi siano commisurati all’attività svolta. Questa la lettura della norma data dai giudici delle sezioni unite civili della Corte di Cassazione con sentenza n. 25012 dello scorso 25 novembre.
Con l’art. 2 del decreto-legge n. 223 del 2006, convertito nella legge n. 248 del 2006, si disponeva l’abolizione del divieto previsto dal terzo comma dell’art. 2233 cod. civ. e si ammettevano pattuizioni, a condizione che fossero redatte in forma scritta, di compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti, sottolineando la necessità di adeguare le norme in materia deontologica alle nuove regole.
L’art. 45 del codice deontologico forense – nel testo modificato con la delibera dell’organismo di autogoverno dell’avvocatura del 18 gennaio 2007, conseguente alla riforma legislativa del 2006 – consente all’avvocato di pattuire «con il cliente compensi parametrati al raggiungimento degli obiettivi perseguiti”, alla condizione, tuttavia, “che i compensi siano proporzionati all’attività svolta».
La finalità, è evidente, che sia quella di pattuire tariffe che possano essere il più possibile chiare e trasparenti con l’introduzione di particolare cautele sul piano deontologico, aventi la finalità di impedire il rischio di abusi commessi dall’avvocato a danno del cliente e ad ostacolare la conclusione di accordi iniqui.
Il nuovo testo dell’art. 45 del codice deontologico forense, quindi conseguente alla disciplina introdotta dal decreto-legge n. 223 del 2006, applicabile ratione temporis, sotto la rubrica «accordi sulla definizione del compenso», consente all’avvocato e al patrocinatore di determinare il compenso parametrandolo ai risultati perseguiti, ma fermo il divieto di cui all’art. 1261 cod. civ. e fermo restando che, nell’interesse del cliente, tali compensi debbono essere comunque proporzionati all’attività svolta. Pertanto, secondo i supremi giudici, la proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso restano l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato, indipendentemente dalle modalità di determinazione del corrispettivo a fui spettante.
La norma dell’art. 45 del codice deontologico riproduce infatti la previsione contenuta nell’art. 43, punto II, dello stesso codice, che vieta all’avvocato di “richiedere compensi manifestamente sproporzionati all’attività svolta”.
Fonte: Italia Oggi Sette, Angelo Costa