Avvocati. Non contano i reati commessi prima dell’iscrizione all’albo
L’ordine non può sottoporre a giudizio disciplinare l’avvocato per fatti o reati commessi prima dell’iscrizione all’albo. Lo hanno sancito le Sezioni unite civili della Corte di cassazione che, con la sentenza n. 25369 del 1° dicembre 2014, hanno accolto il ricorso di una legale, condannata, quando era ancora una studentessa, per estorsione.
Piazza Cavour, prendendo una posizione opposta rispetto alla sentenza della Cassazione n. 2223 del 2010, ha chiarito che l’esercizio del potere disciplinare da parte dei Coa nei confronti degli avvocati trova il suo fondamento nell’esigenza di una tutela del prestigio dell’Ordine forense in presenza di comportamenti posti in essere dai suddetti professionisti idonei a screditarne l’autorevolezza e la credibilità, comportamenti quindi contrari ai doveri di probità, di buona condotta e di deontologia professionale che gli avvocati sono tenuti a rispettare nell’esercizio della professione; al riguardo, dice ancora la Cassazione, l’art. 38 del rdl 27-11-1933 n. 1578 prevede la sottoposizione a procedimento disciplinare degli avvocati «che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell’esercizio della loro professione o comunque di fatti non conformi alla dignità e al decoro professionale», con la conseguente irrilevanza al riguardo di comportamenti che, pur se idonei a determinare uno «strepitus fori» nel periodo di iscrizione all’albo da parte del professionista resosi colpevole di detti comportamenti, sono ininfluenti ai fini disciplinari in quanto risalenti a epoca antecedente alla iscrizione all’albo, e dunque estranei ai presupposti fondanti l’esercizio del potere disciplinare.
Dunque, nel caso sottoposto all’esame della Corte, essendo pacifico che l’accusa di estorsione che ha portato alla condanna a sei anni e tre mesi di reclusione sia avvenuta prima della sua iscrizione all’albo, il Coa di Pescara non avrebbe potuto sottoporla ad alcuna sanzione.
Le sezioni unite hanno chiuso definitivamente il sipario sulla vicenda decidendo nel merito e annullando la delibera del Consiglio dell’ordine abruzzese.
Di diverso avviso la Procura generale del Palazzaccio che aveva chiesto la conferma della sospensione.
Fontr: Debora Alberici , Italia Oggi