Quelle leggi usa e getta non fanno giustizia
di Luigi Riello – magistrato e presidente della giunta della Cassazione dell`Associazione nazionale Magistrati
Montesquieu, che se ne intendeva, sosteneva che «è vero che talvolta occorre cambiare qualche legge, ma il caso è raro e, quando avviene, bisogna ritoccarle con mano tremante, con tante solennità e con tante precauzioni che il popolo debba concluderne che le leggi sono veramente sante e soprattutto con tanta chiarezza che nessuno possa dire di non averle capite». Saremo maligni, ma non ci sembra che l`insegnamento del grande pensatore francese sia stato molto seguito dal nostro legislatore, soprattutto nel settore della giustizia penale: essa è da anni un laboratorio di sperimentazioni, il che ha consentito che venissero partorite non di rado leggi “usa e getta”, nate sotto la spinta propulsiva del contingente e dell`emotività, volte a risolvere casi concreti e non a servire interessi generali, pendolari tra garantismo e giustizialismo.
CERTO, LE LEGGI NON sono immutabili ed hanno anzi la funzione di fornire tempestive risposte alle mutevoli esigenze di una realtà storico-sociale in perenne evoluzione, ma è pur vero che si deve sapere ciò che si vuole, almeno a media scadenza.
Non è un caso che mentre per la giustizia civile, il governo è riuscito a varare un decreto-legge finalizzato al dichiarato (anche se temiamo non centrato) obiettivo della velocizzazione del processo, con riferimento al settore penale, si è messa molta carne a cuocere (intercettazioni, prescrizione, falso in bilancio), ma si procederà, in linea di massima, sul binario dei disegni di legge che, si sa, non è quello dell`alta velocità.
Qualcosa, invero, poteva essere realizzato con immediatezza e ci riferiamo, nel contesto del sistema delle impugnazioni, soprattutto al giudizio di legittimità, non potendosi più consentire – l`argomento è stato già affrontato da chi scrive sul “Corriere della Sera” di alcuni mesi orsono e da Giancarlo De Cataldo su “l`Espresso” numero 46 – che la Corte di cassazione, unico caso in Europa, sia letteralmente inondata da ricorsi inammissibili anche perché (talora dichiaratamente) strumentali, il che si riflette sulla funzionalità e sulla dignità dell`intero processo. Riteniamo che se è indispensabile restringere il perimetro della sanzione penale e, segnatamente, della custodia carceraria ai fatti davvero allarmanti e ricorrere, per il resto, a sanzioni amministrative ovvero a misure alternative, non si deve strategicamente rinunciare a disegnare un sistema fondato su sanzioni effettive e non uno che minacci pene virtuali.
IL PRESIDENTE RENZI ha pochi giorni fa rassicurato (si fa per dire) il padre di un povero ragazzo ucciso da un pirata della strada, impegnandosi a far varare al più presto il delitto di omicidio stradale che prevederà pene più severe di quelle attuali.
Bene. Ma se non cambia il sistema – che è volutamente fondato, diciamolo chiaramente, sulla non effettività delle pene anche tale riforma rischia di restare una norma-manifesto e le pene da essa previste, al pari di quelle, nemmeno tanto basse
oggi comminate, un tragico bluff.
Nel settore penale, pochi patteggiano confidando nella prescrizione; in quello civile chi non paga i suoi debiti (e non di rado questo “chi” è lo Stato, sono gli enti locali, le pubbliche amministrazioni) è incoraggiato a farlo per il semplice motivo che è più conveniente pagare 120 tra dieci anni che 100 oggi. Se vi fossero paletti dissuasivi, per imputati e professionisti dell`insolvenza cambierebbe tutto.
CERTO, NOI MAGISTRATI – che per lo più siamo le vittime e non gli artefici dello sfascio, che siamo i più produttivi d`Europa e che pur veniamo da non pochi dipinti come un`allegra brigata di sfaticati e festa ioli (quante fuorvianti inesattezze sulle nostre ferie!) – faremo il nostro dovere sempre, comunque e fino in fondo, ma sarebbe stupido non accorgersi del senso di frustrazione che serpeggia in modo sempre più forte tra i colleghi, anche e soprattutto tra quelli più giovani e motivati: è amaro, ma realistico affermare, parafrasando Corrado Alvaro, che la disperazione più grande che possa impadronirsi della magistratura è il dubbio che fare il proprio dovere sia inutile.
Speriamo, in definitiva, che si proceda con relativa speditezza non con un riformismo arruffone fatto di operazioni di maquillage odi mirabolanti effetti speciali declamati e difficilmente realizzabili, ma serio e responsabile, rendendosi conto che una giustizia degna di uno Stato di diritto non si costruisce adeguando i principi alle emergenze, preoccupandosi più di chiudere fascicoli (il che costituisce un`operazione burocratica) che di concludere processi (che significa fare giustizia) e nemmeno assecondando con miopia politica logiche settoriali o intenti punitivi nei confronti di chicchessia, ma pensando finalmente e strategicamente agli interessi dei cittadini, tutelando i diritti e la dignità degli imputati, senza dimenticarsi delle parti offese.
Fonte: L’Espresso