Iva accertata: scatta la sanzione, se non si paga la quota dovuta
Legittima l’applicazione della pena pecuniaria nella misura del 30% in caso di mancato versamento di metà dell’imposta richiesta in caso di impugnazione dell’atto impositivo
Con la sentenza n. 15030/2014, la Suprema corte torna a occuparsi del tema inerente l’operatività del principio di legalità, di cui al comma 2 dell’articolo 3 del Dlgs n. 472/1997, all’abrogazione dei commi da 2 a 5 dell’articolo 60 del Dpr 633/1972, operata in occasione delle modifiche normative intervenute in tema di riscossione a titolo provvisorio della maggiore Iva accertata, e si pone in linea con il suo precedente orientamento.
Come noto, ai sensi dell’articolo 3, comma 2, del Dlgs 472/1997, salvo diversa disposizione di legge, nessuno può essere assoggettato a sanzioni per un fatto che, secondo una legge posteriore, non costituisce violazione punibile. Il successivo comma 3 del medesimo articolo prevede, inoltre, che, se la legge in vigore al momento in cui è stata commessa la violazione e le leggi posteriori stabiliscono sanzioni di entità diversa, nei confronti della fattispecie deve trovare applicazione il regime sanzionatorio più favorevole al contribuente, salvo che il provvedimento di irrogazione sanzioni sia divenuto definitivo.
La Corte di cassazione, più volte chiamata a individuare l’esatta portata della cennata disposizione, con una giurisprudenza pressoché costante, ha evidenziato che “di abolitio criminis in relazione agli illeciti connessi all’accertamento ed alla riscossione di un’imposta … può correttamente parlarsi soltanto quando questa venga radicalmente meno, di guisa che essa non possa essere più pretesa e riscossa neppure in riferimento alle annualità pregresse (come a seguito della dichiarazione di incostituzionalità dell’obbligazione ILOR per i lavoratori autonomi); quando invece la legge istitutiva di un’imposta venga abrogata a far tempo da una data stabilita dal legislatore, ma l’imposta continui ad essere dovuta per i fatti verificatisi anteriormente, in relazione ad essi l’obbligo di corrispondere l’imposta rimane in vigore, sicché non sono abrogate le norme sanzionatorie che tale obbligazione tributaria assistono” (Cassazione 27 novembre 2006, n. 25053 e, in senso analogo: 16 dicembre 2005, n. 27760; 3 marzo 2006, n. 4755; 24 novembre 2006, n. 24991).
In linea con siffatto orientamento, la Suprema corte ha già in passato evidenziato come la circostanza che nel tempo siano state diversamente regolate le modalità di riscossione frazionata della maggiore Iva accertata (a seguito dell’avvenuta abrogazione dell’articolo 60, commi da 2 a 5, del Dpr n. 633/1972, a opera dell’articolo 2, lettera c), del Dlgs n. 193/ 2001, che ha reso necessaria l’iscrizione a ruolo per la riscossione di quanto dovuto) e, conseguentemente, siano variati i presupposti in base ai quali si ritiene tardivo il relativo versamento, non può in alcun modo essere considerato un’abolitio criminis della “norma incriminatrice dell’omesso e ritardato pagamento” che, viceversa, è norma sempre vigente nel nostro ordinamento (Cassazione 29 aprile 2011, n. 9540).
Del resto, come lucidamente evidenziato in altra occasione dalla Suprema corte (30 maggio 2003, n. 8717), “in forza del principio di continuità normativa, l’abolitio criminis, determina la non punibilità degli illeciti commessi prima della abolitio stessa, soltanto nei limiti in cui l’obbligo, la cui violazione costituiva illecito sanzionato penalmente, non sia stato soppiantato da un altro obbligo omologo (v. Cass. pen. SS.UU. n.35/2001)”.
Mentre, nel caso di specie, non v’è una normativa successiva diversa sotto il profilo sanzionatorio, bensì una diversa regolamentazione della riscossione provvisoria del tributo, per cui non può ritenersi subentrata una normativa sanzionatoria più favorevole né, tanto meno, una ipotesi diabolitio criminis.
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME