Penale

Crisi di liquidità come esimente nel reato di omesso versamento IVA

In tema di reati tributari – Cass. Pen. sentenza n. 27676 del 26/06/2014

imagesIl Giudice, a fronte dell’allegazione di una situazione di crisi di liquidità – quale causa di giustificazione del mancato pagamento dell’obbligazione tributaria – ha il preciso obbligo di esaminare la situazione aziendale avvalendosi di accertamenti di tipo peritali che valutino l’andamento e le prospettive di carattere tecnico dell’impresa; ricorrerà, quindi, ad un accertamento peritale per non incorrere in un deficit motivazionale sull’elemento soggettivo del reato.

D’altro canto, perchè si possa parlare di esimente del reato di omesso versamento IVA, non deve la stessa, dipendere da consapevoli scelte imprenditoriali e non deve essere correlata alla condotta gestionale dell’impresa ma derivare da circostanze imprevedibili e o inevitabili, onde evitare di incorrere in una responsabilità colposa.

Quindi l’imputato potrà ricorrere alla valutazione di un consulente per soddisfare in modo adeguato l’onere di allegazione dell’incolpevolezza dello stato di liquidità.

Maria Luisa Votano

Cassazione Penale, Sezione Terza, Sentenza n. 27676 del 26/06/2014

(Presidente, SQUASSONI Claudia. Relatore, FRANCO Amedeo

sul ricorso proposto da:
B.A.;
avverso la sentenza emessa il 29 gennaio 2013 dalla corte d’appello di Ancona;
udita nella pubblica udienza dell’8 aprile 2014 la relazione fatta dal Consigliere Amedeo Franco;
udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. FRATICELLI Mario, che
ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo

A B.A. venne contestato il reato di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, per non avere versato entro il
termine del 27 dicembre 2006 l’IVA per il periodo di imposta 2005 pari ad Euro 216.167, come risultava da un
controllo automatizzato D.P.R. n. 633 del 1972, ex art. 54 bis.
Il giudice del tribunale di Ascoli Piceno, con sentenza 22.9.2011, assolse l’imputato perchè il fatto non sussiste.
A seguito di appello del PG, la corte d’appello di Ancona osservò:

– che la condotta si era consumata il 27 dicembre 2006 e quindi era intervenuta nella vigenza della L. n. 248 del
2006, di conversione del D.L. n. 223 del 2006;

– che l’imputato non aveva dedotto elementi a proprio discarico e non poteva ignorare di non avere pagato il
proprio debito IVA;

– che era irrilevante la circostanza che egli potesse trovarsi nella impossibilità di versare il dovuto per problemi
economici, ancorchè gravi, della propria impresa.

L’imputato, a mezzo dell’avv. Lorenzo del Federico, propone ricorso per cassazione deducendo:

1) erronea applicazione del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, e art. 42 c.p.. Osserva che il reato richiede il
dolo e che nella specie (come risulta dalla documentazione prodotta: istanza di rateizzazione di cartelle di
pagamento, dichiarazione dei redditi della società) è evidente che l’imputato non ha coscientemente e
volontariamente omesso di versare le somme relative all’IVA, in quanto la difficoltà finanziaria della società non
ha consentito i versamenti. La corte d’appello ha ammesso lo stato di difficoltà della società ma lo ha ritenuto
irrilevante. Inoltre non ha considerato che l’imputato avrebbe dovuto reperire la liquidità necessaria in appena
cinque mesi, poichè l’art. 10 ter è stato introdotto nel luglio 2006. Se si ritenesse integrato lo elemento
psicologico anche in presenza di grave crisi aziendale vi sarebbe contrasto con l’art. 27 Cost., perchè sarebbe
punito un soggetto per un fatto a lui non rimproverabile e quindi per una condotta inesigibile. Poichè il dolo
penalmente rilevante è solo quello sussistente al momento della condotta tipica, il dolo omissivo richiesto nella
specie deve necessariamente accompagnare il mancato adempimento alla scadenza del termine; circostanza
che la corte d’appello ha omesso di valutare. Nella specie risulta provato che la società versava in grave crisi e
l’imputato non disponeva della liquidità necessaria per versare le somme.

2) mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione in ordine allo elemento psicologico del
reato. Lamenta che la corte d’appello ha acclarato lo stato di difficoltà della società, ma erroneamente non ha
escluso il dolo nella condotta omissiva posta in essere.

3) incostituzionalità dell’art. 10 ter, in relazione all’anno di imposta 2005; irretroattività in malam partem;
violazione dell’art. 2 c.p.. Osserva che se con l’art. 10 ter (introdotto nel maggio del 2006) il legislatore ha
ricompreso nella condotta criminosa anche l’omesso versamento dell’IVA relativa all’anno 2005, si è dato corso
ad una illegittima applicazione retroattiva. L’imprenditore nel 2005, in cui si provvedeva alla liquidazione
periodica dell’IVA, riteneva non costituisse reato l’omesso versamento dell’IVA e non si è preoccupato di
accantonare la liquidità necessaria, privilegiando altri pagamenti. Il comportamento dell’imputato non era
previsto come reato nel 2005 e neanche durante la dichiarazione annuale IVA e HDD, ossia sino al maggio
2006. La norma è quindi palesemente incostituzionale per violazione dell’art. 3 Cost., e art. 25 Cost., comma 2.
Motivazione

L’eccezione di illegittimità costituzionale prospettata con il terzo motivo, in riferimento all’art. 25 Cost., comma 2,
è manifestamente infondata, per le ragioni già indicate dalla Sezioni Unite con la sentenza 28.3.2013, n. 37424,
Romano, m. 255758, massimata nel senso che “Il reato di omesso versamento dell’imposta sul valore
aggiunto (D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 10 ter), entrato in vigore il 4 luglio 2006, che punisce il mancato
adempimento dell’obbligazione tributaria entro la scadenza del termine per il versamento dell’acconto
relativo al periodo di imposta dell’anno successivo, è applicabile anche alle omissioni dei versamenti
relativi all’anno 2005, senza che ciò comporti violazione del principio di irretroattività della norma
penale”.

Inoltre, va ricordato che la Corte costituzionale, con le ordinanze n. 224 del 2011 e 25 del 2012 ha dichiarato
manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale, sollevata in relazione all’art. 3 Cost., del
D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10 ter, limitatamente alle omissioni relative all’anno 2005, ritenendo non lesivo
del parametro costituzionale evocato il fatto che il debitore IVA per l’anno 2005 disponesse di un termine minore,
dall’introduzione della norma, a luglio 2006, al 27 dicembre 2006, di quello accordato ai contribuenti per gli anni
successivi.

E’ invece fondato il primo motivo, avendo la corte d’appello sostanzialmente omesso di motivare, se non in modo
meramente apparente, sulle specifiche eccezioni proposte dalla difesa con l’appello relativamente alla
mancanza dello elemento soggettivo del reato.

La difesa aveva invero ricordato che l’art. 10 ter cit. prevede la sussistenza del dolo, escludendo quindi ipotesi
colpose. Aveva poi eccepito che nel concreto caso in esame, anche attraverso una produzione documentale
(istanze di rateazione di cartelle di pagamento, dichiarazione dei redditi della società) emergeva la prova che il
B. non aveva coscientemente e volontariamente omesso di versare le somme relative all’IVA, ma per la difficoltà
finanziaria della società da lui rappresentata non si era trovato nella condizione di potere effettuare i versamenti
degli importi risultanti dalle relative dichiarazioni. La condotta di versamento dell’IVA era dunque per lui
inesigibile perchè lo stato di crisi aziendale aveva di fatto reso impossibile il versamento per il legale
rappresentante. Aveva inoltre evidenziato che, relativamente all’IVA, l’imputato avrebbe dovuto reperire la
liquidità necessaria in appena cinque mesi, perchè l’art. 10 ter, che aveva introdotto la nuova norma
incriminatrice penale anche per il periodo di imposta del 2005, era entrato in vigore solo nel luglio del 2006.
Pertanto, secondo la difesa, la condotta omissiva non era rimproverabile al B., perchè la stessa era da ritenere
inesigibile, mentre per i reati omissivi propri il dolo è costituito dalla rappresentazione del presupposto del dover
agire e dalla volontà di non compiere l’azione doverosa (idonea e possibile). Aveva inoltre osservato che il dolo
penalmente rilevante è solo quello sussistente al momento della condotta tipica, e quindi il dolo omissivo in
questione doveva necessariamente accompagnare il mancato adempimento del comportamento doveroso alla
scadenza del termine prescritto. Pertanto, qualora il soggetto, a causa di una obiettiva mancanza di liquidità, non
possa fare altro che omettere il tempestivo versamento delle imposte dovute, non risulta integrato il dolo tipico
del reato, stante la effettiva mancanza di volontà dell’omissione, e dunque il soggetto non può essere ritenuto
personalmente responsabile per il fatto reato. Nel caso di specie, secondo l’eccezione difensiva, risultava
evidente, sulla base della documentazione prodotta, che la società versasse in una grave crisi economico
finanziaria e che il B. si trovasse nella impossibilità di disporre della liquidità necessaria per poter versare le
somme risultanti dalla dichiarazione IVA relativa al 2005, sicchè la situazione di illiquidità rendeva inevitabile la
condotta omissiva.

Orbene, a fronte di questi specifici motivi di impugnazione, la corte d’appello di Ancona ha, da un lato, ammesso
lo stato di difficoltà finanziaria della società, avendo accertato, in relazione alla determinazione della pena, che la
causa dell’omesso versamento era “rapportabile allo stato di crisi della società di cui era legale rappresentante il
B. che trova riscontro nelle copie delle dichiarazioni dei redditi della stessa che sono state acquisite al fascicolo
processuale”. Nonostante questo accertamento, però, la corte d’appello ha ritenuto sussistente il necessario
elemento soggettivo del reato con una motivazione appunto apodittica e meramente apparente, essendosi
limitata ad osservare che “irrilevante essendo, ai fini dell’integrazione dell’illecito, la circostanza che l’obbligato
potesse trovarsi nell’impossibilità di versare il dovuto per problemi economici, anche gravi, della propria
impresa”. In altre parole, sembra che secondo la corte d’appello si tratti di un reato punibile a titolo di
responsabilità oggettiva senza considerare che, trattandosi di delitto, è necessaria la prova della sussistenza
dell’elemento psicologico costituito dal dolo, sia pure generico.

Questa totale mancanza di motivazione sull’esistenza dell’elemento psicologico del reato (e sui relativi
specifici motivi di impugnazione) è sufficiente per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata,
senza che occorra in questa sede approfondire il tema – divenuto acuto negli ultimi anni – della incidenza
della crisi dell’impresa sul reato in esame.

E’ sufficiente qui ricordare che le sentenze delle Sezioni Unite n. 37424/2013, in tema di omesso
versamento IVA, e n. 37425/2013, in tema di omesso versamento di ritenute, hanno affermato che non
può essere invocata l’assenza di liquidità, qualora non si dimostri che essa non sia dipesa dalla scelta di
non fare fronte all’adempimento.

La sentenza 21.1.2014, n. 2614, ha riconosciuto che indicazioni specifiche e concrete atte a ravvisare una reale
impossibilità incolpevole all’adempimento possono escludere il dolo e, dunque, il reato.
La sentenza 5.2.2014, n. 5467, ha affermato che, nei casi di mancato versamento, non si può escludere in
astratto l’assenza di dolo o l’assoluta impossibilità di assolvere all’obbligazione tributaria per la crisi di liquidità,
occorrendo, però, provare la non imputabilità al contribuente della crisi e che detta crisi non può essere
adeguatamente fronteggiata tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, a idonee misure, sempre da valutarsi in
concreto.

La sentenza 7.2.2014, n. 5905, ha affermato che può essere esclusa la colpevolezza dell’imprenditore che
omette di versare le ritenute operate, se non dispone della provvista necessaria per aver utilizzato le sole risorse
finanziarie disponibili per pagare gli stipendi ai dipendenti; e che in tale caso l’onere probatorio o meglio di
allegazione della situazione di insolvenza incombe sull’imputato, aggiungendo che la forza maggiore può
escludere la punibilità del reato di cui all’art. 10 bis, nel caso di una imprevista ed imprevedibile indisponibilità del
denaro necessario, non correlata in alcun modo alla condotta gestionale dell’imprenditore.

La sentenza 25.2.2014, n. 13019, ha ritenuto che non è escluso che siano possibili casi nei quali possa
invocarsi l’assenza del dolo o l’assoluta impossibilità di adempiere l’obbligazione tributaria, ma in tal caso
occorre che siano assolti gli oneri di allegazione che, per quanto attiene alla lamentata crisi di liquidità, dovranno
investire non solo l’aspetto della non imputabilità a chi abbia omesso il versamento della crisi economica che ha
investito l’azienda o la sua persona, ma anche la prova che tale crisi non sarebbe stata altrimenti fronteggiabile
tramite il ricorso, da parte dell’imprenditore, ad idonee misure da valutarsi in concreto.

Va altresì sottolineato che, nel caso in esame, la corte d’appello ha poi totalmente omesso di esaminare l’aspetto
evidenziato con i motivi di appello relativo al fatto che si trattava di una situazione particolare perchè il reato
riguardava il mancato versamento degli importi IVA dovuti per il 2005, mentre la norma che puniva la condotta
omissiva come reato è entrata in vigore solo nel luglio 2006, dando così solo pochi mesi di tempo al contribuente
che eventualmente, a fronte di una crisi finanziaria dell’impresa, avesse voluto gestire le risorse economiche
confidando sul fatto che il mancato versamento dell’IVA avrebbe comportato solo sanzioni pecuniarie e avesse
perciò privilegiato il pagamento di debiti maggiormente indilazionabili. E difatti, la sentenza delle Sezioni Unite
n. 37425/2013, ha affermato che “Piuttosto, in relazione alle singole fattispecie concrete, possono venire in
rilievo elementi tali da condurre, anche per questioni collegate al divario temporale fra il momento di
effettuazione delle ritenute e l’introduzione della norma penale, all’esclusione dell’elemento soggettivo del reato.

Ciò in particolare potrebbe verificarsi nel caso in cui l’omissione del versamento nella misura prevista al
momento della scadenza del termine annuale rinviene la sua ragione esclusiva e non più ovviabile in un
comportamento colpevole interamente posto in essere prima dell’introduzione della norma penale, quando le
conoscibili e prevedibili conseguenze di esso consistevano solo in una sanzione amministrativa”.
La sentenza impugnata va dunque annullata per mancanza di motivazione con rinvio per nuovo esame alla corte
d’appello di Perugia.

PQM

La Corte Suprema di Cassazione annulla la sentenza impugnata con rinvio alla corte d’appello di Perugia.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte Suprema di Cassazione, il 8 aprile 2014.

Depositato in Cancelleria il 26 giugno 2014

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