ANCHE IL LUNEDÌ È CALCIO (Puntata 5) – di Angelo G. Abbruzzese
Anche in questo sabato, a deliziarci sono state le regine della scorsa stagione e che, a quanto pare, lo saranno anche durante l’annata da poco cominciata. Roma e Juventus giocano gli anticipi, in vista della Champions. Giallorossi in casa contro l’Hellas, bianconeri in quel di Bergamo. Nel giorno del suo 38° compleanno, Totti riceve un gradito regalo da Garcia, visto che parte da titolare insieme a Destro e Ljajic. Il copione è chiaro fin da subito, prima addirittura del calcio d’inizio, con Mandorlini che rinuncia a Toni per provare a colpire la Roma con un pizzico di velocità in più nelle ripartenze.
Ne esce un primo quarto d’ora di passaggi orizzontali dei giallorossi davanti a un muro di maglie bianche schierate interamente in dieci metri. Ci prova Nainggolan da fuori, lo imita Maicon poco dopo ma il pallone viaggia lontano dalla porta di Gollini (portiere nato nel 1995 quando Totti aveva già alle spalle 20 partite in A). Lo squillo che apre il match, però, arriva al quarto d’ora esatto sull’asse Maicon-Destro: il cross del brasiliano è col contagiri ma l’attaccante, che stacca altissimo, non trova la porta. Lo spavento sveglia la squadra di Mandorlini, che con Gomez si affaccia dalle parti di De Sanctis, ma che, dal 34’ in poi, mette in seria difficoltà la retroguardia di Garcia. Merito dei movimenti di Nenê e dello stesso Gomez, ma anche degli inserimenti di Brivio e Ionita dalle retrovie. Succede così che, mentre Totti, con un paio di rimpalli favorevoli, costringe Sorensen al salvataggio sulla linea, dall’altra parte è bravo De Sanctis a respingere i tentativi di Gomez dalla destra, unico vero intervento degli estremi difensori in tutto il primo tempo. Nella ripresa la musica, ma soprattutto il ritmo, è totalmente diverso. Il primo a suonare la carica voluta da Garcia è, manco a dirlo, Francesco Totti, che, dopo appena trenta secondi, impegna Gollini in angolo con una girata di prima di destro. È tutta la Roma, però, a scendere in campo con un piglio diverso, costringendo il Verona a rintanarsi forzatamente all’interno della propria area. Per cercare di scardinare la cassaforte veronese Garcia pesca Gervinho dal cilindro, in modo da velocizzare ulteriormente la manovra, ma i maggiori pericoli arrivano dai calci piazzati con Yanga-Mbiwa a sfiorare il palo di testa. Il Verona della ripresa non è coraggioso come quello del primo tempo e si rivela stanco e costretto alla difesa a oltranza. Solo l’ingresso di Toni dà respiro alla manovra di Mandorlini, ma è proprio lì che la Roma colpisce. Ci pensa Florenzi, questa volta senza esultanze sentimentali, con una botta di destro da venticinque metri che si infila all’angolino. Una magia a suo modo, come successo a Parma con Pjanic, che toglie le castagne dal fuoco alla capolista che continua, così, il suo cammino immacolato e fatto di sole vittorie, sublimato da un altro gioco di prestigio, quello messo in scena da Mattia Destro all’86’ con un destro – appunto – da quaranta metri che sorprende Gollini per il 2-0. Un gol incredibile che fa partire la festa, tutta tinta di giallo e di rosso.
Atalanta-Juventus si apre con un tiro del giovane Baselli, oggetto dei desideri bianconeri che lo vorrebbero come playmaker del futuro. La Juve, a dire il vero, fatica un po’ a trovare le misure. Evra sbaglia qualche appoggio, come Vidal, che non brilla. Ma là davanti c’è un trascinatore pazzesco, che si chiama Tevez. Corre a tutto campo, prende la mira e comincia a tartassare l’equilibrio dei reparti avversari. Si sgancia, affonda, rifinisce. Fa tutto. E ovviamente anche gol, non appena l’attenzione difensiva dell’Atalanta scema. Llorente vede l’inserimento di Lichtsteiner, il cross dello svizzero è un invito a nozze per Carlitos, che può solo comodamente appoggiare per lo 0 a 1. Una storia già vista. La Juve trae spinta e convinzione dal vantaggio e comincia a macinare gioco. In mezzo al campo l’Atalanta frana, dato che Pogba trova sempre il tempo giusto per la giocata. Sul fronte d’attacco, invece, il Papu Gomez è il fantasma di se stesso e Boakye non riesce a rendersi utile a Denis. Ma è sul piano mentale che i nerazzurri perdono coesione. Ed è la fine. Llorente sfiora il bis di testa dopo un’ingenuità di Estigarribia, ma si va a riposo con la Juventus avanti di un gol. L’intervallo, però, non cambia l’inerzia del match. La squadra di Allegri resta padrona, anche se l’ingresso del giovane Molina e un intervento accidentato di Chiellini consegnano a Denis la chance del pari. Il rigore del Tanque, ancora fermo a zero reti, viene, però, smanacciato da Buffon sulla riga di porta. Altro prodigio. Sul fronte opposto, a distanza di 60 secondi, Tevez completa la sua serata di grazia con un tiro dai venti metri che Sportiello non riesce a trattenere: è il 2-0 che chiude di fatto la partita. Ma non vi aspettate che la Juve smetta di giocare. Il furore agonistico cala un po’, ma c’è ancora bisogno di testare la condizione in vista dell’appuntamento di Madrid con l’Atletico di Simeone. E, nella stessa ottica, di dosare un po’ le forze. Così Llorente lascia spazio a Morata, Vidal a Pereyra. Gli ultimi due innesti, col solito zampino di Tevez, confezionano il tris: primo gol italiano (di testa) per l’ex centravanti del Real, che comincia a sgomitare per davvero. La partita è in ghiaccio, si può pensare alla Champions. Le prove non finiscono mai: coi Colchoneros sarà diverso dal solito. Batterli è uno step necessario per acquisire credibilità anche in Europa.
Nell’anticipo dell’ora prandiale, il Napoli è chiamato ad una reazione per uscire da una crisi che sta iniziando a diventare fastidiosa. E c’è Higuain. Riposato dopo la panchina contro il Palermo. C’è e si vede. Ma soprattutto si vede un Napoli che a lui si aggrappa, alle sue ripartenze e alle sue assistenze ancor più che alle sue conclusioni. Serve il Pipita per scardinare un Sassuolo accorto e compatto e serve tutta la sua grinta argentina per trascinare Insigne – ancora preferito a Mertens – Hamsik e Callejon. Zaza, dall’altra parte, fa, invece, fatica, mentre Sansone e Floccari provano a confondere la difesa azzurra scambiandosi di posizione. Il Napoli, però, non soffre più di tanto, così Zuniga può salire per cercare la superiorità numerica e costringere piano piano i padroni di casa a ripiegare e abbassarsi. Ma è soprattutto dalle idee e dai piedi di Higuain che passano i pericoli per Consigli – non tanti a dire il vero, il solo vero degno di nota è quello portato da Hamsik al quarto minuto – e il gol di Callejon che, poco prima della mezzora, rompe l’equilibrio. Napoli in vantaggio e da lì al riposo, una volta tanto, capace di gestirlo e non scomporsi. Merito proprio o demerito del Sassuolo, squadra col peggior attacco del campionato a secco dalla prima giornata, incapace di reagire? Questa l’incognita che il secondo tempo ha il merito di chiarire, dando per buona la seconda ipotesi. Perché il Napoli del Mapei Stadium è sì migliore di quello visto nelle ultime due settimane, ma è ancora senza dubbio una squadra convalescente, lontana da quella vista la scorsa stagione e graziata degli avversari che si svegliano solo nel finale. Così come lontano da una forma accettabile è ancora Marek Hamsik, sostituito al quarto d’ora della ripresa da De Guzman. E si tratta del primo cambio di Benitez, che da lì a poco richiama in panchina anche Higuain, inserendo Zapata, alla ricerca di una maggior freschezza fisica per provare a chiudere i conti già prima del novantesimo. Conti che, però, non ci fosse stato il tocco propizio della buona sorte, si sarebbero potuti chiudere diversamente vista la traversa colpita da Peluso a pochi istanti dal fischio finale. Uno a zero per il Napoli, dunque, ed è una vittoria necessaria per scacciare i fantasmi, tre punti per allentare la tensione. Benitez può respirare: la crisi è un po’ più lontana. Per tornare in alto, però, la strada è ancora molto lunga.
Inter-Cagliari, invece,dura appena 27 minuti.È un buon Cagliari, che corre molto, costringendo l’Inter a subire gioco e ritmo. E passa subito la squadra di Zeman, con Sau che, al 10’, sfrutta l’involontario assist di testa di Yuto Nagatomo. L’Inter reagisce, com’è ovvio che sia. La ricerca del gol, degli interisti, è per vie lunghe, ovvero lanci per Palacio e Osvaldo onde superare la linea alta della difesa rossoblù. Dev’essere questo l’ordine di scuderia, perché la squadra, diversamente dal solito, tende a non tenere palla. Un assaggio di Palacio (tiro molle), poi il Trenza regala la palla del pareggio, con una furbata su punizione istantanea, a Osvaldo: quelli del Cagliari dormono, l’ex Roma e Juve riceve solo davanti a Cragno a insacca. Uno a uno. E ricominciamo. Si riprende, gli zemaniani hanno qualcosa in più, l’Inter in difesa senza Ranocchia (a riposo) è un po’ distratta o non coperta a dovere. Nagatomo commette un fallo al 25’, è ammonito; due minuti dopo ne commette un altro, e Banti non perdona. Cartellino rosso per il giapponese, che da capitano chiude così la sua domenica bestiale. E lì finisce Inter-Cagliari. Nel senso che poi comincia una surreale commedia nerazzurra con inverosimili catastrofi difensive oltre le quali Ibarbo, Sau e Cossu fanno quello che vogliono e Albin Ekdal si veste da fenomeno del gol. Segna subito al 29’, su una disperata deviazione di Handanovic dopo il tiro di Dessena; centra il bersaglio al 34’, dopo un assolo di Ibarbo che nemmeno Messi o Ronaldo saprebbero imitare (in tal caso Dodò e Juan Jesus lo guardano, fermi e ammirati); e fa tris al 44’ su calcio d’angolo e dopo rimpalli vari, intorno ai quali i mazzarriani non fiatano. Ah, dimenticavo: al 43’ Handanovic para un rigore a Cossu, rigore che Banti assegna per un fallo di Vidic su Sau, con l’Inter in nove perché era uscito Dodò per infortunio. L’ingresso di D’Ambrosio, poi, coincide col terzo gol di Ekdal. Che dire, amici interisti? C’è poco da dire del secondo tempo, che ha senso solo per segnalare l’eventuale quinto gol del Cagliari, o il secondo dell’Inter magari. Niente invece. Entra Guarin per Medel a inizio ripresa, si viene a sapere che Dodò si è fatto male davvero, ginocchio. Osvaldo e Palacio vanno vicini alla rete, Ibarbo e chi altri provano a fare del male alla retroguardia nerazzurra, ma non hanno la voglia di andare fino in fondo. E quel che si guarda si più sono le smorfie di dolore di Mazzarri, impietrito. E di Thohir, che in tribuna giochicchia col telefonino, per mandare messaggi o fare finta di mandarli, per non vedere quel che accade in campo. Qualche ammonito, qualche pestone, altri cambi. La solita smorfia di Zeman, per lui è quasi sempre lo stesso giorno. Era da 19 anni che il Cagliari non vinceva a San Siro. E lo ha fatto nel modo e nel giorno meno ipotizzabili. Intanto, davvero complimenti.
Dopo cinque giornate l’entusiasmo “alla Pippo” è già svanito in casa Milan. Contro il Cesena è arrivato il secondo pareggio consecutivo in casa di una neopromossa, con i rossoneri traditi dal proprio attacco pur confermando la vulnerabilità difensiva. Questa volta tutti gli occhi e le ire dei tifosi finiranno addosso alle spalle larghissime di Christian Abbiati, fiacco e lento in occasione del gol di Succi per il vantaggio romagnolo. L’1-1 quasi immediato di Rami sembrava dar vita ad un’altra partita, ma Inzaghilandia questa volta è durata un tempo e senza il suo aspetto più divertente: il gol. A deludere è stata proprio la ripresa del Milan, a ritmo blando in mezzo al campo dopo un primo tempo dominato in lungo e in largo. Dopo la doccia gelata di Succi al 10’, bravo a ribadire in rete una respinta ignobile di Abbiati sul tiro di Marilungo nell’unica occasione bianconera, i rossoneri hanno schiacciato l’acceleratore creando palle-gol in serie trascinati da Bonaventura e dal diesel Menez. Il gol è arrivato al 19’ da azione d’angolo con Rami bravo a svettare in mezzo all’area, ma fino all’intervallo la sensazione sembrava essere di una partita in discesa per il Milan con Honda e Bonaventura divisi dal gol solo da centimetri, così come Torres. Sembrava, appunto. Nel secondo tempo l’unica vera occasione se l’è creata De Sciglio con un tiro dal limite dell’area, con un Cesena che lentamente è stato capace di riprendere campo e spaventare l’altissima difesa rossonera con ficcanti contropiedi. Vittima eccellente Cristian Zapata, espulso al 73’ per fallo da ultimo uomo su Defrel lanciato a rete. Gli spaventi per Abbiati e soci non mancano, latitano invece le accelerazioni di Menez e Torres, sostituito da Pazzini, con la partita che si trascina stancamente al fischio finale. La festa, insomma, è tutta del Cesena, che continua a fare punti al Manuzzi, mentre per il Milan sembra essere l’alba di una nuova depressione. Inzaghi dovrà inventarsi qualcosa: il passaggio al 4-2-3-1 è un inizio ma non è la soluzione di tutti i mali.
Un punto a testa. Senza farsi male, con la testa all’Europa League e un occhio alla classifica. Incerottate, Torino e Fiorentina si dividono la posta. Un risultato giusto, frutto di una partita giocata a ritmi bassi nel primo tempo e che si infiamma solo nella ripresa. In campo si contano più i grandi assenti che gli uomini in grado di fare la differenza. Vincono gli infortunati, insomma. Ma il pari è buono per tutti, soprattutto per il futuro. In attesa di tempi migliori e di recuperare uomini fondamentali per i rispettivi progetti. L’impegno di Europa League e qualche infortunio segnano la formazione di Ventura, che lascia Amauri in panchina e in avanti si affida alla coppia Quagliarella-Sanchez Mino. In difesa Maksimovic vince il ballottaggio con Bovo, con Gazzi e Vives a far legna in mezzo al campo e Darmian e Peres sulle fasce. In porta turno di riposo per Padelli, dentro Gillet. Scelte obbligate invece per Montella, che, dopo il forfait di Cuadrado, schiera in attacco Babacar e Ilicic con Borja Valero in appoggio. In mezzo al campo spazio a Badelj, Kurtic e Mati Fernandez. A caccia di certezze e punti preziosi, entrambe le squadre partono senza spingere, affidandosi soprattutto ai lanci lunghi e ai duelli individuali. In campo si lotta su ogni pallone e il gioco si sviluppa a singhiozzo, con continui capovolgimenti di fronte e inutili tentativi dalla distanza. Squadre lunghe e molti spazi per gli inserimenti degli esterni. Richards sulla destra fa buona guardia, ma senza i suoi gioielli la Fiorentina fatica a trovare il guizzo vincente negli ultimi trenta metri. Questione di qualità e personalità. Il Toro invece pensa più al possesso palla e, quando riesce, El Kaddouri cerca Quagliarella in verticale. Col passare dei minuti gli uomini di Montella provano a manovrare con ordine, ma manca la velocità e i granata alzano la barricata al limite. Montella invita i suoi a tirare dalla distanza, ma la mira è sempre sbagliata. Difese schierate, poco spettacolo. Fernandez e Valero provano a dare la scossa alzando il baricentro e i viola prendono in mano la partita. La Fiorentina guadagna metri, il Toro, invece, arretra e subisce l’iniziativa avversaria. Quagliarella prova a sorprendere Neto con un tiro da centrocampo, ma è solo un colpo per palati fini. Alla mezzora il match si incanala sui binari viola, con la banda di Montella che pressa alta, tiene palla e prova a rompere gli equilibri. Al 30’ miracolo in uscita di Gillet su Babacar. Poi Kurtic ci prova da lontano. Sale il ritmo della Fiorentina, ma i granata restano vivi. Al 34’ El Kaddouri e Sanchez Mino dialogano bene al limite e sfiorano il vantaggio. Babacar si muove bene, ma è un po’ macchinoso spalle alla porta e in zona gol. È fenomenale Gillet, che al 38’ salva ancora il risultato su un inserimento del senegalese. Sul capovolgimento di fronte, poi, tocca a Neto superarsi su un diagonale di Quagliarella. Portieri migliori in campo e primo tempo a reti inviolate. Nei primi minuti della ripresa il Toro patisce il turno infrasettimanale. Fernandez domina in mezzo al campo e i granata vanno in affanno. Ventura se ne accorge, toglie uno spento El Kaddouri e prova a puntellare il centrocampo con Ruben Perez. Mossa azzeccata, che ridà fiato al Toro e libera gli inserimenti in fascia. Darmian al 60’ sfiora il gol, poi al 62’ Peres mette in mezzo per Quagliarella, che difende palla e trafigge Neto. Cambia l’inerzia del match. In vantaggio, il Torino prende fiducia e riparte con maggiore continuità, tenendo sempre sull’attenti la difesa viola con le ripartenze. Montella prova a inserire Aquilani, Pizarro e Bernardeschi a caccia di ordine e verticalizzazioni. E la prima palla toccata dal gioiellino ex Crotone è un assist al bacio per Babacar, che pareggia i conti. Gli ultimi minuti sono scoppiettanti, con continui capovolgimenti di fronte e brividi lungo la schiena per i due tecnici. Solo il triplice fischio mette fine alle ostilità e regala un punto a testa a Torino e Fiorentina. Ora c’è l’Europa League. Vietato distrarsi.
Anche tra Chievo ed Empoli il risultato finale è di 1 a 1. E succede tutto nella ripresa, dopo un primo tempo tutto sommato scialbo, caratterizzato dall’assenza di conclusioni verso la porta, eccezion fatta per un tiro di Cofie al 25’. E l’ex Genoa, ad inizio ripresa, si conferma l’uomo più pericoloso del Chievo. Cross dalla sinistra di Meggiorini – subentrato a Birsa – e bell’inserimento del centrocampista ghanese, che, però, colpisce male. I gialloblù sono più vivi e al 50’ trovano il gol del’1-0 proprio con Riccardo Meggiorini. Passaggio filtrante di Paloschi, l’ex granata ci crede e in scivolata spedisce il pallone alle spalle di Sepe. La rete dei veneti sveglia l’Empoli. Calzona – in panchina al posto dello squalificato Sarri – sostituisce uno spento Tavano con Maccarone. Il neo entrato è subito in partita: sponda di testa per Manuel Pucciarelli, che da due passi segna il gol del’1-1. Il numero venti dell’Empoli potrebbe addirittura concedere il bis poco dopo, ma sull’assist di Mario Rui si divora clamorosamente la rete del sorpasso. Il Chievo si ributta in avanti, ma i toscani restano più pericolosi e sfiorano nuovamente il vantaggio, questa volta con Maccarone. La squadra di Corini prova a rispondere con Maxi Lopez (entrato al posto di Paloschi), che sfiora il palo con bel tiro da fuori. Dopo non succede più molto, le squadre si accontentano e portano a casa un punto ciascuno. Pareggio nel complesso giusto, anche se ai punti l’Empoli avrebbe, forse, meritato qualcosa in più.
Il derby della Lanterna, posticipo serale, se lo aggiudica la Sampdoria. L’assenza di vere occasioni-gol, nel primo tempo, è inversamente proporzionale allo spettacolo. Genoa-Sampdoria è una battaglia tutta fisico e nervi, tattica ed emotività. Si gioca ad un’intensità mostruosa, a cui il calcio italiano, ahinoi, non è più abituato da tempo. I moduli speculari (4-3-3) incanalano il match in un’aggressiva serie di uno contro uno, che non danno mai mezzo secondo di tregua. Okaka, sin dal principio, va a fare a sportellate con De Maio e Burdisso; dall’altra parte, dove il centravanti è Pinilla, succede la stessa cosa con Silvestre e Romagnoli. Impossibile passare per vie centrali, anche perché dal centrocampo (sia da quello rossoblù, sia dal blucerchiato) escono solo palloni “sporchi”, causa mancanza di spazi. La chiave per spalancare i rispettivi blindati, dunque, è inevitabilmente una: allargare il gioco e provare a sfondare sulle fasce. Nei primi 45 minuti ci prova di più, e meglio, il Genoa, che tiene un ritmo clamoroso e confeziona l’opportunità più succosa con Pinilla, il cui colpo di testa (cross da destra di Perotti) è bloccato in presa da Viviano. La prima mossa per provare a spaccare lo 0-0 è opera di Gasperini, che dopo un’ora di gioco toglie l’impalpabile Kucka e inserisce Matri. Il Genoa, che parte meglio anche nella ripresa, passa così al doppio centravanti (4-4-2), confidando nei rifornimenti dalle corsie laterali (Antonelli-Perotti a sinistra, Roncaglia-Edenilson a destra). La strategia non premia, però, il tecnico rossoblù, visto che a guadagnare campo è la Sampdoria, comunque mai davvero pericolosa fino ad un quarto d’ora dal termine. Poi arrivano la decisiva punizione di Gabbiadini (con leggera deviazione di De Maio) e, al triplice fischio, l’urlo di Ferrero, che corre in estasi sotto la Gradinata Sud per festeggiare il suo primo derby. La Sampdoria, unica imbattuta con Roma e Juventus, è in zona Champions League. Sembra roba da film, ma, invece, è tutto vero.
Il programma della 5a giornata non finisce di domenica, perché ci sono altre due partite, da giocare nel lunedì. Dalla sfida del Friuli solo certezze: l’Udinese è la terza forza del campionato in questo momento; Di Natale segna e fa segnare anche a mezzo servizio; il Parma è tutto o quasi nei piedi di Cassano. Il 4-2 con cui i friulani hanno regolato la banda Donadoni è stato un bel segnale di compattezza del gruppo di Stramaccioni, bravo a reagire immediatamente all’iniziale svantaggio trascinato dal solito intramontabile Di Natale. L’Udinese, però, a differenza del Parma, in questo momento è una squadra vera, organizzata e ficcante anche nei suoi uomini meno protagonisti, a partire da Badu, Allan e Heurtaux. Anche per questo motivo un buon gioco i friulani l’hanno fatto vedere dopo essere andati sotto al 22’ per il primo gol in Serie A di José Mauri, centrocampista classe 1996, bravo a girarsi in area dopo un passaggio filtrante di Cassano e battere sul primo palo l’ottimo Karnezis. La reazione di casa non s’è fatta attendere e, complice l’imbarazzante difesa del Parma (già 14 i gol al passivo), il pareggio è arrivato sei minuti più tardi sull’asse Badu-Di Natale. Dall’1-1 all’intervallo, però, succede di tutto, soprattutto nell’area dell’Udinese, con un Karnezis sopra le righe, ottimo a neutralizzare i colpi di Coda, Mauri e Cassano. Su un ribaltamento di fronte le pecche emiliane vengono di nuovo a galla e a Di Natale, con l’ottimo velo di Thereau, basta poco per trovare la doppietta. Non è tutto però: prima della pausa arriva il pareggio del Parma con un cucchiaio dal dischetto di Cassano dopo il fallo ingenuo di Widmer su Mauri. È nella ripresa che l’Udinese costruisce la sua vittoria. Stramaccioni sposta Allan nella zona di Cassano con il risultato di annullare quasi completamente il numero 99 del Parma dalla partita. Il brasiliano vince tutti i contrasti e riparte e, con Fantantonio spento, la pericolosità dei gialloblù cala drasticamente. L’episodio che cambia la partita è, però, inaspettato e arriva al 58’: Widmer crossa di sinistro in area e Heurtaux, centrale difensivo, sfodera una spettacolare rovesciata in mezzo all’area che vale il 3-2. Nel finale la partita si spacca in due, Stramaccioni si copre inserendo Domizzi e punta sul contropiede con Muriel. Il gol del 4-2 arriva con Thereau nel finale, mentre il Parma perde Acquah per doppio giallo con un intervento inutile a centrocampo. Donadoni si infuria, ma, mentre a Udine è festa grande, in Emilia è buio pesto. E l’ultimo posto in classifica dice tutto.
Alla Favorita di Palermo, grande affermazione della Lazio di Pioli, che vince la sua seconda gara stagionale e prova ad uscire dalla mini-crisi in cui era entrata. Il primo tempo è una lotta a campo aperto. Il Palermo, a trazione anteriore, si appoggia al tridente e cerca la profondità, la Lazio fatica a manovrare e lancia lungo per Djordjevic. A caccia di punti e di un’identità, Pioli cambia modulo e si affida all’esperienza di Mauri. Con il 4-2-3-1 Parolo, in mezzo al campo, fatica a trovare la posizione e il Palermo, quando accelera, fa veramente paura. La squadra di Iachini si difende con ordine e gioca bene in velocità. Barreto è un martello ed è praticamente ovunque. Dybala, Vazquez e Belotti hanno un altro passo e si inseriscono con continuità tra le linee, seminando il panico tra i centrali biancocelesti. E il Palermo fa la partita. Al 39’ Vazquez fa tutto da solo, colleziona tunnel, salta mezza difesa della Lazio, ma poi spara a lato da ottima posizione. De Vrij e Cana si danno del lei e due minuti dopo tocca a Marchetti metterci una pezza. La Lazio traballa, ma non cade. Candreva non molla e insiste nell’uno contro uno sulla destra e al 45’ sorprende tutti con un perfetto cross per Djordjevic, che firma il primo gol in Serie A sul filo del fuorigioco. Un vantaggio cinico e senza fronzoli, proprio come la squadra di Pioli, che sorprende i padroni di casa nell’unico reale momento di distrazione. Colpito, il Palermo rischia poi il doppio ko nei minuti di recupero del primo tempo, ma Sorrentino è pronto sul guizzo di Mauri. Nella ripresa il gol degli ospiti, però, non influisce sulle giocate di Vazquez e Dybala, che mostrano il meglio del repertorio e costringono Marchetti agli straordinari. Nella Lazio si accende Candreva, che attacca Lazaar con più continuità e fa salire la squadra. Il Palermo, però, non ci sta e alza il ritmo. Entra Emerson e i rosanero continuano a premere. La banda di Iachini attacca a testa bassa e la Lazio soffre. Per fermare i guizzi del tridente del Palermo, Cana & Co. usano anche le maniere forti. Ma il forcing verso la porta di Marchetti continua. Al 66’ Feddal commette un clamoroso errore da ottima posizione. Si lotta su ogni pallone e la partita si infiamma al 70’. Felipe Anderson inventa e Djordjevic e Parolo costringono Sorrentino ad un doppio miracolo. Squadre lunghe, occasioni continue. Il Palermo preme, ma è ancora la Lazio ad affondare il colpo. E allora ci pensa ancora Djordjevic a mettere l’ombrellino nel long drink. Il serbo, inesauribile, al 75’ si libera bene in area e batte Sorrentino di precisione. Dopo il raddoppio, Pioli fa entrare Ciani e si mette a cinque dietro. Per la Lazio è troppo importante portare a casa i tre punti e non è il momento di badare troppo all’estetica. Bisogna riprendere il cammino e puntare in alto in classifica. Ma non è serata di rimonte. Anzi, è una notte magica per Djordjevic, che all’83’ firma una tripletta e chiude il match. Nel recupero, poi, c’è spazio anche per il poker di Parolo, ma ormai è solo accademia. La Lazio è cinica e stravince, ma il ko del Palermo non fa così male.
Juventus e Roma, in attesa dello scontro diretto del 5 ottobre, sempre più prime a punteggio pieno, seguite dalle sorprendenti Udinese e Sampdoria. Sono quattro, invece, i calciatori in vetta alla classifica marcatori, con 4 gol segnati: Tevez, Di Natale, Osvaldo e Cassano.
I TOP
Albin Ekdal (CAGLIARI): Probabilmente ha realizzato il sogno che qualsiasi bambino ha nel proprio cassetto. Una tripletta a San Siro non è cosa frequente, soprattutto se, poi, la partita termina per quattro reti a una in favore della tua squadra. La prima vittoria del Cagliari di Zeman è stata una vera e propria lezione di calcio e lo svedese ne è stato l’indiscusso protagonista. DIVINO.
Gianluigi Buffon (JUVENTUS): Non me ne voglia Tevez, ma stavolta è più giusto dare a SuperGigi la copertina di quest’altra vittoria bianconera, perché il rigore parato a Denis spiana ulteriormente la strada alla squadra per il successo finale. È vero, Buffon viene chiamato raramente in causa. Ma, quando serve, c’è sempre. IMBATTUTO eIMBATTIBILE.
Antonio Di Natale (UDINESE): Che dire ormai? Non smette mai di stupire. Altra doppietta (la seconda in campionato) e Parma schiantato. Baggio non è più così lontano. INTRAMONTABILE.
Filip Djordjevic (LAZIO): Parla poco, è vero. E questo suo atteggiamento di timidezza lo aveva messo in campo in queste prime giornate. A Palermo, invece, c’è stata la svolta. Hat-trick e prima vittoria esterna della Lazio in questo campionato. Con una “riserva” così, Klose potrà anche permettersi un raffreddore ogni tanto.INDOMABILE.
I FLOP
German Denis (ATALANTA): Ad inizio ripresa, sbaglia il rigore che poteva regalare il pari alla Dea. E, da qui in poi, cala mostruosamente. In una partita che già non lo aveva visto protagonista. STREGATO.
Yuto Nagatomo (INTER): Probabilmente è stata la partita più infelice della sua carriera. Il giapponese, entrato con la fascia di capitano al braccio, ne combina di tutti i colori: prima serve Sau per il vantaggio cagliaritano, poi colleziona due gialli in poco più di due minuti e lascia in 10 i suoi. Ed è l’inizio della fine. CALAMITOSO.
Christian Abbiati (MILAN): Non è più un ragazzino, è vero, ma al Manuzzi commette un errore che si vede soltanto negli oratori. IMPERDONABILE.
Alessandro Lucarelli (PARMA): Non la vede praticamente mai, né con Di Natale né con Muriel o Thereau. Lento fino all’esagerazione, ripete la prova disastrosa offerta contro il Milan. IMPACCIATO.