ANCHE IL LUNEDÌ È CALCIO (Puntata 3) – di Angelo G. Abbruzzese
È il weekend di Milan-Juventus: nemici come prima, amici mai, fate un po’ voi. Fatto sta che questa volta la partita torna ad essere decisiva (anche se siamo soltanto alla terza giornata), a valere qualcosa, perché la Juve ha sempre voglia di riaffermare il proprio potere, mentre il Milan vuol dimostrare di essere maturato. E quale occasione migliore di un impegno casalingo contro la squadra che ha stravinto negli ultimi tre anni?
E la visita di Berlusconi a Milanello, le parole di Inzaghi in conferenza stampa e lo striscione esposto dai tifosi rossoneri prima della gara (“Un anno di rabbia per tornare grandi”) sono fattori inequivocabili di uno sfrenato desiderio di rivalsa da parte del Diavolo. Milan-Juve, dunque, ma non solo. Già, perché il terzo capitolo della Serie A 2014-2015 si apre con un interessante anticipo tra due neopromosse (Cesena ed Empoli), ambedue a caccia di punti che in futuro potrebbero rivelarsi molto preziosi. E la partita è davvero bellissima, perché sia la formazione di Bisoli che quella di Sarri giocano con piena maturità, divertendo il pubblico con organizzazione (il Cesena) e scambi veloci (l’Empoli). Pronti via e i toscani hanno subito la palla gol per passare in vantaggio, ma Leali è molto bravo a salvare sul colpo di testa di Rugani. Verdi, schierato sulla trequarti, non dà punti di riferimento alla difesa dei padroni di casa e, poco dopo, è proprio lui a spaventare ancora una volta i romagnoli con un gran tiro da fuori area, che termina di poco a lato. La squadra di Sarri continua a macinare gioco, ma manca di concretezza. Il Cesena prova ad approfittarne e a cavallo della mezz’ora sfiora l’1-0 con Guido Marilungo, che da ottima posizione spreca di testa. L’attaccante, però, si riscatta allo scoccare del 30’: l’ex Sampdoria prima colpisce la traversa su una ribattuta corta di Sepe e, sulla successiva respinta, porta in vantaggio i suoi con un colpo di testa. Ci si aspetta la reazione immediata degli ospiti ed invece, dopo nemmeno tre minuti, arriva il 2-0 del Cesena. Sale in cattedra Gregoire Defrel, che conclude una sua azione personale con un tiro mancino da fuori che si insacca alle spalle di un incerto Sepe. Terribile uno-due degli uomini di Bisoli, dunque, che mettono al sicuro il risultato e vanno al riposo con grande tranquillità. Tranquillità che, però, dura soltanto 10 minuti. Contatto in area tra Lucchini e Tavano visto dall’arbitro Gavillucci, che indica il dischetto. Dagli undici metri Tavano non sbaglia e l’Empoli riapre la partita. I toscani si buttano in avanti, rischiando qualcosa in contropiede. Il Cesena sembra poter amministrare il vantaggio, ma dopo una bella parata di Leali su Verdi, a circa venti minuti dal termine subisce il gol del pareggio. Ci pensa Daniele Rugani (l’attaccante di gran lunga più pericoloso dell’Empoli), bravo a sfruttare una respinta di Leali. Entrambe le squadre non si accontentano e lo spettacolo ne beneficia. Il Cesena prova ad affidarsi ai centimetri di Djuric, ma l’attaccante bosniaco si vede poco. L’Empoli cerca, invece, di sfruttare i calci piazzati e spera nella giocata di Tavano, ma il numero 10 casertano, rigore a parte, non è troppo ispirato. Nei minuti finali è la squadra di Bisoli ad avere la palla della vittoria, ma Sepe si supera e riscatta l’incertezza sul gol di Defrel. Per il Cesena si tratta di un’occasione persa per battere una diretta concorrente nella lotta salvezza, ma, probabilmente, per quello che si è visto in campo, il pareggio pare essere il risultato più giusto.
Ed eccoci al piatto forte della giornata. San Siro è gremito, Caressa e Bergomi sono pronti in telecronaca, Allegri e Inzaghi danno le ultime indicazioni alle squadre: c’è voglia di divertirsi e, soprattutto, di vincere. Nei primi minuti si ha l’impressione che la Juve provi a schierarsi con la difesa a 4, con Caceres a destra e Asamoah che gioca 20 metri più indietro rispetto al solito. Ma, a dispetto delle previsioni, nessuna delle due squadre cerca l’affondo vincente. Ci prova l’ispirato Pereyra con un destro a giro, risponde il Milan con un colpo di testa di Honda respinto alla grande da Buffon. Qualcosa di diverso comincia a maturare alla mezz’ora circa, quando Allegri sposta Pogba e Pereyra sulle corsie l’uno dell’altro, per capire se l’ex Udinese abbia più chances di offendere attaccando la zona di competenza di Poli. E, a questo punto, comincia il prologo di una decina di minuti a tutta-Juventus, che, dal 31’ al 38’ circa, addenta la zona-gol con Llorente, Pereyra, Bonucci e Marchisio. Abbiati è pronto sullo spagnolo, Pereyra sfiora il palo con un destro a giro, Bonucci non coglie l’attimo di testa ed infine Marchisio – ad Abbiati battuto – coglie il palo pieno con un sinistro dai venti metri. E uno scambio tra Llorente e il “Tucumano” Pereyra trova preparato Abbiati. La difesa del Milan, accerchiata, mostra qualche lacuna. E s’era già visto con Lazio e Parma, d’altronde. C’è anche spazio di un malanno di Caceres, che esce per lasciare il posto a Ogbonna al 34’. E poi un’incomprensibile ammonizione che Rizzoli rifila a Marchisio per una scorrettezza che non c’è. Riposo con lo 0-0 e assoluto dominio bianconero. E non solo per le occasioni: cinque o sei per la Juventus, una (e mezzo) per il Milan. Nella ripresa è sempre la Juve a tenere la palla tra i piedi, sfiorando il gol dopo un quarto d’ora prima con un tiro di Pogba deviato da Rami e poi con un inserimento di Marchisio su azione da calcio d’angolo. Alla metà del secondo tempo El Shaarawy si fa male e viene rimpiazzato da Jack Bonaventura, che fa il suo esordio a San Siro con la maglia rossonera. E alla fine, dopo tanti tentativi e tanto contenimento da parte del Milan, il gol, la Juventus, lo segna. E, manco a dirlo, è opera di Tevez. Siamo al 71’ quando quel gran genio di Pogba (che gioca tra luci e ombre) inventa un assist magico per l’Apache, che segna, di destro, battendo un Abbiati che va a terra forse troppo presto. A questo punto ci si aspetta una reazione da parte del Milan, ma essa arriva soltanto in termini di cambi, visto che Torres e Pazzini rilevano Poli e Honda. La Juve, però, non soffre praticamente mai e si mette in tasca una vittoria di prestigio, dimostrando quella personalità che l’ha contraddistinta dalle altre squadre in questo triennio. Dal Milan di Inzaghi, invece, era lecito aspettarsi un po’ più di coraggio, soprattutto dopo le prime due uscite stagionali. È una sconfitta che deve far riflettere, ma non deve tarpare le ali. Margini di crescita ce ne sono eccome, ma bisogna lavorare ancora molto.
Nell’anticipo dell’ora prandiale, sfida a tinte gialloblù tra un Chievo rigenerato dopo la vittoria di Napoli e un Parma in crisi, avendo perso nelle prime due giornate. E la squadra di Donadoni è in emergenza, viste le assenze di Cassani e Paletta (per infortunio) e di Biabiany (aritmia cardiaca). La partita comincia male per i ducali, perché il Chievo passa subito grazie al piazzato di Izco sull’assist di Lazarevic. Il Parma si affaccia dall’altra parte del campo alla ricerca del pari, ma Bardi deve sporcarsi i guanti solo su un intervento sottoporta di Cassano (e la parata è davvero splendida). Il Chievo controlla, accelera a piacimento, e sfiora più volte il raddoppio (Maxi Lopez apre troppo il piattone al 25’). E non sa ancora di doversi scontrare col carattere degli emiliani, che nei primi 45’ si intravede pochissimo. Nell’intervallo cambia qualcosa, ma la scossa la dà il giovanissimo Coda, che ha girato l’Italia in prestito. Il classe ’88 propizia il gol del pari di Cassano (stupendo il suo destro sotto l’incrocio), segna il gol dell’1-2 da vero bomber di razza e, come se non bastasse, apparecchia, di petto, per l’accorrente Fantantonio, che batte per la terza volta Bardi dividendosi la palma di migliore in campo proprio con il giovane attaccante col numero 88. Sono dodici minuti di pura estasi, in cui il Parma ribalta il match e forse l’inerzia della stagione. Giocando a calcio come meglio non si potrebbe, trovando protagonisti attesi e inattesi, dando una spallata – magari decisiva – alla cattiva sorte che lo attanaglia. E poco importa se il Chievo prova a rientrare in partita con la zampata, nel finale, di Alberto Paloschi, perché, al Bentegodi, il gialloblù che trionfa è quello della compagine di Donadoni.
La Roma risponde alla Juve in un turno di campionato che sembrava poter giovare a suo favore e che invece, dopo il successo dei bianconeri a San Siro, si chiude con le due contendenti ancora a braccetto. Sì, perché pare che saranno proprio la squadra di Allegri e quella di Garcia a giocarsi anche questo scudetto. Il compito è stato agevolato dal fatto che di fronte c’era il Cagliari dell’ex Zeman, amato e odiato, la vittima sacrificale perfetta per conquistare i tre punti. E non solo sulla carta, visto che i giallorossi chiudono la pratica in meno di un quarto d’ora nonostante Totti e Pjanic partano dalla panchina e Astori e Iturbe figurino nella lista degli infortunati. Dopo un primo tentativo, Destro fa centro da due passi su un perfetto traversone dalla destra di Florenzi. E la gara si mette subito in discesa. Giusto il tempo di rimettere la palla al centro ed è lo stesso Florenzi a raddoppiare dopo che Gervinho, perfettamente pescato sul filo del fuorigioco, gli offre un pallone d’oro. E per festeggiare il primo gol stagionale, il giovane centrocampista corre in tribuna ad abbracciare la nonna 82enne, al debutto allo stadio. Un uno-due che stende un Cagliari già partito pieno di timore e di insicurezza e incapace di costruire delle occasioni degne di questo nome. Nella ripresa, la Roma non vuole che si ripeta quanto accaduto mercoledì, con il CSKA capace di segnare due reti (ma soltanto una è stata convalidata), anche se il Cagliari prova almeno a uscire a testa alta dal campo. Zeman effettua tre cambi nei primi minuti, ma succede poco, per non dire nulla. È, anzi, Destro a sfiorare di testa il bis personale, anche se la successiva sostituzione lo fa arrabbiare non poco. A questo punto, infatti, Garcia decide che è il momento di mettere in campo forze fresche e inserisce nell’ordine Pjanic, Ljajic ed Emanuelson, con l’ex milanista che prende il posto di De Rossi, obbligato a uscire per un problema al polpaccio sinistro, che mette in allarme la Roma, come pure il problema al ginocchio destro accusato da Seydou Keita. Prima del triplice fischio c’è anche il tempo per la prima parata di De Sanctis, che si rifugia in angolo per sventare un bel tiro del neo entrato Longo. Troppo poco davvero, però, per provare a fare paura agli uomini del soddisfatto Rudi Garcia.
Il Genoa coglie la sua prima vittoria in campionato al termine di una partita giocata per larghi tratti in sofferenza e che la Lazio avrebbe sicuramente meritato di vincere, non fosse stato per un Perin ancora una volta eccellente. Si comincia con alcune novità: Pioli spedisce Keita in panchina per sostituirlo con Felipe Anderson, mentre Gasperini schiera Perotti e Matri al posto di Lestienne e Pinilla, annunciati titolari. È indiscusso dominio biancoceleste nel primo tempo: in pratica si gioca a una porta sola. È un fioccare continuo di occasioni per la squadra della capitale, nettamente superiore agli avversari in mezzo al campo, ma che non fa i conti con un Perin bravissimo a neutralizzare i pericoli che arrivano da tutti i fronti: il portiere rossoblù prima esce bene su Parolo e poi compie un miracolo sul tentativo di Lulic sugli sviluppi di un calcio d’angolo. E, a dieci minuti dalla fine della prima frazione, Djordjevic grazia gli avversari colpendo la traversa di testa. Genoa in grande confusione, dunque, che soffre tantissimo la spinta di Felipe Anderson e Candreva e gli inserimenti di Lulic. E sono solamente due i lampi della squadra di Gasperini: la ripartenza di Kucka che si fa ipnotizzare da Berisha e il tiro di Antonini parato, stavolta agevolmente, dal portiere albanese. Biglia anticipa di un attimo il rientro negli spogliatoi per un problema a un piede, lasciando il posto a Ledesma. Gasperini risistema la difesa e la gara ricomincia con maggior equilibrio in campo. E Pioli si vede costretto ad effettuare un altro cambio per infortunio: entra Konko ed esce Basta. Poi doppia sostituzione per i padroni di casa, con Lestienne per Kucka e Bertolacci per Antonini. Il belga ci prova subito con un pallonetto vellutato che termina di poco alto sopra la traversa. Sull’altro fronte, cross di Braafheid per Candreva che manda di poco fuori di testa. Gasp spende anche l’ultimo cambio, buttando nella mischia Pinilla per Matri. E ultima sostituzione (anche questa obbligata) pure per Pioli, con Cana che rileva l’infortunato Gentiletti. Pinilla mette subito in campo la sua solita grinta, costringendo De Vrij a un fallo da ammonizione. È un Genoa più ordinato quello della ripresa, che se la gioca alla pari con la Lazio. E crea anche qualche occasione, come quella che spreca Pinilla sul bel cross di Bertolacci. Risposta Lazio con Candreva, ma è ancora bravo Perin a respingere. A cinque dalla fine è molto ingenuo De Vrij nel beccarsi il secondo giallo che lascia i suoi in inferiorità numerica. E così, due minuti dopo, arriva il gol partita, con Perotti che prolunga di testa per Pinilla e il cileno che, anch’egli di testa, la spinge in rete. Per il Genoa un gol che vale la prima vittoria in campionato. Per la Lazio, invece, si tratta davvero di una sconfitta beffarda.
L’altra delle tre partite delle 15 è quella del Mapei Stadium, dove Sassuolo e Sampdoria non si fanno male, pareggiando per 0 a 0. Ma la cosa più importante di questo pomeriggio è sicuramente il ritorno in campo di Francesco Acerbi, dopo quasi nove mesi di assenza. Lui, a prescindere da qualsiasi risultato della sua squadra, ha già vinto la partita più importante. E, a rendere ancor più bello il suo rientro, arriva anche una bella prestazione in marcatura su Okaka. Dopo tre minuti di gioco, la partita entra subito nel vivo. Mischia nell’area neroverde, tiro di Gabbiadini respinto sulla linea e, sulla successiva ribattuta, il numero 11 doriano non riesce a segnare di testa perché sbilanciato alle spalle. Gli ospiti chiedono il rigore, ma per l’arbitro Di Bello non c’è nulla. Poco dopo è il Sassuolo a chiedere il penalty per un contatto dubbio tra De Silvestri e Zaza. Tutto regolare anche questa volta per il fischietto di Brindisi. I due episodi infiammano la gara e al 16’ Magnanelli scalda le mani di Viviano con una gran botta da fuori. Al 20’ è il turno di Eder: destro a lato di poco. È un botta e risposta continuo. Prima Viviano devia un tiro insidioso di Floro Flores, poi la Samp parte in contropiede e va vicina al vantaggio. Scambio d’alta scuola tra Okaka e Eder, ma sul più bello il brasiliano viene fermato da Antei con un intervento al limite. Dopo la mezz’ora non succede quasi più niente, a parte un tiro sopra la traversa di Taider nell’ultimo minuto del primo tempo. Nella ripresa, i tifosi delle due squadre si aspettano, lecitamente, qualcosa di più dai bomber Okaka e Zaza, assai deludenti nella prima frazione. Il primo prova a scuotersi con un paio di accelerazioni, ma su di lui ringhiano gli ottimi Acerbi e Antei. Mentre il secondo, annullato dalla perfetta coppia Silvestre-Gastaldello, sembra la brutta copia dell’attaccante ammirato con la maglia azzurra. Di Francesco se ne accorge e inserisce Floccari, richiamando l’ex Ascoli in panchina. Nonostante i cambi effettuati dai tecnici, la partita non cambia e le squadre sembrano accontentarsi del pareggio. Ma è proprio Floccari, negli ultimi minuti, a provare a rompere l’equilibrio, ma Viviano salva i blucerchiati. Dopo il successo casalingo sul Torino, passo indietro sul piano del gioco e del risultato per la squadra di Mihajlovic. Il Sassuolo torna, invece, a far punti dopo la clamorosa disfatta a San Siro contro l’Inter, ma chiude un’altra domenica senza reti all’attivo.
Alle 18 sono impegnate Napoli e Fiorentina, rispettivamente sui campi di Udinese e Atalanta. Benitez decide di attuare un ampio turnover, mandando in panchina Inler, Callejon, Mertens e Hamsik e schierando David Lopez al fianco di Gargano e Zuniga, Michu e Insigne sulla trequarti alle spalle dell’unica punta Higuain. Risultato: zero qualità in mezzo e zero fantasia là davanti. Stramaccioni, invece, punta sulla difesa a 4 e su Kone e Bruno Fernandes dietro Di Natale. Il primo tempo, dunque, risulta essere estremamente noioso, con nemmeno un’occasione degna di nota, eccezion fatta per il palo di Gargano negli ultimi minuti. Nell’intervallo non si assiste a nessun restyling nel Napoli, che ritorna in campo senza nessuna variazione in un canovaccio più che scontato nel suo sviluppo: Udinese coperta e rinunciataria, concentrata quasi esclusivamente nella sua opera di protezione del pareggio, e azzurri incapaci di scardinare gli ingranaggi di uno stallo tattico tanto stucchevole quanto improduttivo. Solo un caso allora che le prime due parate di Karnezis arrivino sessanta dopo l’ingresso in campo di Callejon per Zuniga? Forse. O forse invece no. Certo è, e questa è cronaca, che subito dopo l’ingresso dello spagnolo, Higuain trova il primo corridoio buono per scagliare un diagonale velenoso che il portiere greco dell’Udinese smanaccia come può consegnando il pallone sui piedi di Callejon, la cui conclusione esalta la reattività dello stesso Karnezis. Napoli improvvisamente risvegliatosi dal suo stesso torpore? Davanti sì, ma dietro assolutamente no. Non in difesa dove al 71’ Koulibaly e Britos confezionano il pasticcio che consegna a Danilo il pallone del vantaggio friulano: il centrale ex Genk spizza malamente di testa, il terzino adattato si perde l’avversario che tutto solo apre il piattone e trafigge Rafael. Via libera allora ai ripensamenti di Benitez e subito dentro Mertens per Michu e De Guzman (non Hamsik) per Insigne. Scelte obbligate, scelte tardive, scelte a questo punto quasi inutili. L’assalto non funziona, il Napoli è solo tanta frenesia e poca concretezza. L’Udinese si difende e Stramaccioni si gode il successo. Gli azzurri portano a casa il secondo ko consecutivo in campionato, Higuain sbotta e impreca a fine partita, Benitez esce dal campo a testa bassa. Ora è crisi, Juve e Roma sono già lontane. L’esperimento “turnover massiccio” è fallito, ancora una volta, malamente.
La Fiorentina, a Bergamo, parte bene, anche se non presenta, nell’11 iniziale, né Pizarro né Borja Valero. Ilicic sfiora subito il bersaglio grosso, trovando la pronta respinta di Sportiello. Lo sloveno gioca alle spalle di Mario Gomez, il centravanti in crisi che Montella spera di recuperare al più presto. La sfida è piena di vita e di vitalità. Si gioca, si combatte, si sbaglia. E non ci si annoia. Cuadrado cerca cose a volte troppo raffinate, difficili, per alimentare la fase offensiva. Dall’altra parte, Estigarribia apre spesso importanti varchi nella difesa viola. Il via vai da una metà campo all’altra è incessante e al quarto d’ora circa, su un disimpegno errato dei viola, parte un folgorante contropiede atalantino che Boakye chiude verso il gol sicuro. Un piede di Neto devia quel tanto che basta per far spegnere il pallone sul palo. È un po’ il momento nerazzurro, quei sei-sette minuti in cui la Fiorentina smarrisce le sue certezze: Estigarribia sfiora la rete e accadono tante altre cose nella metà campo viola. Ma niente, la palla non entra. Badelj e Aquilani riorganizzano il centrocampo, Marcos Alonso in avanscoperta accarezza una palla-gol con un tocco aereo su azione d’angolo e da lì al finale del tempo ci sono reciproche voglie, ma non chiare occasioni. Il secondo tempo offre la scena di un’Atalanta più ispirata e prepotente. È coraggiosa, prova spesso ad affondare e Denis prima ed Estigarribia poi vanno a un passo dal gol. A questo punto Montella decide di richiamare in panca un Badelj non esaltante per inserire lo sloveno Kurtic. E, a quanto pare, ai radar nerazzurri sfugge il cambio. Tant’è che a due minuti (scarsi) dal suo ingresso, Kurtic si fa trovare da Mati Fernandez alle spalle di Cigarini e Carmona e scaraventa un diagonale che finisce in gol. È il gol del vantaggio che fa sorridere il pubblico fiorentino. La rabbia atalantina si vede e si sente. E quando, a dieci dalla fine, un lieve tocco di Boakye trova ancora il piede di Neto, è evidente che la fortuna ha voltato le spalle agli uomini di Colantuono. Esce Denis )che non trova la via del gol al pari del corrispettivo Gomez) ed entra Rolando Bianchi, che non ha mai segnato in carriera alla Fiorentina. Ma nel finale, a parte un assedio confuso dell’Atalanta che non va oltre qualche accelerazione del neo entrato Alejandro Gomez e qualche conclusione da fuori (Zappacosta, Benalouane, Carmona), non accade più nulla. La partita finisce così, con 3 punti d’oro per la Fiorentina, che inizia a risollevarsi in classifica. E nulla da eccepire sull’Atalanta: è sempre la stessa, tosta e solida. Ma c’è da aggiungere anche un altro aggettivo: sfortunata.
I posticipi serali, per questo 3° turno di campionato, sono due: all’Olimpico di Torino la formazione di Ventura ospita l’Hellas Verona, mentre al Barbera di Palermo arriva un’Inter galvanizzata dai sette gol rifilati al Sassuolo, dalla sofferta vittoria in Europa League e da una statistica esaltante, ossia quella degli 0 gol subiti in gare ufficiali. E questa statistica viene violata immediatamente: Vidic pasticcia col pallone tra i piedi, lo regala di fatto a Vazquez e assiste al gol del vantaggio palermitano, che è anche la seconda marcatura consecutiva del “Mudo”. A questo punto i rosanero iniziano a stanziare pericolosamente nella metà campo avversaria, aggredendo i portatori di palla dell’Inter e chiudendo ogni spazio. Le mezz’ali nerazzurre (Guarin e Kovacic) non riescono ad accendersi, Icardi e Osvaldo vengono serviti poco e male e i varchi per gli esterni (D’Ambrosio e Nagatomo) sono pressoché inesistenti. Così, per ristabilire l’equilibrio, ci vuole un lampo di Mateo Kovacic, che, a tre minuti dal duplice fischio di Valeri, infila Sorrentino con un preciso destro da fuori area. E prima del riposo la gara potrebbe addirittura capovolgersi, ma la rete di Vidic viene annullata per il fuorigioco, ritenuto (giustamente) attivo di Pablo Osvaldo. Il Palermo, è lecito precisarlo, non è solo corsa e orgoglio, ma anche organizzazione e talento. La linea mediana di Iachini (Bolzoni-Rigoni-Barreto) toglie il respiro alla manovra nerazzurra, mentre un ispiratissimo Vazquez – in coppia con Dybala – manda spesso in tilt la retroguardia di Mazzarri. Due mosse dei tecnici, al minuto 66, incendiano definitivamente la gara, che nell’ultima mezz’ora vive di capovolgimenti continui e occasioni in serie. Iachini, con coraggio, lancia nella mischia Belotti (al posto di Bolzoni) e passa al 3-4-1-2; Mazzarri, invece, inserisce Hernanes per Juan Jesus e si sistema prima col 4-3-1-2 e poi col 4-3-3 (entra anche Palacio per Kovacic). A questo punto può accadere davvero di tutto e, in effetti, succede parecchio. Il risultato, però, non cambia mai fino alla fine. Vazquez colpisce una traversa e sbaglia da due passi, Guarin ci prova con un’azione personale e Osvaldo – di testa – trova la risposta di Sorrentino all’ultimo minuto, per un miracolo che sigilla la gara sul risultato più onesto. L’Inter, dunque, si conferma nuovamente tutto fumo e niente arrosto, visto che non riesce ancora a fare il tanto agognato salto di qualità e manca di quella personalità che contraddistingue, per fare un esempio banale, Juventus e Roma. Che sono sempre più in alto. E sono sempre più sole.
Toro-Hellas è una partita che passerà alla storia per la Serie A, perché per la prima volta nel nostro campionato è andato a segno un calciatore moldavo. Si tratta di Ionita, vero e proprio eroe di giornata, che al 66’ ha siglato la rete decisiva con un sinistro sul quale Padelli, a dire la verità, ci ha messo del suo. La vittoria, la squadra di Mandorlini, l’ha conquistata nel periodo di maggior sofferenza, quando il Torino – reduce dalle fatiche europee – nei primi venti minuti della ripresa ha dato fondo alle energie per trovare quel gol ormai diventato un autentico miraggio. Niente da fare, nemmeno dagli undici metri. Già, perché Rafael ha pensato bene di infierire, andando a respingere un calcio di rigore di El Kaddouri che fa il paio con quello neutralizzato da Handanovic a Larrondo all’esordio in campionato. Entrambi tirati decisamente male, per onor di cronaca. Il Verona, però, che si era fatto preferire nel primo tempo colpendo un palo con Gomez in una delle rare emozioni proposte al pubblico, ha saputo soffrire guidato dal condottiero Rafa Marquez, un autentico muro difensivo contro il quale Amauri e Quagliarella prima e Larrondo poi hanno sbattuto più e più volte. Il ritmo aumentato dagli uomini di Ventura, con tanto di aggressività e intensità, non ha portato, però, ad alcun risultato. Tanti i tiri, pochi verso lo specchio della porta e, se non segni, ormai si sa, gli dei del calcio prima o poi ti voltano le spalle. E quell’attimo è stato al già citato minuto 66, quello del gol di Ionita. La reazione del Torino, se c’è stata, la si può definire un mix di confusione e approssimazione, fino al calcio di rigore conquistato in extremis da Peres e gettato al vento dal numero 7 granata con tanto di doppia ribattuta fallita. Quasi un’ossessione che presto potrà anche trasformarsi in paura. Un punto in classifica con zero gol fatti dopo tre partite è preoccupante: l’impegno europeo potrebbe giocare brutti scherzi e, dalle parti di Torino, di scherzare come già fatto in passato da Chievo e Sampdoria, c’è pochissima voglia.
Juve e Roma, come detto, già sole in vetta con 9 punti; seguono il Verona con 7 e Milan e Udinese con 6. La classifica è chiusa, con 1 punto, da Cagliari, Empoli e Torino. I tre attuali capocannonieri, invece, sono Cassano, Icardi e Menez.
I TOP
Antonio Cassano (PARMA): Si prende la squadra sulle spalle come fanno i veri campioni e la conduce ad una rimonta quasi insperata. Due bellissimi gol e tante ottime giocate consentono ai ducali di conquistare i primi punti stagionali. E diciamo che una grossa mano gliela dà anche il giovane Coda. GENIALE.
Mattia Perin (GENOA): Un portiere che pare non voglia fermarsi più. Dopo aver bloccato la Fiorentina, riesce a rendere vani tutti (e sono stati tanti) gli attacchi della Lazio. Da segnalare soprattutto la grande parata su Lulic. I tempi di Pescara sono completamente dimenticati.TAUMATURGICO.
Carlos Alberto Tevez (JUVENTUS): Il più grande protagonista della Juventus che vince da quattro partite senza prendere gol. L’Apache, a San Siro, si abbassa, viene a prendersi il pallone, dialoga coi compagni e colpisce senza pietà. Pogba lo mette davanti alla porta e lui non si fa pregare. Di un altro pianeta. KILLER.
I FLOP
Nemanja Vidic (INTER): L’errore dopo circa due minuti è da matita blu e poteva costare davvero caro all’Inter, ma deve ringraziare Kovacic che rimette tutto a posto. Dopo l’espulsione all’esordio arriva un’altra gara poco convincente per l’ex United. INGIUSTIFICABILE.
Simone Zaza (SASSUOLO): Dopo le mirabilie fatte vedere in Nazionale, sente di avere tutti gli occhi addosso e fatica a far bene. E anche contro la Samp arriva una prestazione ampiamente insufficiente. ANGOSCIATO.
Abdoulay Konko (LAZIO): Entra dopo l’intervallo e cambia, in peggio, la partita. L’espulsione di De Vrij arriva anche per colpa sua. INAMMISSIBILE.