Intercettazioni per reati fiscali
L’utilizzo in indagini per associazione a delinquere «si estende» alla dichiarazione – Cassazione Penale, sentenza 20504/2014
Le intercettazioni telefoniche disposte per un procedimento penale per associazione per delinquere finalizzata alla realizzazione di reati tributari, possono essere utilizzate per il semplice reato di dichiarazione infedele commesso dai medesimi indagati, in quanto si tratta di indagini strettamente collegate. Non si può, pertanto, parlare di un differente procedimento per il quale scatterebbe il divieto di utilizzo delle intercettazioni. A fornire questa interpretazione è la Cassazione sezione III penale con la sentenza 20504 depositata ieri.
Le intercettazioni telefoniche e di altre forme di telecomunicazione è consentita (articolo 266 codice di procedura penale) nei procedimenti per determinati reati e, per quanto di rilevanza degli illeciti tributari, si fa riferimento ai delitti non colposi per i quali è prevista la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo a cinque anni. Ne consegue che è possibile svolgerle nei casi di dichiarazione fraudolenta con o senza fatture false, emissione di documenti per operazioni inesistenti, sottrazione al pagamento delle imposte nella forma aggravata. Per tutti gli altri reati tributari, poiché la pena massima si colloca al di sotto dei 5 anni non è possibile eseguire le intercettazioni. In base all’articolo 270 codice di procedura penale i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza.
Poiché per nessuno dei reati tributari è previsto l’arresto obbligatorio, l’utilizzo delle intercettazioni per delitti fiscali ma svolte per altri reati, può avvenire solo nel medesimo procedimento. La vicenda. Al rappresentante legale e ai due amministratori di fatto di una società immobiliare venivano sequestrati beni perché, in concorso tra loro avevano commesso il delitto di dichiarazione infedele di redditi e Iva, sottofatturando, secondo l’accusa, la vendita di numerosi immobili. Il sequestro era confermato dal Tribunale del riesame e gli indagati ricorrevano in Cassazione eccependo, tra l’altro, divieto di utilizzazione delle intercettazioni telefoniche svolte per altro procedimento e incompetenza del tribunale avendo la società sede legale, quindi, domicilio fiscale in altra città. La decisione. La Cassazione ha respinto il ricorso evidenziando che la nozione di procedimento diverso – limite all’utilizzo delle intercettazioni – non va inteso in senso formale ma sostanziale con riferimento alla iniziale notitiae criminis in ordine alla quale le intercettazioni sono state disposte.
Ne consegue che per indagini strettamente connesse o collegate sotto il profilo oggettivo, probatorio e finalistico, non si può parlare di diverso procedimento ancorché vi siano separati fascicoli. Nella specie le intercettazioni erano state disposte per il reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di reati tributari la cui notizia di reato doveva considerarsi collegata ai reati di dichiarazione infedele, per il cui accertamento erano poi state utilizzate. In ordine al difetto di competenza del Tribunale di Sondrio, in quanto la società aveva sede legale e quindi domicilio fiscale in Milano, la Corte ha ritenuto corretta, anche in questo caso, la decisione del Tribunale, nonostante l’articolo 18 del Dlgs 74/2000 per i reati in materia di dichiarazione individui la competenza con il domicilio fiscale del contribuente. Secondo la Cassazione, infatti, la sede è il luogo dove l’ente ha il centro principale della sua attività ma tale luogo può essere diverso dalla sede legale: in base al principio di effettività occorre individuare la sede effettiva. Nella specie la società aveva sede presso uno studio commerciale di Milano, ma la contabilità e i conti bancari si trovavano in Sondrio, gli stessi verbali assembleari erano stati falsamente redatti facendo figurare la presenza degli intervenuti in Milano. Ne consegue, secondo la Suprema Corte, che ove emergano prove idonee a sfar ritenere la sede legale fittizia, il domicilio fiscale coincide con il luogo della sede effettiva dell’impresa ed in tale luogo il reato si considera consumato.
Fonte: Articolo di Antonio Iorio per Il Sole 24 Ore