Diritto all’oblio. Motore ricerca responsabile dati
La Corte di Giustizia UE dà ragione a un cittadino spagnolo: il motore deve rispondere del trattamento dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi
“Il gestore di un motore di ricerca su Internet è responsabile del trattamento effettuato dei dati personali che appaiono su pagine web pubblicate da terzi”: così i giudici della Corte Ue in merito alla causa di un cittadino spagnolo contro Google. Insomma, da internet si puo’ e si deve poter scomparire quando si vuole, e Google e gli altri motori di ricerca devono intervenire per assicurare questo “diritto all’oblio” anche su siti non controllati da loro, ma che nei loro risultati compaiono, facendo sparire dalle ricerche le tracce della persona che vuole essere “dimenticata”.
La decisione ha colto di sorpresa Big G. “Si tratta di una decisione deludente per i motori di ricerca e per gli editori online in generale”, ha fatto sapere un portavoce di Mountain View. “Siamo molto sorpresi che differisca così drasticamente dall’opinione espressa dall’Advocate General Ue e da tutti gli avvertimenti e le conseguenze che lui aveva evidenziato. Adesso abbiamo bisogno di tempo per analizzarne le implicazioni”..
Così – spiegano i giudici del Lussemburgo – nel caso in cui, in seguito di una ricerca effettuata a partire dal nome di una persona, l’elenco di risultati mostra un link verso una pagina web che contiene informazioni sulla persona in questione, questa può rivolgersi direttamente al gestore per la soppressione del collegamento. Nel caso in cui il gestore non dia seguito alla domanda, la persona può adire le autorità competenti per ottenere, in presenza di determinate condizioni, la soppressione di tale link dall’elenco di risultati. Tuttavia, poiché la soppressione di link dall’elenco di risultati potrebbe, a seconda dell’informazione, avere ripercussioni sul legittimo interesse degli utenti di Internet, la Corte constata che occorre ricercare un giusto equilibrio tra questo interesse e il diritto al rispetto della vita privata e il diritto alla protezione dei dati personali.
La Corte si è pronunciata su un caso che riguardava Google in Spagna: nel 2009 Mario Costeja, avvocato, si rese conto che cercando sul motore di ricerca il suo nome veniva fuori una nota legale del 1998 pubblicata sul sito del quotidiano La Vanguardia che elencava i suoi debiti dell’epoca. Quando La Vanguardia si rifiuto’ di rimuovere le informazioni, e Google si rifiutò di far sparire i link, Costeja si rivolse all’Agenzia spagnola di protezione dati che impose a Google di cancellare il link e non disse nulla al quotidiano. Google fece ricorso, e nonostante l’anno scorso l’avvocato generale della Corte avesse dato ragione all’azienda di Mountain View, oggi la Corte ha ribaltato quel parere (che non e’ mai vincolante).
La sentenza apre adesso a uno scenario inedito: oltre 500 milioni di cittadini dei 28 Paesi europei avranno il diritto di chiedere a Google la rimozione di link anche se sono contenuti legali e restano online sul sito che li ha pubblicati, attribuendo di fatto ai motori di ricerca il ruolo di decidere quale diritto deve prevalere tra diritto alla privacy, alla liberta’ di espressione o l’interesse pubblico di accedere all’informazione. Di vittoria parla invece chi, come la commissaria alla Giustizia Viviane Reding, in Europa si batte per regole sulla privacy piu’ stringenti, che mettano un freno ai comportamenti ritenuti ‘spregiudicati’ di Google e Facebook. Secondo la Reding la sentenza “vendica” gli sforzi finora andati a vuoto per riformare le regole della protezione dati: “Le societa’ ora non potranno piu’ nascondersi dietro i loro server in California o altrove”, ha scritto sul suo account Facebook. La sentenza di oggi si basa sulla legge sulla protezione dati del 1995, e ha stabilito che compagnie come Google dovrebbero consentire ai loro utenti di essere “dimenticati” cancellando i link alle pagine web che contengono i loro dati “a meno che non vi siano ragioni particolari, come il ruolo pubblico del soggetto”.
Fonte: Repubblica.it