Ingiunzione contro debitore e fideiussore: possibili eccezioni difensive – di Giorgio Vanacore
I casi di ingiunzione in solido contro debitore garantito e fideiussore da parte di un Istituto Bancario (il più delle volte il fideiussore garantisce il debitore [entrambi ingiunti] nei confronti di una Banca [ingiungente], la quale ultima ha un rapporto negoziale con il debitore garantito articolato in più contratti Bancari, da cui origina il monitorio, e sorge necessità per gli ingiunti opporsi all’ingiunzione), assurgono a rilevanza per il difensore di questi ultimi, in special modo in presenza di un fideiussore apprendibile e di un debitore – in ipotesi, una società –, in dissesto o in stato di pre-decozione.
Si delineeranno in questa sede le possibili linee-guida difensive per l’ipotesi considerata, frequentissima nella pratica.
1. OBBLIGO DI MEDIAZIONE EX ART. 5, COMMA 1-BIS, D. LGS. n. 28/2010
In primo luogo, la materia che ci occupa rientra nell’art. 5, comma 1-bis, del d. lgs. 4 marzo 2010 n 28, vertendosi in materia di contratti Bancari – si ripete, onde l’opposto, che ha proposto la domanda monitoria, dovrà, a giudizio di opposizione iniziato, ai sensi dell’art. 5, commi 1-bis e 4 del medesimo decreto, esperire il procedimento di mediazione ivi previsto.
2. CONTESTAZIONE DEL CREDITO
Nel merito, possibile eccezione sarebbe la contestazione del rapporto negoziale garantito.
In proposito, dovranno non solo impugnarsi i documenti allegati dall’Istituto a fondamento del monitorio, ma altresì tutte le pattuizioni, eventualmente stipulate, di interessi, commissioni, spese di tenuta conto, capitalizzazioni di interessi, siano essi trimestrali e/o di diversa durata, commissioni di massimo scoperto, trimestrali e/o di diversa durata, antergazione e postergazione delle valute (cc. dd. giorni valuta), richiami ad usi su piazza et similia, eventualmente convenuti tra le parti del rapporto sottostante, in quanto violanti la legislazione (anche amministrativa) in materia, delle delibere della Banca d’Italia e delle altre autorità di settore.
Fin da subito utile sarà la richiesta istruttoria di c.t.u. tecnico-contabile-quantificativa.
2.1) In particolare, con riguardo al debitore:
a) Illegittima sarebbe, da parte della Banca, la chiusura trimestrale con la corresponsione di interessi su interessi, integrando essa una palese violazione del divieto anatocistico ex art. 1283 c.c., che, come noto, prevede che gli interessi scaduti possano produrre, a loro volta, interessi soltanto dal giorno della domanda giudiziale o per l’effetto di convenzione posteriore alla scadenza, purché si tratti di interessi dovuti per almeno sei mesi.
Non infrequentemente, le Banche richiedono al debitore principale, nel corso del rapporto negoziale, il pagamento degli interessi di mora non semestralmente, bensì trimestralmente, applicando un vero e proprio anatocismo, assolutamente non scusabile mediante il rinvio ad usi Bancari et similia, deroganti, ove convenuti, il chiaro disposto dell’art. 1283 c.c., e quindi nulli ex artt. 1418 – 1419 c.c., e vizianti, per il principio della nullità derivata (quod nullum est nullum producit effectum), l’intero rapporto contrattuale.
b) Ancora illegittima, sarebbe pure, ove applicata, la commissione di massimo scoperto, affetta dalla medesima nullità che la capitalizzazione trimestrale appena citata (per la non debenza dovuta a mancata pattuizione, per violazione degli artt. 1284, 1325 e 1418 c.c., Trib. Torino, 23 luglio 2003; Trib. Roma, 28 novembre 2002; App. Lecce, 22 ottobre 2001, Foro it.. 2002, I, 555 e ss, e Giur. it., I, 111 ss., Contratti n. 4/2002).
c) Lo stesso dicasi per i cc. dd. giorni valuta, espediente utilizzato talvolta dalle Banche, consistente nell’allungare fittiziamente i giorni solari del prestito al cliente e nel decurtare, al contempo, i giorni in cui il cliente medesimo deposita danaro, in tal modo aumentando gli interessi dovuti ad essa Banca e diminuendo quelli dovuti al cliente (in tal modo realizzando antergazioni e postergazioni di valuta).
d) Analogamente a dirsi per le spese di tenuta-conto, non previste contrattualmente. In sintesi, quindi, avuto riguardo alla legislazione (anche amministrativa) in materia, alle delibere della Banca d’Italia e delle altre autorità di settore, richiedendo l’applicazione al complessivo rapporto di un tasso legale senza alcuna capitalizzazione ed, ancora, eliminando le commissioni di massimo scoperto, le spese e le ulteriori commissioni, potrebbe pervenirsi – ed il più delle volte è cosi’ –, ad una prima depurazione dell’importo ingiunto.
e) Tutto ciò a tacere della seconda (e definitiva) depurazione dell’importo merce’ lo scomputo degli eventuali interessi usurari [tasso-soglia ultralegale, come fissato dalla legge 7 marzo 1996, n. 108, e ciò sia con riguardo all’interpretazione offerta dal diritto vivente – Cass. pen., 19 dicembre 2011, n. 46669, idd., 26 marzo 2010, n. 12028, 19 febbraio 2010, n. 262 –, sia alla legislazione (anche amministrativa) di settore, delle delibere della Banca d’Italia e delle altre autorità di settore], che potrebbe invalidare l’intero rapporto negoziale sottostante, e, di tal guisa, travolgere, quello fideiussorio, sub specie di nullità radicale ex artt. 1418, comma 1, c.c. (in comb. disp. con l’art. 1343 c.c.), patologia che, in virtù della cd. nullità derivata (quod nullum est nullum producit effectum), si comunicherebbe a tutti i contratti collegati, presupposti, connessi e/o da esso derivanti, e, quindi, all’intero rapporto.
f) Quanto detto non senza dimenticare, con Cass. 3 maggio 2011, n. 9695, che l’estratto conto, ancorché certificato ex art. 50, d. lgs. 1 settembre 1993, n. 385, non possa, in caso di contestazione, integrare, di per sé, prova a favore dell’azienda di credito, dell’entità del credito, «. . . in quanto atto unilaterale proveniente dal creditore e dovendo ritenersi eccezionale – e perciò stesso non estensibile al di fuori delle ipotesi espressamente previste –, la valenza probatoria ad esso riconosciuta ai fini del conseguimento del decreto ingiuntivo, appunto prevista esclusivamente in vista delle esigenze di tale procedimento e nella prospettiva della sottoposizione al contraddittorio del debitore che dispiegasse opposizione».
2.3) Continuando, con riguardo al fideiussore:
a) I motivi dedotti a fondamento della non debenza da parte del debitore di alcuna somma all’Istituto varrebbero altresì nei confronti del fideiussore, attesa la nota natura accessoria dell’obbligazione fideiussoria rispetto all’obbligazione garantita (arg. ex artt. 1939, 1941 e 1945 c.c.), a pena di dimostrazione dall’Istituto che si verta in tema di cd. garanzia autonoma, e perciò svincolata dal rapporto fideiussorio, in voga nelle interpretazioni giurisprudenziali degli ultimi anni.
b) In forza dell’art.1945 c.c., il fideiussore potrebbe dedurre che la citata nullità radicale dell’intero rapporto negoziale, dovuta al superamento del tasso-soglia, ed all’applicazione indebita delle voci tutte sopra elencate, si comunica (sempre per il principio quod nullum est nullum producit effectum) altresì al contratto fideiussorio.
c) Potrebbe, in ipotesi, sottoporre al vaglio del giudicante la conoscenza-conoscibilità delle clausole peculiari del contratto, di cui dovra’ delibarsi la conformità al disposto dell’art. 1341, comma 2, c.c. (cd. doppia sottoscrizione), ovvero, per il caso in cui il fideiussore sia un consumatore agli artt. 33 e ss. del codice del consumo.
Particolare attenzione meritano le seguenti clausole, attinenti al contratto fideiussorio, usualmente predisposte nei formulari:
oggetto della garanzia; estensione della garanzia alle obbligazioni derivanti da rinnovi o proroghe delle obbligazioni garantite; annullamento, inefficacia e revoca dei pagamenti; solidarietà ed indivisibilità delle obbligazioni degli aventi causa; recesso dalla garanzia; informazioni sull’andamento del rapporto garantito; responsabilità del fideiussore; pagamento del fideiussore; compensazione; invalidità dell’obbligazione garantita; recesso dal rapporto garantito; efficacia della fideiussione; foro competente.
Trattasi, come facilmente intuibile, di clausole predisponenti, a favore della Banca, limitazioni di responsabilità, nonché, a carico del fideiussore, decadenze, limitazioni alla facoltà di opporre eccezioni e/o deroghe alla competenza dell’autorità giudiziaria.
Sul punto, la giurisprudenza è univoca nello stabilire che l’assenza della doppia sottoscrizione determini nullità assoluta delle clausole de quibus, peraltro eccepibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio in ogni stadio o grado del processo.
Ex plurr., leggansi Cass. civ., sez. lav., 26 giugno 1999, n. 6644:
«Per la validità delle clausole non è pertanto sufficiente la conoscenza, che non può «in ogni caso» essere equiparata alla sottoscrizione specifica. La mancanza della specifica approvazione per iscritto comporta la nullità assoluta delle clausole vessatorie, eccepibile da chiunque vi abbia interesse e rilevabile d’ufficio in ogni stadio o grado del processo»;
Cass. civ., 28 giugno 2005, n. 13890 (Dir. prat. soc. 6/2006, 86):
«…La prima sottoscrizione ex art. 1341, comma 2, c.c., serve come strumento di imputabilità della dichiarazione allo stipulante, mentre la seconda sottoscrizione, richiesta specificatamente per le clausole vessatorie, ha la funzione di richiamare l’attenzione del contraente su clausole particolarmente gravose o restrittive dell’autonomia privata. Perché l’approvazione possa considerarsi specifica, si considera sufficiente che le clausole vessatorie siano elencate e sottoscritte mediante un’unica dichiarazione di approvazione, posta alla fine del testo contrattuale. Non è sufficiente il richiamo in blocco di tutte le condizioni generali del contratto e la sottoscrizione indiscriminata di esse»;
Cass. civ., 5 novembre 1999, n. 12296 (in Dir. prat. soc., 7/2000, 53):
«L’esigenza della specifica approvazione scritta delle clausole vessatorie da parte dell’aderente è rispettata quando a tali clausole, anche se redatte a stampa, sia data autonoma e separata collocazione nel contesto delle condizioni generali del contratto e quando le clausole stesse siano seguite da una distinta sottoscrizione del contraente per adesione»;
Cass. civ., sez. III, 9 febbraio 1998, n. 1317 (in Cod. leggi d’It., cd-rom, parte I):
«La sottoscrizione delle clausole onerose deve essere apposta dopo il richiamo di esse, anche se individuate con riferimento al numero d’ordine o lettera ed all’oggetto di ciascuna di essa»;
Cass. civ., 23 settembre 1996, n. 8405 (in Impresa c.i., 1996, p. 2149):
«Il richiamo alle clausole ex art. 1341, comma 2, c.c., non deve essere confuso con altre pattuizioni modificative o integrative del testo contrattuale»; «non sarebbe sufficiente – si è scritto –, una dichiarazione, sic et simpliciter, di approvazione delle clausole vessatorie in quanto, malgrado la particolare collocazione, una siffatta clausola rivestirebbe a sua volta carattere vessatorio e richiederebbe anch’essa un’approvazione specifica» (così, Maniaci, nota a Cass. civ., 5 novembre 1999, n. 12296, in Dir. prat. soc., 3/2000, 54).
Per altra via, come anticipato, le clausole in parola potrebbero violare il disposto dell’art. 33 e ss. cod. cons., di cui pure potrebbe richiedere l’applicazione ove il fideiussore non rivestisse il ruolo di professionista.
d) Ancora, potrebbe il fideiussore invocare la violazione dell’art. 1956 c.c., che, come noto, libera il fideiussore per obbligazioni future se il creditore, senza autorizzazione speciale del fideiussore medesimo, abbia continuato a fare credito al terzo nella conoscenza della criticità delle condizioni patrimoniali del debitore garantito.
Questi i rilievi su cui fondare l’eccezione:
d1) dimostrare per tabulas che l’Istituto, durante il rapporto intrattenuto con il debitore, non abbia richiesto ed ottenuto l’autorizzazione del fideiussore nei termini sopra riportati, né che lo abbia interpellato a riguardo sull’intento di mantenere o meno ferma la sua obbligazione di garanzia, pur a fronte di una paventata criticità; ed anzi, dimostrare che la Banca abbia continuato a “far credito” al debitore principale nella piena scienza della detta criticità;
d2) dal suo canto, anche un gravoso onere informativo periodico per il fideiussore – la cui predisposizione è frequente in taluni formulari della fideiussione –, andrebbe vagliato nei suoi profili attinenti alla cd. doppia sottoscrizione ex art. 1341, comma 2, c.c.
Sul punto, il diritto vivente, interpretando estensivamente l’art. 1956 c.c., ha statuito che:
«l’ipotesi ex art. 1956 c.c. non può essere riferita alla sola instaurazione di nuovi rapporti obbligatori tra il creditore ed il terzo, cui si estenda la garanzia per debiti futuri in precedenza prestata dal fideiussore, ma abbraccia anche il modo in cui il creditore gestisce un rapporto obbligatorio già instaurato col terzo, coperto dalla garanzia fideiussoria, quando ne derivi un ingiustificato ed imprevedibile aggravamento del rischio cui è esposto il garante di non poter più utilmente rivalersi sul debitore di quanto eventualmente abbia dovuto corrispondere al creditore» (ex multis, Cass. 22 ottobre 2010, n. 21730).
Da quanto sopra, si è desunto che l’art. 1956 c.c.:
i) costituisce espressione del canone della buona fede nell’esecuzione del contratto ed impone al creditore un contegno coerente con il rispetto di tale principio nella gestione del rapporto debitorio, tale da non ledere ingiustificatamente l’interesse del fideiussore;
ii) va coordinato con l’art. 1461 c.c. (che autorizza ciascun contraente a sospendere la propria prestazione quando le condizioni patrimoniali dell’altro sono divenute tali da compromettere la possibilità della controprestazione e non sia stata data idonea garanzia), con la conseguenza che non soltanto il creditore non deve aprire nuove linee di credito in favore di un debitore divenuto a rischio d’insolvenza – scaricandone il rischio sul fideiussore –, ma dev’egli, in relazione a rapporti creditori già in essere, con l’impiego della diligenza professionale di operatore qualificato (art. 1176, comma 2, c.c.), avvalersi, ove ne ricorrano gli estremi, degli strumenti di autotutela creditoria (quello contemplato dal citato art. 1461 c.c. o altri) che l’ordinamento pone a sua disposizione per evitare un incremento dell’esposizione debitoria di cui il fideiussore ignaro ed incolpevole finirebbe per sopportare il rischio;
iii) si riferisce ad un’obbligazione futura, che è tanto quella inerente ad un rapporto già sorto, ma che avrà modo di venire a scadenza dopo che la fideiussione è prestata, quanto quella inerente ad un rapporto contemplato dalle parti e che sorgerà se il rapporto verrà in essere; ed il ‘far credito’, ai fini della norma citata, è stato inteso non solo come il mettere la controparte nella possibilità di disporre di somme di denaro da restituire, ma, ad esempio, anche il lasciare che un rapporto a prestazioni corrispettive si svolga in modo che la controparte continui a ricevere la prestazione a suo favore, senza dal canto suo eseguire la propria (cfr., Cass. 2 marzo 2005, n. 4458, e id., 13 febbraio 2009, n. 3525).
Per comodità, si trascrive il principio di diritto di Cass. n. 21730/2010:
«se, nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, si manifesta un significativo peggioramento delle condizioni patrimoniali del debitore rispetto a quelle conosciute al momento dell’apertura del rapporto, tali da mettere a repentaglio la solvibilità del debitore medesimo, alla stregua del principio cui si ispira l’art. 1956 c.c. la Banca creditrice, la quale disponga di strumenti di autotutela che le consentano di porre termine al rapporto impedendo ulteriori atti di utilizzazione del credito che aggraverebbero l’esposizione debitoria, di quegli strumenti è tenuta ad avvalersi anche a tutela dell’interesse del fideiussore inconsapevole, se non vuol perdere il beneficio della garanzia, in conformità ai doveri di correttezza e buona fede ed in attuazione del dovere di salvaguardia dell’altro contraente, a meno che il fideiussore manifesti la propria volontà di mantenere ugualmente ferma la propria obbligazione di garanzia».
2.4) Da ultimo, in conclusione dei seguenti rilievi, sempre con riguardo al fideiussore, potrebb’egli eccepire la violazione dell’art. 1957, commi 1 – 3, c.c.
Giorgio Vanacore
avvocato in Napoli
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