Cessioni di immobili abitativi e meccanismo del c.d. “prezzo-valore” – Corte Costituzionale, Sentenza 6/2014
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), nella parte in cui non prevede la facoltà, per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze acquisiti in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, i quali non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, di chiedere che, in deroga all’art. 44, comma 1, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sia costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 52, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 131 del 1986, fatta salva l’applicazione dell’art. 39, primo comma, lettera d), ultimo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).
Corte Costituzionale, Sentenza n. 6 del 23/01/2014
Imposta di registro – Determinazione della base imponibile per le cessioni di immobili abitativi a persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali – Applicabilità del meccanismo del c.d. “prezzo-valore” su richiesta dell’acquirente resa al notaio – Omessa previsione dello stesso meccanismo per i trasferimenti di immobili abitativi effettuati in sede di espropriazione forzata o all’asta pubblica, ovvero aggiudicati in sede di pubblico incanto.
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Luigi MAZZELLA; Giudici : Sabino CASSESE, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), promosso dalla Commissione tributaria provinciale di Grosseto nel giudizio vertente tra M.A. e l’Agenzia delle entrate – Ufficio di Grosseto con ordinanza del 29 luglio 2010 iscritta al n. 281 del registro ordinanze 2012 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2012.
Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 4 dicembre 2013 il Giudice relatore Aldo Carosi.
Ritenuto in fatto
1.– La Commissione tributaria provinciale di Grosseto, con ordinanza del 21 giugno 2010, depositata in data 21 luglio 2010 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell’anno 2012,), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), nella parte in cui, derogando al solo art. 43 del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), non consente – nel caso di acquisti di beni immobili avvenuti in sede di espropriazione forzata di cui all’art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986 – di determinare la base imponibile ai fini dell’applicazione dell’imposta secondo quanto previsto dall’art. 52, commi 4 e 5, del medesimo d.P.R. n. 131 del 1986, denunciando la violazione degli artt. 3 e 53 della Costituzione.
Riferisce il giudice a quo che il sig. M.A. si era reso aggiudicatario, all’esito di una procedura esecutiva immobiliare, di un immobile destinato ad uso residenziale, posto in Comune di Castiglione della Pescaia; in occasione della registrazione del decreto del giudice dell’esecuzione questi aveva chiesto all’Agenzia delle entrate di Grosseto di poter usufruire delle agevolazioni per la “prima casa di abitazione” previste dall’art. 1, nota II-bis, della Tariffa allegata al d.P.R. n. 131 del 1986, nonché delle disposizioni contenute nell’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005, il quale prevede che «In deroga alla disciplina di cui all’articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e fatta salva l’applicazione dell’articolo 39, primo comma, lettera d), ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto. Le parti hanno comunque l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari notarili sono ridotti del 30 per cento».
Nondimeno, il decreto di trasferimento del Tribunale di Grosseto era stato assoggettato ad imposizione dall’Agenzia delle entrate accordando le agevolazioni previste per la “prima casa di abitazione”, ma senza tenere conto della dichiarazione del sig. M.A. di volersi avvalere della disciplina prevista dall’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005 e, quindi, applicando l’imposta sul prezzo di aggiudicazione, come previsto dall’art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986, corrispondente ad un valore superiore a quello che sarebbe stato determinato secondo quanto previsto dall’art. 52, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 131 del 1986.
Il sig. M. A. pagava l’imposta nella misura liquidata dall’Agenzia delle entrate ed in seguito proponeva istanza per ottenere il rimborso della maggior imposta versata, ricevendone tuttavia il diniego. Osservava difatti l’Agenzia delle entrate di Grosseto che, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, ai beni immobili acquisiti in seguito ad asta giudiziaria doveva trovare applicazione l’art. 44 del d.P.R. n. 131 del 1986 e non invece l’art. 43 del medesimo d.P.R. n. 131 del 1986; non ricorrevano, quindi – secondo l’amministrazione finanziaria – le condizioni per fare applicazione dell’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005, il quale – si sosteneva – deroga all’art. 43 del d.P.R. n. 131 del 1986, ma non al successivo art. 44: il quale, a sua volta, con specifico riguardo alla vendita di beni mobili ed immobili fatta in sede di espropriazione forzata ovvero all’asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto, stabilisce che la base imponibile sia determinata con riferimento al prezzo di aggiudicazione e non con riguardo al valore.
Contro tale diniego il sig. M. A. ricorreva alla suddetta Commissione tributaria, chiedendo che gli fosse riconosciuta l’applicazione dell’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005, e sollecitando il giudice tributario a sollevare questione di legittimità costituzionale.
La Commissione tributaria provinciale di Grosseto, nel sollevare la questione di legittimità costituzionale, ne evidenzia la rilevanza nel giudizio a quo, in quanto l’eventuale dichiarazione di incostituzionalità dell’art. 1, comma 497, nella parte in cui non prevede la sua applicabilità anche in caso di trasferimento ai sensi dell’art. 44 del d.P.R. n. 131 del 1986, che concerne il caso del ricorrente, determinerebbe un esito favorevole del ricorso.
Il giudice rimettente ritiene che la questione sia altresì non manifestamente infondata, in quanto se in un atto di aggiudicazione all’esito di una procedura prevista dal richiamato art. 44 del d.P.R. n. 131 del 1986, siano presenti i requisiti elencati nell’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005 – ovvero che la cessione avvenga in favore di persone fisiche, non nell’esercizio di attività imprenditoriali, artistiche o professionali, ed abbia ad oggetto immobili destinati ad uso abitativo – non si comprenderebbero le ragioni per non consentire – come invece previsto per i trasferimenti di immobili considerati dal precedente art. 43 del d.P.R. n. 131 del 1986 – che l’aggiudicatario possa avanzare la richiesta di assoggettare l’atto traslativo (nel caso di specie il decreto di trasferimento del bene del giudice dell’esecuzione) alla disciplina di determinazione della base imponibile stabilita dall’art. 52, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 131 del 1986.
Osserva in proposito la Commissione tributaria provinciale di Grosseto che la disciplina sospettata di incostituzionalità discriminerebbe irragionevolmente il trasferimento di immobili destinati ad uso abitativo avvenuti in seguito a procedure esecutive rispetto al trasferimento di immobili, aventi caratteristiche analoghe, avvenuti per effetto di un atto pubblico stipulato davanti ad un notaio. A tal riguardo, secondo il giudice a quo, l’unico aspetto nel quale i due sistemi di trasferimento differirebbero consisterebbe, nel caso delle aggiudicazioni esitate da procedure esecutive, nell’assenza del notaio al quale la norma impugnata prevede che sia rivolta l’istanza ma, si prosegue, a tale mancanza potrebbe facilmente ovviarsi in quanto l’istanza potrebbe essere utilmente rivolta al Tribunale. Ma poiché, diversamente, le restanti condizioni sarebbero parimenti rinvenibili in entrambe le fattispecie, il rimettente conclude ritenendo che la disciplina impugnata configuri un’ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni uguali ed integri quindi la lesione dell’art. 3 Cost.
Infine, la Commissione tributaria provinciale di Grosseto censura la norma anche per il contrasto con l’art. 53 Cost., in quanto essa violerebbe altresì «il principio della capacità contributiva che sarebbe disatteso con una applicazione formalistica della noma censurata».
2.– Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato non sarebbe configurabile la violazione del principio di uguaglianza, stabilito dall’art. 3 Cost., in quanto il legislatore avrebbe sottoposto a diversa disciplina situazioni non omogenee né, comunque, la diversità della disciplina parrebbe integrare gli estremi della manifesta irragionevolezza.
In particolare, il Presidente del Consiglio dei ministri rammenta che la Corte costituzionale ha in più occasioni dichiarato infondate, o manifestamente infondate, le questioni di legittimità costituzionale prospettate avverso le norme che non prevedevano l’utilizzazione dei dati catastali ai fini della determinazione dell’imponibile dell’imposta di registro sui trasferimenti immobiliari o dell’Imposta comunale sugli immobili (ICI), allorquando le norme censurate si riferissero a fattispecie non omogenee rispetto a quelle per le quali era invece prevista l’utilizzazione di tale criterio tabellare (ex plurimis: ordinanze n. 287 del 2000, n. 582 del 1989, n. 789 del 1988 e n. 586 del 1987).
Ritiene l’Avvocatura generale che, in base ai medesimi principi, sia manifestamente infondata la questione di legittimità prospettata nel caso di specie; e ciò in quanto le situazioni poste a confronto – sebbene abbiano uno stesso comune denominatore, rappresentato dall’avvenuto acquisto di un immobile da destinare a prima abitazione, per il quale siano stati chiesti ed ottenuti i relativi benefici fiscali – sarebbero contraddistinte da un decisivo elemento differenziale: in un caso l’acquisto è effettuato mediante un contratto di diritto privato, mentre nell’altro caso l’acquisto si realizza mediante l’aggiudicazione ad un pubblico incanto. La palese difformità delle situazioni impedirebbe, secondo il patrocinio erariale, di sostenere che il legislatore avrebbe dovuto stabilire un unico ed uniforme criterio per la determinazione dell’imponibile, in base al principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. Né, si prosegue, si potrebbe dire che la determinazione di differenziare la disciplina della materia nelle due ipotesi poste a confronto ecceda i limiti della ragionevolezza, che costituiscono il limite intrinseco della discrezionalità del legislatore. Al contrario, secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, la differenza di disciplina sarebbe perfettamente adeguata alla predetta diversità delle situazioni. Apparirebbe infatti perfettamente logica la determinazione di limitare il ricorso ai dati catastali alle sole compravendite effettuate per atto negoziale, che non fornisce normalmente nessuna certezza in ordine al prezzo effettivamente corrisposto ed all’effettivo valore del bene: ad ovviare a tale situazione di incertezza sarebbe quindi sopraggiunta la previsione dell’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005, prevedendo l’utilizzazione di un parametro obiettivo per determinare l’imponibile, ed evitando in tal modo onerose ed aleatorie controversie estimative tra contribuente e fisco. Non ricorrerebbe invece nessuna ragione per estendere lo stesso criterio alle vendite giudiziarie, nelle quali – si osserva – il prezzo di aggiudicazione è accertato da un pubblico ufficiale e costituisce di per sé un elemento obiettivo per il calcolo dell’imposta dovuta sull’atto di trasferimento.
La difesa erariale evidenzia ulteriormente che la diversità dei criteri adottati per la liquidazione dell’imposta di registro dovuta non potrebbe comunque comportare alcuna disparità sostanziale nel trattamento delle parti, perché in entrambi i casi il prezzo di acquisto sarebbe determinato in modo obiettivo e rappresenterebbe lo strumento di determinazione del valore del bene, che costituisce a sua volta la base imponibile del tributo. Difatti, si prosegue, nel caso di acquisto mediante procedura esecutiva o asta pubblica, il parametro è offerto dal dato certo del prezzo di aggiudicazione; nel caso di acquisto effettuato mediante contratto, il ricorso ai dati catastali tenderebbe al medesimo risultato, perché esso si esaurirebbe in uno strumento per determinare il valore del bene in via presuntiva e con un metodo semplificato (in tal senso è richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 463 del 1995, secondo cui «la valutazione forfettaria […] si risolve in una mera semplificazione del sistema di determinazione dei valori, riconducibile al genere di utilizzazione delle presunzioni»).
Secondo l’Avvocatura generale dello Stato non avrebbe invece fondamento, in quanto da ritenersi fondata su considerazioni puramente empiriche, la tesi che sembrerebbe sottesa alla ordinanza di rimessione, secondo cui la determinazione della base imponibile, facendo riferimento al valore catastale, costituirebbe uno strumento di favore per determinare l’imposta dovuta, in guisa che assumerebbero carattere discriminatorio quei trattamenti che fossero fondati su altri criteri, che il giudice a quo ritiene meno favorevoli.
In proposito, osserva il Presidente del Consiglio dei ministri che qualora si volesse dare rilievo a simili considerazioni, dovrebbe parimenti valere la constatazione – come dato ricavabile dall’esperienza – che l’aggiudicazione del bene ad un’asta giudiziaria avviene normalmente ad un prezzo inferiore all’effettivo valore di mercato. Ne conseguirebbe che in simili fattispecie la determinazione dell’imponibile in base al prezzo di aggiudicazione comporterebbe anch’essa un vantaggio per il contribuente, alla pari di quella effettuata in base ai dati catastali, perché rappresenterebbe comunque un criterio più favorevole rispetto a quello ordinario, che è fondato sulla stima dell’effettivo valore di mercato del bene.
Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri ritiene che la prospettata questione di illegittimità costituzionale per asserita violazione dell’art. 53 Cost. sia manifestamente inammissibile, mancando ogni motivazione sulle censure formulate con riferimento a tale parametro. Comunque sia, a tal riguardo, la difesa erariale osserva che non si comprenderebbe sotto quale profilo si possa configurare l’asserita lesione dei principi costituzionali stabiliti dalla suddetta norma. Infatti, il prezzo di aggiudicazione, che l’art. 44 del d.P.R. n. 131 del 1986 assume a base per la liquidazione dell’imposta di registro gravante sul trasferimento, costituirebbe un elemento perfettamente idoneo per valutare la capacità contributiva dell’aggiudicatario e, pertanto, un parametro perfettamente adeguato per il calcolo del tributo, nel pieno rispetto dei principi stabiliti dalla predetta norma costituzionale.
Considerato in diritto
1.– Con l’ordinanza in epigrafe la Commissione tributaria provinciale di Grosseto ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione.
Il giudizio a quo è scaturito da una procedura esecutiva di un bene immobile adibito ad uso residenziale, tenutasi presso il Tribunale di Grosseto, in esito alla quale era risultato aggiudicatario il ricorrente. Dovendo egli destinare il bene a propria abitazione, in occasione della registrazione del decreto del giudice dell’esecuzione che disponeva il trasferimento dell’immobile aveva chiesto all’Agenzia delle entrate di poter usufruire delle agevolazioni per la “prima casa di abitazione”, previste dall’art. 1, nota II-bis, della Tariffa allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del Testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro).
Chiedeva altresì di usufruire della facoltà prevista dall’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005, secondo cui «In deroga alla disciplina di cui all’articolo 43 del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131, e fatta salva l’applicazione dell’articolo 39, primo comma, lettera d), ultimo periodo, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per le sole cessioni nei confronti di persone fisiche che non agiscano nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, aventi ad oggetto immobili ad uso abitativo e relative pertinenze, all’atto della cessione e su richiesta della parte acquirente resa al notaio, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali è costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5, del citato testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto. Le parti hanno comunque l’obbligo di indicare nell’atto il corrispettivo pattuito. Gli onorari notarili sono ridotti del 30 per cento».
In relazione a detta istanza l’Agenzia delle entrate aveva accordato le agevolazioni per la «prima casa di abitazione», ma non aveva accolto la richiesta di beneficiare della disciplina prevista dall’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005, applicando di conseguenza la tassazione sul prezzo di aggiudicazione, come previsto dall’art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986. Poiché – nel caso di specie – la base imponibile, calcolata secondo il criterio stabilito dall’art. 44, era più elevata rispetto al criterio cosiddetto ”tabellare” di cui all’art. 52, commi 4 e 5, del predetto d.P.R. n. 131 del 1986, il ricorrente del giudizio a quo, dopo aver pagato l’imposta nella misura pretesa, chiedeva il rimborso della differenza.
Detta istanza non veniva accolta dall’Agenzia delle entrate, la quale faceva presente come nel caso in esame dovesse trovare applicazione l’art. 44 del d.P.R. n. 131 del 1986, inerente alla vendita di beni immobili ad uso abitativo acquisiti «in sede di espropriazione forzata ovvero all’asta pubblica e per i contratti stipulati o aggiudicati in seguito a pubblico incanto».
Il predetto diniego veniva impugnato davanti alla Commissione tributaria provinciale di Grosseto. Quest’ultima dubita della legittimità della norma censurata nella parte in cui essa non estende all’ipotesi della registrazione della vendita di beni immobili in sede di espropriazione forzata ed a seguito di pubblico incanto il regime delle transazioni private aventi ad oggetto la medesima categoria di beni immobili. Vi sarebbe, infatti un’ingiustificata discriminazione del trattamento tributario riservato ad una categoria omogenea di beni, sulla base del mero presupposto del tipo di transazione assoggettato a prelievo, con conseguente violazione dei precetti contenuti negli artt. 3 e 53 Cost.
2.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio incidentale, non sarebbe configurabile la violazione del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., quando – come nel caso in esame – il legislatore sottopone a diversa disciplina situazioni non omogenee e quando la diversità della disciplina non raggiunge gli estremi della manifesta irragionevolezza.
Le situazioni poste a confronto – sebbene caratterizzate dal comune denominatore dell’acquisto di un immobile da destinare a prima abitazione, per il quale siano stati chiesti ed ottenuti i relativi benefici fiscali – sarebbero contraddistinte da un decisivo elemento differenziale: in un caso l’acquisto sarebbe effettuato mediante un contratto di diritto privato, mentre nell’altro esso sarebbe realizzato a seguito di espropriazione forzata. La palese difformità delle situazioni impedirebbe di sostenere la necessità di un unico ed uniforme criterio per la determinazione dell’imponibile, sulla base del principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.
La differenziazione della disciplina delle due ipotesi poste a confronto non eccederebbe il canone della ragionevolezza, che costituisce il limite intrinseco della discrezionalità del legislatore. Al contrario, essa sarebbe perfettamente adeguata alla predetta diversità delle situazioni, limitando il ricorso ai dati catastali alle sole compravendite effettuate per atto negoziale, nelle quali detto criterio semplificato supplirebbe alla situazione di incertezza che caratterizza l’entità del prezzo effettivamente corrisposto, mentre non vi sarebbe alcuna ragione per estendere lo stesso sistema ai trasferimenti conseguenti a procedure espropriative e a pubblici incanti, nelle quali il prezzo di aggiudicazione è accertato da un pubblico ufficiale e costituisce, di per sé, elemento obiettivo per il calcolo dell’imposta dovuta sull’atto di trasferimento.
La diversità dei criteri adottati per la liquidazione dell’imposta di registro non comporterebbe nessuna disparità sostanziale, perché in entrambi i casi il prezzo di riferimento verrebbe determinato in modo obiettivo e rappresenterebbe lo strumento più idoneo di determinazione della base imponibile del tributo.
3.– La questione sollevata in riferimento all’art. 53 Cost. è inammissibile.
Il rimettente, infatti, non svolge alcun percorso argomentativo idoneo a collegare la norma impugnata al parametro costituzionale evocato.
4.– Ai fini dell’esame della questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost., è opportuno effettuare una ricognizione delle norme succedutesi nel tempo in materia e dei relativi orientamenti giurisprudenziali, così da ricostruire il contesto ordinamentale nel quale si è venuta ad inserire la norma censurata.
Preliminarmente, è utile ricordare che il criterio generale per determinare la base imponibile degli atti che hanno ad oggetto beni immobili o diritti reali immobiliari, enunciato dal d.P.R. n. 131 del 1986, è costituito dal valore del bene o del diritto alla data dell’atto (art. 43, comma 1, lettera a) – da intendersi nel senso di valore venale in comune commercio (art. 51, comma 1) – oppure dal corrispettivo pattuito, se questo sia superiore al valore venale (art. 51, comma 2).
Peraltro, il legislatore aveva già introdotto con l’art. 52, comma 4, del medesimo decreto legislativo, l’istituto della “valutazione automatica” dei beni. Detta valutazione è fondata sul criterio “tabellare”, secondo cui non sono sottoposti a rettifica il valore o il corrispettivo degli immobili, iscritti in catasto con attribuzione di rendita, dichiarato in misura «non inferiore» ai valori determinati applicando alla rendita catastale del fabbricato o porzione di fabbricato determinati moltiplicatori. La ratio della suddetta eccezione era chiaramente ispirata all’esigenza di superare le difficoltà di determinazione del valore venale dei singoli immobili e di deflazionare il rilevante contenzioso che ne derivava.
Secondo l’orientamento della giurisprudenza di legittimità (ex plurimis Cass. n. 24566 del 2005, n. 12448 del 2004 e n. 1815 del 2004), tale disposizione non aveva provocato un mutamento nella determinazione della base imponibile (che rimaneva comunque il valore venale o, se maggiore, il corrispettivo dichiarato nell’atto), bensì aveva introdotto una preclusione di tipo procedimentale, limitando il potere di rettifica attribuito agli uffici finanziari dagli artt. 52, commi da 1 a 3, e 55 del d.P.R. n. 131 del 1986.
Successivamente, la norma impugnata ha derogato, per le sole cessioni di unità abitative e delle relative pertinenze, al criterio contenuto nell’art. 43 del d.P.R. n. 131 del 1986, stabilendo che, nelle ipotesi previste da detta disposizione, la base imponibile venga individuata – su richiesta della parte acquirente – nel «valore dell’immobile determinato ai sensi dell’articolo 52, commi 4 e 5», del d.P.R. n. 131 del 1986, e cioè nel valore “tabellare”. A differenza della disposizione precedente, la norma prevede che il valore dell’immobile sia determinato facendo riferimento ai valori desumibili dai dati catastali «indipendentemente dal corrispettivo pattuito indicato nell’atto» (l’indicazione del corrispettivo è divenuta obbligatoria in seguito alla modifica apportata dall’art. 35, comma 21, lettera a, del decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante «Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale», convertito con modificazioni dalla legge 4 agosto 2006, n. 248).
In conseguenza di ciò, la dichiarazione di un corrispettivo superiore non conduce più alla tassazione su tale maggior valore, come invece previsto dall’art. 51, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986, ma l’imposizione resta commisurata al valore catastale dell’immobile come determinato «ai sensi dell’art. 52, commi 4 e 5» del d.P.R. n. 131 del 1986.
4.1.– Secondo il Presidente del Consiglio dei ministri, l’introduzione della norma sarebbe giustificata dalla sola finalità di acquisire dati obiettivi – attraverso la veritiera indicazione del prezzo da parte dell’acquirente effettuata in un regime di “neutralità fiscale” e quindi senza il timore di incorrere in un aggravio impositivo – per realizzare il progressivo aggiornamento dei dati catastali senza con questo inficiare il collaudato strumento della tassazione sul valore catastale, necessario per superare le incertezze insite nella determinazione dei valori delle compravendite in libero mercato e prevenire il conseguente contenzioso.
L’assunto non può essere condiviso. Un esame obiettivo della configurazione della norma impugnata consente, invece, di attribuire ad essa un’ulteriore finalità, che è rilevante – come di seguito precisato – per la definizione del presente giudizio: quella di consentire al contribuente di scegliere la soluzione più conveniente in relazione all’andamento del mercato immobiliare. L’attuale sistema consente, infatti, non solo di esercitare il diritto potestativo consistente nella scelta del valore determinato secondo il criterio “tabellare”, ma anche, in presenza di fasi congiunturali avverse, quando i prezzi degli immobili in regime di libero mercato risultino – anche a seguito dell’eventuale concomitante aggiornamento dei dati catastali – inferiori al medesimo criterio “tabellare”, di non chiedere l’applicazione di tale criterio.
Allo stato della legislazione, analoga facoltà di scelta è preclusa – ed è su questo profilo di differenziazione che si concentrano le censure del rimettente – agli acquirenti della stessa categoria di immobili destinati ad uso abitativo, che parimenti non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, ma acquisiscono la proprietà in esito a procedure esecutive o per asta pubblica. Per gli stessi vale indefettibilmente il riferimento al valore della transazione.
5.– Alla luce delle esposte premesse, la questione sollevata in riferimento all’art. 3 Cost. è fondata.
Nel caso in esame non si è in presenza, come sostenuto dal Presidente del Consiglio dei ministri, di fattispecie ragionevolmente differenziate sotto il profilo oggettivo – per le quali vale il principio più volte enunciato da questa Corte, secondo cui non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale delle norme che non prevedono l’utilizzazione dei dati catastali ai fini della determinazione dell’imponibile dell’imposta, quando le norme censurate si riferiscono a fattispecie non omogenee rispetto a quelle per le quali è prevista l’utilizzazione di tale criterio “tabellare” (ex plurimis: ordinanze n. 287 del 2000, n. 582 del 1989, n. 789 del 1988 e n. 586 del 1987) – bensì di una disparità di disciplina che attiene ad una categoria di immobili sostanzialmente unitaria quanto alla natura ed alla peculiare destinazione.
In questo contesto, la illegittimità della norma si concreta nella mancata previsione – a favore delle persone fisiche che acquistano a seguito di procedura espropriativa o di pubblico incanto – del diritto potestativo, al contrario riconosciuto all’acquirente in libero mercato, di far riferimento, ai fini della determinazione dell’imponibile di fabbricati ad uso abitativo in materia di imposte di registro, ipotecarie e catastali, al valore ”tabellare” dell’immobile. Infatti, detta ipotesi è disciplinata in via generale dall’art. 44 dello stesso d.P.R. n. 131 del 1986, disposizione, quest’ultima, non richiamata – diversamente dal precedente art. 43 del d.P.R. n. 131 del 1986 – dalla norma che si assume costituzionalmente illegittima in parte qua.
5.1.– Non può essere condivisa la tesi propugnata dall’Avvocatura generale dello Stato, la quale sottolinea, nella disposizione in esame, la finalità – che non sarebbe conferente con l’altra tipologia di transazioni cui appartiene la fattispecie rimessa a questa Corte – di favorire l’indicazione negli atti dei corrispettivi effettivi e, quindi, di consentire progressivamente all’amministrazione finanziaria di adeguare le rendite catastali ai reali valori di mercato.
Infatti, nella fattispecie in esame occorre considerare che il meccanismo introdotto dalla norma impugnata opera, per espressa volontà del legislatore, solamente in relazione ad una libera scelta del contribuente. A differenza della precedente disposizione, essenzialmente di carattere processuale, quella impugnata riveste natura sostanziale ed attribuisce alla sfera giuridica dell’acquirente la potestà di chiedere la valutazione del bene secondo il valore catastale (come determinato dal richiamo all’art. 52, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 131 del 1986).
La pretesa diversità delle due fattispecie negoziali invocata dal Presidente del Consiglio dei ministri non è dunque in grado di giustificare la circostanza che l’individuazione della base imponibile, tra il criterio fondato sul valore “tabellare” e quello basato sul prezzo vero, sia rimessa dalla norma impugnata proprio alla scelta del contribuente.
Ed in vero, le finalità di garantire il progressivo aggiornamento dei dati catastali e di deflazionare il contenzioso rimuovendo le possibili incertezze insite nella determinazione dei valori effettivi nelle compravendite in libero mercato sarebbero state egualmente assicurate attraverso la semplice indicazione del valore “tabellare”, senza introdurre il meccanismo della libera scelta del contribuente, tenuto conto che è «comunque» posto alle parti l’obbligo di dichiarare nell’atto il corrispettivo pattuito, senza più il timore di incorrere in un aggravio impositivo.
Analogamente, non è condivisibile l’obiezione secondo cui l’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005 non costituirebbe un’agevolazione, dato che essa non svolgerebbe i suoi effetti nell’ambito proprio delle agevolazioni (così come configurate dal d.P.R. n. 131 del 1986), che afferiscono alle aliquote e non ai criteri di determinazione della base imponibile (trattati nel Titolo IV del medesimo decreto).
A differenza della precedente disciplina, la norma impugnata attribuisce all’acquirente in libero mercato la potestà di chiedere la valutazione del bene secondo il valore ”tabellare”, con ciò ampliando la sua sfera soggettiva in modo differenziato dalla categoria di acquirenti cui appartiene il ricorrente del giudizio a quo.
In sostanza, l’art. 1, comma 497, della legge n. 266 del 2005, pur non obliterando le finalità che ne avevano giustificato l’adozione, ha assunto un più vasto ambito precettivo. Mentre la precedente disposizione mirava solamente a deflazionare il contenzioso, quella oggetto di scrutinio esprime anche un’evidente valenza agevolativa, laddove consente al contribuente di non scegliere immancabilmente, tra i diversi criteri di determinazione della base imponibile, quello fondato sul valore ”tabellare” (che potrebbe essere meno vantaggioso in situazioni congiunturali avverse), bensì quello ritenuto meno oneroso e quindi più conveniente.
La mera differenziazione del contesto acquisitivo del bene non è dunque sufficiente a giustificare la discriminazione di due fattispecie caratterizzate da una sostanziale omogeneità (sentenze n. 328 del 1983, n. 156 del 1976 e n. 39 del 1970), in particolare, con riguardo all’esclusività del diritto potestativo concesso all’acquirente in libero mercato.
6.– Per le esposte considerazioni, la disposizione impugnata deve essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede la facoltà, per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze acquisiti in sede di espropriazione forzata e di pubblici incanti, che non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, di richiedere che, in deroga all’art. 44, comma 1, del d.P.R. n. 131 del 1986, la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sia costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 52, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 131 del 1986.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 497, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2006), nella parte in cui non prevede la facoltà, per gli acquirenti di immobili ad uso abitativo e relative pertinenze acquisiti in sede di espropriazione forzata o a seguito di pubblico incanto, i quali non agiscono nell’esercizio di attività commerciali, artistiche o professionali, di chiedere che, in deroga all’art. 44, comma 1, del d.P.R. 26 aprile 1986, n. 131 (Approvazione del testo unico delle disposizioni concernenti l’imposta di registro), la base imponibile ai fini delle imposte di registro, ipotecarie e catastali sia costituita dal valore dell’immobile determinato ai sensi dell’art. 52, commi 4 e 5, del d.P.R. n. 131 del 1986, fatta salva l’applicazione dell’art. 39, primo comma, lettera d), ultimo periodo, del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 (Disposizioni comuni in materia di accertamento delle imposte sui redditi).
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 15 gennaio 2014.
F.to:
Luigi MAZZELLA, Presidente
Aldo CAROSI, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 23 gennaio 2014.