Tributaria

Ricostruzione post-demolizione: è cessione di area edificabile

demolitionLa Commissione tributaria provinciale di Ravenna, con la sentenza n. 227/01/13, respingendo il ricorso presentato da una persona fisica, ha stabilito che il contratto di cessione di un fabbricato destinato alla demolizione, configurante in realtà cessione di un’area edificabile e come tale tassato ai fini dell’imposta di registro, determina anche l’emersione della relativa plusvalenza ai fini Irpef.

La vicenda processuale
Come puntualmente colto dai giudici romagnoli, nella parte della loro decisione dedicata allo svolgimento del processo, una persona fisica aveva presentato ricorso davanti alla Commissione tributaria provinciale contro un avviso di accertamento, emanato dall’Amministrazione finanziaria, con cui la stessa determinava “…maggiori imposte Irpef per € 128.768,00 oltre a sanzioni per pari importo, interessi e spese di notifica”.

Più in dettaglio, la vicenda processuale traeva origine da un atto di compravendita con il quale varie persone fisiche avevano alienato a una società di capitali esercente l’attività di costruzione di edifici residenziali e non residenziali una casa di civile abitazione, in buono stato di conservazione con annessa corte di pertinenza esclusiva, ubicata nel comune di Cervia.
Successivamente, l’Amministrazione finanziaria, ai fini dell’imposta di registro, ha riqualificato l’atto,ex articolo 20 del Dpr 131/1986, come cessione di area edificabile anziché cessione di fabbricato, con applicazione della maggiore aliquota. È stato ritenuto, infatti, che il fabbricato, in quanto tale, fosse ormai privo di sostanziale valore economico, per cui il vero valore dell’operazione era rappresentato dallo sfruttamento della potenzialità edificatoria dell’area.

L’organo giudicante ha, inoltre, sottolineato che “per l’anno d’imposta 2008 si indicava nell’avviso di accertamento opposto, quale plusvalenza non dichiarata, l’importo di € 531.440,00, ai sensi dell’articolo 67, comma 1, lett. b) e articolo 68, comma 1 e 2, del Tuir. Evidenziava l’ufficio che in data 27.7.2010, la società acquirente provvedeva a pagare la maggiore imposta di registro derivante dalla riqualificazione”.

Le motivazioni dei giudici
La Commissione romagnola ha compiutamente esaminato l’evoluzione dei fatti e ha colto, con precisione e puntualità, i molteplici elementi di fatto e di diritto posti dall’Amministrazione finanziaria alla base della propria maggiore pretesa impositiva manifestata ai fini Irpef.
In particolare, l’organo giudicante, nella parte motivazionale della propria pronuncia, ha rilevato, in primo luogo, che “la ricorrente espone ampie e approfondite argomentazioni di diritto, ma non contesta i fatti come ricostruiti dall’istruttoria dell’ufficio, principalmente sulla base delle risposte fornite ai questionari, fatti puntualmente richiamati nell’avviso di accertamento. L’ufficio, a seguito della compravendita immobiliare, si era attivato ai fini dell’imposta di registro, riqualificando già in quella sede l’atto da cessione di fabbricato in cessione di area edificabile, ai sensi dell’articolo 20 del Dpr n. 131/1986, per cui il valore dichiarato, peraltro considerato congruo come prezzo di mercato di area edificabile, veniva sottoposto alla diversa e maggiore tassazione prevista per quella tipologia di vendita. L’acquirente, società XY, riceveva avviso di liquidazione d’imposta in tal senso e provvedeva al pagamento. L’Amministrazione finanziaria considerava poi i fatti medesimi rilevanti ai fini delle imposte sui redditi”.

I giudici tributari provinciali, proseguendo nel proprio ragionamento logico-giuridico, hanno evidenziato, inoltre, che “secondo questo Collegio, l’articolo 67 del Dpr n. 917/1986 – TUIR – ai fini delle imposte sui redditi, legittima la tassazione, ai sensi della normativa contenuta nel comma 1, lettera b), seconda parte, delle plusvalenze ‘in ogni caso’ realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione. La lettura della disposizione in parola lascia intendere che ai fini dell’applicazione dell’imposta non appare rilevante stabilire l’esistenza o meno di un’attività speculativa, essendo sufficiente determinare, secondo i canoni ermeneutici del citato articolo 20 del Dpr n. 131/1986, l’intrinseca natura e gli effetti giuridici dell’atto, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente. Ciò posto, nel caso di specie, l’ufficio dall’esame dell’atto perveniva alla conclusione che il vero oggetto della compravendita non fosse il fabbricato, bensì l’area e le sue potenzialità edificatorie e pertanto da tale presupposto riprendeva a tassazione la plusvalenza ai sensi del citato articolo 67, comma 1, lett.b) e articolo 68, commi 1 e 2 del Tuir”.

Nelle motivazioni della propria sentenza, la Ctp di Ravenna, oltre ad aver puntualmente individuato gli elementi di fatto posti dall’Amministrazione finanziaria alla base del proprio operato, ha anche correttamente colto la normativa da applicarsi al caso di specie.
Più in dettaglio, a tale proposito, il collegio giudicante ha evidenziato che “la problematica va inquadrata prima di tutto con riferimento all’articolo 20 del Dpr n. 131/1986, posto che il vero oggetto della cessione è l’area edificabile e che da questo discende la realizzazione della plusvalenza ex articolo 67, comma 1, lett. b)…”.

La Commissione tributaria ha, inoltre, valorizzato il comportamento tenuto dalla parte ricorrente.
I giudici romagnoli a tale riguardo hanno, in primo luogo, correttamente affermato che “La valutazione del comportamento della ricorrente in occasione della vendita legittima, ad avviso del Collegio, l’operato dell’ufficio. Infatti, solamente un mese prima della vendita, il Comune rilasciava il permesso di costruire n. 1239/2007 avente ad oggetto un fabbricato residenziale, previa demolizione dell’edificio già esistente, come da istanza presentata dalla parte ricorrente stessa in data 1.3.2007. Appare, pertanto, contradditorio affermare che la volontà della parte venditrice era quella di cedere il fabbricato a fronte dell’innegabile circostanza che la stessa parte aveva, otto mesi prima della data di compravendita, presentato domanda per costruirne uno completamente nuovo, costituito da cinque unità abitative con relativi posti auto. La società acquirente, operante nel settore delle costruzioni, ha pertanto trovato, in considerazione delle sue finalità, una situazione già molto favorevole, limitandosi a presentare al Comune solo un paio di Dia”.

L’Organo giudicante di merito, alla fine della propria sentenza, per ulteriormente suffragare l’impianto motivazionale del proprio arresto giurisprudenziale, ha sottolineato, in secondo luogo, che “Infine, il comportamento complessivo della ricorrente lascia intendere anche la consapevolezza dell’operazione. Indubbiamente l’aver agito di persona per ottenere in via preventiva, rispetto alla data di stipula, la concessione a demolire il fabbricato esistente e a costruirne uno nuovo con tanto di progetto, fa presumere la conoscenza delle potenzialità economiche dell’area, con il relativo compimento di attività finalizzate a creare le migliori condizioni di mercato, favorendo le trattative nella determinazione del miglior prezzo”.

Riqualificazione dell’oggetto del contratto
Uno dei parametri normativi cui fa riferimento la sentenza in commento è rappresentato dall’articolo 20 del Testo unico dell’imposta di registro (Dpr 131/1986) che, rubricato “Interpretazione degli atti”, dispone: “L’imposta è applicata secondo la intrinseca natura e gli effetti giuridici degli atti presentati alla registrazione, anche se non vi corrisponda il titolo o la forma apparente”.
La norma citata fissa, ai fini dell’applicazione dell’imposta di registro, la prevalenza della natura intrinseca degli atti registrati e dei loro effetti giuridici sul loro titolo e sulla forma apparente e, dunque, vincola l’interprete a privilegiare, nella individuazione della struttura del rapporto giuridico tributario, la sostanza sulla forma (principio substance over form), vale a dire il dato giuridico reale conseguente alla natura intrinseca degli atti e ai loro effetti giuridici.
L’articolo 20, in buona sostanza, impone all’Amministrazione finanziaria di valutare, ai fini della corretta tassazione, non il nomen iuris che le parti utilizzano, ma l’effettiva sostanza giuridica che emerge dagli atti.

Occorre osservare che la citata disposizione normativa è stata utilizzata, nel caso di specie, da parte dell’Amministrazione finanziaria per operare la riqualificazione, ai fini dell’imposta di registro, dell’oggetto del contratto da cessione di rudere in cessione di area edificabile.
Come anche osservato dai giudici tributari provinciali, operata tale riqualificazione ai fini dell’imposta di registro, la stessa ha prodotto i propri effetti anche ai fini delle imposte reddituali, in particolare generando una plusvalenza tassabile ai fini Irpef in capo alla persona fisica che aveva proceduto all’alienazione dell’area edificabile.

Per cogliere appieno l’attuale, effettiva portata della disposizione in esame, non si può prescindere dall’orientamento giurisprudenziale di legittimità, che in proposito si è progressivamente consolidato e, per il quale, il prelievo tributario deve essere attuato sulla base del fine pratico conseguito nella sostanza dai contraenti; per cui, l’Amministrazione finanziaria, nell’ambito della propria attività accertativa in materia di imposta di registro, può esercitare il proprio sindacato anche sugli atti precedenti e successivi laddove questo consenta di rintracciare il fine pratico unitario, derivante dal collegamento negoziale funzionale che viene a determinarsi quando i diversi e distinti negozi, pur conservando l’autonomia propria di ciascun tipo negoziale, vengono tuttavia concepiti e valutati come preordinati alla realizzazione di un effetto giuridico unitario elusivo.

A consolidare l’orientamento prevalente della giurisprudenza di legittimità, giova ricordare varie decisioni della Corte di cassazione fin dal biennio 2001-2002. In particolare, si tratta delle sentenze 14900/2001, 2713/2001 e 10660/2003.
La suprema Corte ha avuto poi modo di confermare e consolidare ulteriormente la propria giurisprudenza pronunciandosi, in senso conforme, con diverse altre sentenze. A tale proposito, si possono citare le nn. 24552 e 13580 del 2007; 9492, 9162 e 9163 del 2010; 14367/2011; 28259/2013.

È importante sottolineare come i giudici di legittimità – sia pur incidenter tantum – anche in una decisione fondamentale (Cassazione 8772/2008), in materia di abuso di diritto ai fini delle imposte dirette, hanno fatto riferimento alla importante funzione svolta dall’articolo 20 del Dpr 131/1986.
In particolare, in un passaggio di quella sentenza, si afferma che “l’ottica dei rapporti elusione/norma legislativa si è così ribaltata e le singole norme ‘anti-elusive’ vengono invocate non più come eccezioni ad una regola, ma come mero sintomo dell’esistenza di una regola; si veda in relazione al Dpr 131 del 1986, articolo 20, la sentenza n. 10273 del maggio 2007”.

In senso favorevole all’Amministrazione finanziaria si pongono anche varie sentenze di Commissioni tributarie, sia provinciali sia regionali, che sanciscono in maniera netta e chiara la possibilità di utilizzare l’articolo 20 per contrastare in maniera efficace fenomeni elusivi dell’imposta di registro, esaltando il dato giuridico reale rispetto alla forma apparente.
In particolare, in questo senso, si possono citare: Ctr Marche 46/2011; Ctr Piemonte 44 e 8 del 2010; Ctr Lombardia 36/2011; Ctr Emilia Romagna 98, 61 e 51 del 2010, 78 e 53 del 2009, 67 e 17 del 2008, 75 e 55 del 2007, 34/2006; Ctp Milano 44/2011 e 26/2010; Ctp Firenze 90/2009; Ctp Ravenna 223/2008 e 632/2006; Ctp Reggio Emilia 190/2009.

Maurizio Dalla Vecchia, nuovofiscooggi.it

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *