Aumento di capitale sospetto. Commercialista reo di bancarotta – Cassazione 40332/2013
Questo il principio di diritto affermato dalla Cassazione penale nella sentenza n. 40332 del 30 settembre, che ha rigettato il ricorso del contribuente
La vicenda di merito
La Corte di appello di Milano, in parziale riforma della sentenza di primo grado che aveva condannato un professionista – in concorso con l’amministratore di una società dichiarata fallita – per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione (articolo 216, primo comma, numero 1), della “legge fallimentare” n. 267/1942), dichiarava di non doversi procedere, nei confronti dello stesso, per la fattispecie delittuosa della bancarotta preferenziale (estinta per prescrizione) e rideterminava al ribasso la pena inflitta in primo grado agli imputati.
Avverso tale sentenza, il professionista propone ricorso in Cassazione eccependo la sua totale estraneità al reato contestato.
In particolare, per la difesa, il ricorrente avrebbe dovuto essere qualificato quale semplice extraneus, con la conseguenza che, al fine di affermare la responsabilità penale per il reato di bancarotta fraudolenta per distrazione, si sarebbe dovuta dimostrare l’esistenza di un suo contributo causalmente rilevante ai fini del verificarsi dell’evento distrattivo, nel caso in esame del tutto mancante.
Con motivi nuovi, il difensore del professionista insiste nella censura relativa alla impossibilità di ritenere il suo assistito “…concorrente, in qualità di extraneus, nel reato proprio commesso da V.P., in qualità di amministratore unico della ‘C. s.r.l.’, in quanto, da un lato l’avere condiviso una decisione già assunta dall’amministratore della società fallita non integra alcuna forma di concorso morale nel reato, dall’altro nessun contributo materiale alla realizzazione dell’illecito può essere addebitato al ricorrente nella sua qualità di componente del consiglio di amministrazione della partecipata ‘T. s.r.l.’, in favore della quale, a titolo di aumento di capitale sociale, è confluita la somma oggetto di distrazione, anche perché la ricezione di una somma di denaro giustificata da una causale lecita, deve considerarsi condotta meramente passiva”.
La decisione della Corte suprema Per i giudici di piazza Cavour, il ricorso non merita accoglimento perché infondato.
Stando all’impianto accusatorio recepito dai giudici meneghini, afferma la Cassazione, la società di cui il professionista era componente del consiglio di amministrazione aveva ricevuto da una Srl, fallita poco dopo, il versamento di ingenti somme di denaro – formalmente imputate in conto aumento del capitale sociale – le quali erano state così definitivamente sottratte alle ragioni dei creditori.
In sostanza, secondo la Cassazione, la Corte territoriale, seguendo un percorso argomentativo logicamente coerente, ha messo in evidenza come le attività innanzi indicate, valutate complessivamente e alla luce della ravvicinata cadenza temporale in cui si sono susseguite, erano finalizzate a svuotare la Srl, in odore di fallimento, delle risorse finanziarie necessarie per soddisfare le ragioni dei suoi creditori.
Tale quadro accusatorio è confermato “…da un lato, dalla circostanza che, come evidenziato dal curatore fallimentare, non essendo state utilizzate le somme di denaro in precedenza indicate per incrementare il capitale sociale, il cui aumento, dunque, nonostante fosse stato deliberato, non aveva avuto luogo, ‘veniva a mancare il titolo giustificativo per ritenere regolare il trasferimento di fondi, avvenuto invece con finalità distrattiva’, la cui entità avrebbe consentito, non a caso, di soddisfare integralmente le pretese dell’unico creditore…dall’altro dalla compenetrazione di interessi tra gli imputati…”.
Infatti, il ricorrente “…era il commercialista della società fallita, domiciliata presso il suo studio, dove veniva notificato il precetto della……(società creditrice, ndr) e, al tempo stesso, componente del consiglio di amministrazione della…(società partecipata della fallita, ndr)”.
Alla luce di quanto sopra, precisa la Corte suprema, i rilievi difensivi non colgono nel segno, atteso che, come da tempo affermato nella giurisprudenza di legittimità, per “…configurare la responsabilità dell’extraneus per concorso nel reato proprio sono sufficienti l’incidenza causale dell’azione dello stesso ‘extraneus’ e la sua consapevolezza del fatto illecito e della qualifica del soggetto attivo che ha posto in essere il fatto tipico (cfr. Cass., sez. V, 26/06/1990, Bordoni e altro, nonché, nello stesso senso, con particolare riferimento al consulente contabile dell’Imprenditore, Cass., sez. V, 27/06/2012, n. 39387, F. e altro, rv. 254319), non appare revocabile in dubbio che nel caso in esame la condotta del…risulti assolutamente idonea a configurare un efficiente contributo causale all’attività distrattiva, causativa del fallimento della società”.
Al riguardo, infatti, l’imputato, ha deciso, unitamente agli altri coimputati, l’ingresso della società fallita nella società in cui egli stesso era componente del consiglio di amministrazione, con la conseguente attribuzione a quest’ultima società di una ingente somma di denaro, “…nella piena consapevolezza, non solo del ruolo del V.P., essendo, come sì è detto, il…il commercialista che seguiva la società fallita, ma anche del carattere distrattivo dell’operazione, come si evince da quanto dichiarato dallo stesso imputato nel corso dell’interrogatorio…, circa la assenza di una necessità immediata che la ‘T. s.r.l.’ disponesse delle somme corrispondenti all’aumento del capitale sociale e la circostanza, dei pari rilevante, che dalla sua costituzione al fallimento della ‘C. s.r.l.’ la suddetta società non aveva svolto alcuna attività”.