- ExcludeCalcioTopnews

Seria A 6^ GIORNATA. Quanto 6 bella Roma quando è sera… – di Angelo Abbruzzese

Gervinho (ROMA)
Gervinho (ROMA)

Il Napoli è la squadra che apre la sesta giornata del campionato di Serie A. Gli azzurri di Benitez sono impegnati in quel di Marassi contro il Genoa di Liverani. Higuain e Hamsik restano in panchina, rimpiazzati da Zapata e Pandev. Ed è proprio quest’ultimo a salire immediatamente in cattedra, insieme ai due furetti dell’attacco partenopeo, Callejon ed Insigne. Al 14’ è un errore di Kucka a spianare la strada al macedone, che raccoglie il pallone, supera Gamberini e batte Perin con il sinistro.

Dopo dieci minuti il numero 19 si ripete (stavolta con l’altro piede) su assist di Lorenzo Insigne. La partita in pratica si chiude qui perché il Napoli amministra con grande autorità il doppio vantaggio, facendo irretire gli uomini di Liverani grazie a una fitta rete di passaggi. Se lo scorso anno il marchio di fabbrica della squadra campana era costituito dalle micidiali ripartenze, oggi gli azzurri hanno aggiunto a queste la qualità del palleggio e una maggiore capacità di giocare a bassi ritmi, tallone d’Achille della squadra nel campionato passato. Quantità più qualità. La metamorfosi, insomma, è quasi compiuta. Per far sì che lo sia completamente, il tecnico dovrà correggere i difetti che i suoi continuano ad avere. Non sono mancate anche nella gara contro il Grifone pericolose disattenzioni difensive (chiedere a Britos per informazioni). Gilardino da solo tiene in apprensione i 4 del reparto arretrato, non trovando per poco il gol dell’1-2. Altrettanto rischioso sprecare i contropiede come avviene nella ripresa, quando il neo entrato Higuain non è freddo come al suo solito sotto porta. L’argentino prende il posto del giovane Zapata: il colombiano, complice una condizione fisica non eccelsa, fatica, lasciando tuttavia intravedere del potenziale. Sul fronte genoano, dopo la vittoria nel derby, sono arrivate due sconfitte e un pareggio. Il dato più preoccupante per Liverani è la sterilità offensiva: nelle ultime tre partite la casella dei gol fatti è rimasta desolatamente vuota. Non basta la buona volontà di Gilardino e Calaiò. Da registrare pure la difesa: il pasticcio che ha portato Pandev davanti a Perin è un errore da penna rossa. Il tecnico può comunque consolarsi per lo spirito mostrato in campo: nonostante lo svantaggio il Genoa non si è mai arreso tentando fino all’ultimo di riaprire la sfida. Preziosi, però, è quello che prende peggio questa sconfitta: il giorno dopo, infatti, decide di cacciare Liverani e richiamare in panca Gian Piero Gasperini.

Basta una vera azione in velocità al Milan per vincere la partita contro la Sampdoria. Una sola, in mezzo a un mucchio di tentativi buttati lì più per inerzia che per convinzione. Tanto è bastato, è vero, ma i tre punti, importantissimi, conquistati dalla banda di Allegri, non sono ancora il frutto di un gioco definito e travolgente. Un successo comunque meritato per quanto costruito dal Milan durante i primi settanta minuti di gioco, maledettamente sofferto negli ultimi venti dove la Sampdoria ha chiuso i rossoneri al limite della propria area. Un passettino in avanti, però, c’è stato soprattutto sul piano dell’impegno. Il pressing dei primi minuti, portato avanti per buona parte del primo tempo, ha fatto accendere qualche scintilla di ottimismo nel cuore dei tifosi rossoneri, ma non è bastato a scalfire la solidità della Sampdoria di Delio Rossi. (De)merito anche di Matri, che ancora non ha saputo ritrovare la via del gol, impacciato e lento nei momenti decisivi, mentre alle sue spalle la strana coppia Birsa-Robinho lotta, ci prova, inventa. E proprio da una magia del brasiliano arriva la più ghiotta occasione del Milan del primo tempo: Robinho scherza con Costa al limite e crossa sul secondo palo dove Constant, al volo, non trova la porta per poco. Di contro i blucerchiati ci provano solo con conclusioni dalla distanza di Gabbiadini, ma sfiorano il vantaggio con un remake versione 2013 del gol di Costa in apertura di scorsa stagione. Questa volta lo schema da angolo porta a lambire il palo. La scossa, però, in un Milan con tanta volontà ma oggettivamente poca qualità, arriva nell’intervallo. I rossoneri tornano in campo indiavolati sorprendendo la Sampdoria dopo pochi secondi. L’azione è costruita in velocità sulla sinistra con il contributo del neoentrato Emanuelson al posto dello spento Muntari. L’olandese, con Constant e Robinho, orchestra l’azione che libera Birsa al limite dell’area. Lo sloveno prende la mira e sbanca il jackpot col gol decisivo, raccogliendosi la prima standing ovation in rossonero al momento del cambio, dopo tutto lo scetticismo incassato in silenzio. Appena due minuti dopo Robinho potrebbe chiudere i conti, ma il brasiliano si ritraveste da “sciagurato” divorandosi a 1 metro dalla porta vuota il raddoppio. Lo stesso pensa bene di farlo Matri poco dopo il quarto d’ora a tu per tu con Da Costa e da quel momento in poi inizia la sofferenza per i padroni di casa. Rossi manda in campo Petagna e alza il baricentro della squadra, chiudendo nelle retrovie il Milan. La pressione, però, mette solo un po’ di sana fifa ai rossoneri che, per una volta, chiudono senza subire reti. La risalita potrebbe essere partita, ma già domenica prossima ci sarà un test importante in casa della Juventus. Sempre senza mezza squadra.

L’anticipo delle 12.30 è una gara con la G maiuscola. All’Olimpico di Torino va in scena il derby della Mole, tra il Toro di Ventura e la Juve di Conte. 3-5-2 da ambedue le parti, con Giovinco al fianco di Tevez e Pogba nel ruolo di Pirlo, spedito in panchina; per i padroni di casa, Cerci insieme ad Immobile e Guillermo Rodriguez al posto di Bovo. La partita è bruttina, molto tattica e giocata tutto sommato alla pari. Il centrocampo della Juventus è ben controllato da quello del Torino, Tevez non riesce ad accendere la luce e solo Giovinco prova a creare qualche situazione pericolosa. Dall’altra parte le scorribande di Cerci sono frenate dai tre difensori della nazionale e Buffon, così, non deve effettuare nemmeno una parata. Parata che, invece, viene effettuata da Padelli ad inizio ripresa, sul tentativo ravvicinato di Sebastian Giovinco. È solo il preludio al gol, che arriva al 54’ con il colpo di testa di Paul Pogba. Angolo della Formica Atomica, stacco di Bonucci deviato da Tevez sulla traversa e correzione in rete del francese. L’Apache, però, al momento del tocco del suo compagno, era in palese posizione di fuorigioco. Nel finale entra anche Vucinic, che sfiora il raddoppio con una splendida volée neutralizzata da un grandioso Padelli. Il Toro, arrabbiato ma senza idee, si limita a qualche lancio lungo (con tanto di preghiera) per cercare un pareggio che, però, non arriva. Finisce 0-1, con il Torino che non vince un derby dal 1995 e non segna un gol alla Juve dal 2002. Con questa vittoria, la Juventus sale a 16 punti insieme al Napoli.

Si ferma la corsa dell’Inter in quel di Trieste. E Mazzarri l’aveva detto: poco tempo per preparare la partita… Pioggia prima della partita e campo con spazi allentati: dunque pallone che, di tanto in tanto, va per le sue. Mazzarri propone il turn over (Rolando in difesa, Nagatomo a destra, Pereira a sinistra, Kovacic a centrocampo), e un pezzo aggiunto che è la sorpresa Belfodil all’attacco, non Icardi. Il Cagliari è quello annunciato, senza badare a spese in attacco, con Ibarbo e Pinilla sorretti da Cabrera. L’avvio dell’Inter denota fame di gol immediato. Nagatomo va al tiro al 2’, Agazzi devia; Guarin ci prova al 7’, e ancora Agazzi manda in angolo; quindi è Pereira (11’) che ci prova dal disco del rigore, ma il portiere del Cagliari è in vena di prodezze. La manovra dell’Inter è quella solita, larga e costante. E al 21’ Nagatomo serve un cross a Belfodil che di testa impegna Agazzi. Monologo-Inter per mezzo primo tempo, quarta occasione e niente gol. Ma il Cagliari non sta a guardare e la bontà del suo tridente, sorretto a metà campo da Conti e Nainggolan, costringe l’Inter a badare anche – e per bene – alla fase difensiva. Un lampo di Pinilla di testa (30’), che Handanovic para a terra, è il primo segnale di vita d’attacco dei rossoblu che da qui alla fine del primo tempo costringono Cambiasso a stare sulle sue, al pari degli altri nerazzurri. Cominciano a fiorire anche i cartellini gialli, su ripartenze reciproche e perché il campo scivoloso dissemina tranelli ed errori. L’Inter nell’ultimo quarto d’ora fatica a trovare spazi offensivi, anche per l’ovvia difficoltà di farlo con Belfodil che parte da centrocampo e Alvarez che fa lo stesso (per vocazione). E comunque – tranne la sarabanda con il Sassuolo – il primo tempo si chiude sulla linea tattica del ciclo mazzarriano: prudenza, prima di tutto. Nel primo tempo si tesse la tela, e il Cagliari – di contro – non è affatto un avversario banale. Ripresa. Dentro Icardi, fuori Alvarez (ha corso tanto e senza i suoi lampi di genio, molto stanco), con l’idea di un rinforzo all’attacco: Belfodil si allarga a destra, l’area piccola non è più quasi-deserta di maglie nerazzurre. Ma occasioni vere e proprie non se ne vedono, su un fronte e sull’altro. L’Inter sembra dare spazio al Cagliari a centrocampo, quasi cercando solo e soltanto il contropiede; la squadra di Diego Lopez non cade in tentazione, presidiando le zone di difesa. A metà del primo tempo, Mazzarri cerca un rimedio andando a chiedere lumi al maestro Palacio, che prende il posto di Belfodil. Un tiro alto e da buona posizione di Ibraimi, appena entrato, è il prologo di una conclusione di Nagatomo al 70’, con Agazzi che si distende e la manovra offensiva dell’Inter che, con Palacio, trova momenti di intelligenti geometrie. E su una di queste, bella e veloce, ecco Palacio servire Nagatomo e il giapponese invitare al gol facile facile un predestinato: Icardi. Giusto alla mezz’ora del secondo tempo, il momento-killer dell’Inter versione Mazzarri. Rete splendida, ma da difendere. Perché il Cagliari non è domato. E lo capisce bene l’Inter al 78’ quando Nainggolan da fuori cerca la conclusione, il tiro di per sé non è niente di speciale, ma una deviazione di Guarin è fatale per Handanovic: il pallone cambia traiettoria e il Cagliari coglie l’1-1. In fondo, nemmeno immeritato per ciò che si è visto in campo. Il finale interista, con Milito terzo attaccante, regala attimi di caos nell’area del Cagliari e l’idea di un quasi-gol. Quasi, appunto. Finisce soltanto 1 a 1.

In quel di Reggio Emilia, la Lazio, sempre orfana di Klose e mezza difesa, schiera Ederson, Candreva e Hernanes alle spalle di Floccari. Onazi e Ledesma in mezzo. Il Sassuolo è modello Napoli, con Ziegler al posto di Laribi. Dinamiche, posizioni di forza e gerarchie sono subito chiarite. La Lazio è la solita, versione trasferta. Il Sassuolo non è squadra materasso, non ha pescato il jolly a Napoli; semmai la luna nera contro l’Inter. Conferme da campo: gli emiliani hanno la bava alla bocca e grondano fisicità. Gioco aperto sulle fasce e ricerca forzata e insistita del 2 vs 1 soprattutto sul binario di Cavanda, stretto in mezzo a Ziegler e Missiroli. Non che dall’altra parte Pereirinha sia in viaggio di piacere a Reggio Emilia perché Schelotto ci mette il cuore e Kurtic una facilità di dribbling e velocità esorbitanti. Premesse eccellenti per Di Francesco. La costruzione è ragionata, rapida, eppure c’è il solito “ma” a smontare tutto. I mezzi non portano al fine: pochi sbocchi verso la porta. La Lazio fa l’esatto contrario, gioca poco e tira molto. Squilla per primo Ederson e per poco non infila il palo lungo di Pegolo. Che poco dopo vede decollare a due passi Dias su un corner: non c’è la mira. È sbagliata di un niente pure quella di Candreva (15’) che trova lo spazio, arrota la conclusione e quasi bacia il palo. Poco dopo ci riprova giocando d’anticipo. Niente. Ma sono avvertimenti chiari al Sassuolo: tu giochi e apri il campo, io lo accorcio e tiro. Peccato, però, che la matricola replichi turandosi le orecchie e continuando a interpretare il suo spartito (un monologo) a tutto volume. Baricentro sempre alto e, dopo una pagina da romanticismo e fedeltà scritta da Kurtic (toccato duro resta in campo), riecco Zaza a modo suo. Ennesimo cross dalla sinistra e la torsione in anticipo su Dias picchia duro la traversa di Marchetti (26’). Poco dopo Kurtic chiude in curva un altro assist nato, allevato e cresciuto dalle parti di Cavanda, tanto per cambiare. La Lazio è sfilacciata, distante nei reparti, lunga. Scarseggiano idee e ritmo in entrambe le fasi perché la propositività è ai minimi sindacali e la capacità di contenimento non è da travasare nel manuale della difesa. Al Sassuolo basta pigiare un pizzico sull’acceleratore per superare la diga laziale (di carta) lì in mezzo e cercare la verticale: la palla buona capita a Zaza (36’): tiro incrociato, ancora non va. Petkovic non gradisce, Di Francesco sì, ma rischia di cambiare faccia e morale quando Ciani (46’) salta da solo in mezzo alle belle statuine e si mangia un gol fatto. La replica dell’occasione capitata a Dias ad inizio gara. La stessa, non è un caso. E la Lazio ne approfitta al 5’ della ripresa. Solito canovaccio: corner, dormita e Dias, due anni e mezzo dopo l’ultimo gol, riassapora il tabellino dalla parte che conta. E dove trovi ormai sempre Antonio Candreva che cinque minuti più tardi mette potenzialmente i chiodi sulla bara. Controllo al limite, scarico secco col sinistro, palo e gol. La spietata legge del cinismo applicata senza sconti sul Sassuolo con l’aggravante dell’uno-due, ma i neroverdi hanno ancora argomenti a sostegno. E ripagano con la stessa moneta. Senza rinvio. Passa un minuto: corner, Schelotto vola e fa 1-2 con Cavanda immobile. Il Sassuolo pigia forte. Acerbi scarica un sinistro micidiale, ma sui tabelloni. Poi Dias (61’) entra in contatto con Berardi e sfiora pure la palla con la mano. Per Banti si può proseguire. La Lazio, apparsa più equilibrata dopo l’ingresso di Gonzalez per il fantasma di Ederson, è di nuovo in versione primo tempo. Il Sassuolo, che spedisce dentro pure Floro Flores, carica incollerito e servono Ciani e Marchetti per dire “no” in venti secondi (70’) allo scatenato Zaza. Ma è davvero un assalto, e così il fortino laziale crolla sul siluro da calcio piazzato di Floro Flores. Una strega nel bosco biancoceleste: quattro gol in carriera alla Lazio. Potrebbe fare pure il quinto (82’), ma Marchetti ha la serranda abbassata e non capitola nemmeno quando nel finale Ciani prova ad aggirarlo, quasi fornendo materiale alla Gialappa’s. Finisce 2-2. Un punto a testa. Ma, per quanto fatto, è contento solo il Sassuolo.

La sfida tra le due neopromosse divertenti della nostra Serie A, Verona e Livorno, finisce con il risultato di 2-1 per i padroni di casa. Iturbe (potenziale crack del campionato), con un grandissimo calcio di punizione di sinistro, apre le danze al 40’, ma Rinaudo, di testa, trova immediatamente il gol del pari. La gara è decisa, nella ripresa, da un altro calcio piazzato: fallo in area di Schiattarella su Toni e penalty per gli scaligeri, trasformato dall’infallibile Jorginho. Il responso del campo è, però, per certi versi bugiardo. Il Verona, è vero, vince 2-1, ma quello che non dice il risultato lo racconta il campo: i gialloblù, come detto, vanno in gol solo grazie a due calci da fermo e per lunga parte del primo tempo subiscono un Livorno per nulla intimorito di giocare fuori casa. Paulinho e compagni impegnano più volte Rafael, che per l’occasione decide di chiudere la saracinesca, disinnescando ogni minaccia portata dalle sue parti. L’Hellas sale a quota 10 punti, il Livorno resta a 8.

L’Atalanta si rialza dopo tre ko e lo fa battendo per 2-0 l’Udinese di Guidolin. Dopo un lungo assedio nel primo tempo, la Dea trova il gol del vantaggio con il colpo di testa di Denis al 45’. Per i bianconeri l’unica occasione è quella sprecata da Maicosuel al 21’. Surreale ciò che accade in avvio di ripresa: Giacomelli fischia un calcio di rigore per gli ospiti (fallo su Danilo), Di Natale è già pronto per calciare, ma il guardalinee chiama a sé il direttore di gara e gli impone di cambiare la sua decisione. L’episodio scuote i friulani, che alzano il proprio baricentro, anche se il gol lo trova ancora il Tanque Denis, con un gran diagonale di sinistro. Prima del triplice fischio, doppia opportunità per l’Udinese prima con Allan e poi con Heurtaux su respinta di Consigli. Finisce 2-0 per l’Atalanta, che può tornare così a respirare. Udinese troppo rinunciataria.

Sorride, finalmente, anche il Catania di Maran. 2-0 al Chievo e prima vittoria stagionale. Tornano dal primo minuto Bergessio e Castro e i risultati si vedono subito. Il primo entra in tutte e due le azioni dei gol, fornendo l’assist per il primo gol italiano di Plasil e buttandosi sul cross velenoso di Lucas Castro, disorientando Puggioni pur senza toccare il pallone. Gli etnei sfiorano anche il terzo gol con Barrientos, che spara addosso al portiere avversario. La partita si trascina stancamente fino al 90’. I siciliani dedicano i fondamentali tre punti a Turi Calanna, lo storico magazziniere del club, scomparso in settimana all’età di 77 anni.

E anche l’ultimo tabù è sfatato: alla Roma, capolista del campionato e collezionista di record, ma ancora incapace di far gol nei primi tempi di questa stagione, bastano 8’ e un’incornata di Florenzi per mettere fine al “digiuno” e ricandidarsi di prepotenza nella corsa al titolo. La squadra di Garcia viene fuori con abilità disarmante da una prova – sulla carta – insidiosa, soprattutto per chi è reduce dall’ebbrezza di un derby (oltre al sacco di Marassi) e da una classifica che non sorrideva così da più di tre anni. Invece anche la maturità, ultimo baluardo prima di poter concorrere al successo, sembra acquisita. Garcia ne prende atto e tira avanti: il prossimo obiettivo è mantenere l’imbattibilità e presentarsi in testa fra una ventina di giorni, dopo la pausa, con le dirette avversarie impegnate anche in Europa. Nel frattempo è +2 su Juve e Napoli e l’orchestra funziona benone, anche se il Bologna, ad onor del vero, non fa quasi nulla per scongiurare una sconfitta pesantissima. Nei numeri e nella prestazione. La Roma preme sull’acceleratore dai primi minuti, ma sono Curci e la difesa a regalare a Florenzi un comodo tap-in da spedire in rete dopo la punizione respinta di Pjanic. Poi il ritmo diventa addirittura travolgente, con Gervinho sugli scudi e pronto ad approfittare dell’assist di Totti, per entrare in area e fulminare Curci. La Roma va in porta con tre passaggi, il Bologna se ne tiene alla larga e prima di comparire nel match va sotto 3-0: Benatia sbuca indisturbato su azione di calcio d’angolo e al volo non perdona. L’Olimpico è un’esplosione di gioia ed è difficile poter sintetizzare un cambiamento d’umore così repentino rispetto alla rabbia d’inizio stagione. Ed è ancora più difficile capire come Garcia sia riuscito a creare un’armonia per niente scontata. In campo la squadra gioca a memoria: gli attaccanti si scambiano di posizione, i terzini attaccano e leggono le diagonali, il centrocampo ha sostanza, dietro non si passa. La difesa, diretta benissimo dai due centrali, va in ambasce solo nel finale di primo tempo, quando Diamanti lambisce il palo e Balzaretti salva un paio di volte su situazioni pericolose. Ma la casella dei gol subiti recita ancora 1, quello di Parma. In attacco, complice il timido tentativo del Bologna di alzare il baricentro, la Roma fa quel che gli pare. E Gervinho in campo aperto diventa devastante, come non lo si era mai visto, nemmeno al Lilla. Il gol del 4-0 è favoloso: ripartenza da metà campo, dribbling su Antonsson e scarica elettrica all’incrocio dei pali. L’ivoriano, accolto nella Capitale come un oggetto misterioso, è al terzo gol nelle ultime due partite e lo stadio è ai suoi piedi. Lui e Strootman si meritano anche l’ovazione, mentre Totti cerca di farsi l’ennesimo regalo di compleanno, non inquadrando, però, la porta. L’ultima perla è di Ljajic, che prende d’infilata una difesa ormai esanime e insacca dolcemente sotto la traversa. La Roma, dopo 4 anni, torna a battere il Bologna in casa propria (fu un 2-1 in rimonta). In quel campionato andò a un passo dal quarto scudetto della propria storia, che grazie ad un tecnico francese e ad uno spirito nuovo, ora è tornato terribilmente di moda.

Tutto si può dire della Fiorentina di Montella in questo avvio di stagione tranne che sia fortunata. È brutta e volenterosa per 45’, impietoso il confronto con quella della passata stagione, grintosa e devastante nella seconda parte. Ma non fortunata. I viola escono dal confronto col Parma di Donadoni con un punto, perdendone il doppio a pochissimi secondi dal fischio finale. Ma quello, paradossalmente, è il meno. A preoccupare sono le condizioni di Pepito Rossi, uscito un po’ per infortunio ma soprattutto precauzionalmente per evitarne uno serio, alla mezz’ora del primo tempo. Nonostante un reparto avanzato ormai sguarnito di certezze, i viola riescono a reggere il confronto con una squadra organizzata e ostica come il Parma, capace di dettare tempi e legge per tutto il primo tempo ma senza rendersi troppo pericolosa eccezion fatta per la colossale palla gol divorata da Palladino a tu per tu con Neto. Il vantaggio, firmato Gargano al 46’, manco a dirlo a pochi secondi dall’intervallo, arriva al Franchi come un fulmine a ciel sereno. Colpa della difesa in questo caso, troppo statica e generosa a far fare all’uruguaiano il bello e il cattivo tempo, con un tiro smorzato da Rodriguez alle spalle di Neto. Nel secondo tempo, però, è tutta un’altra Fiorentina, col rispolvero di Juan Manuel Vargas a suo modo decisivo. Il peruviano prende d’assalto la fascia sinistra ma soprattutto ha il merito di infuocare da subito il Franchi in una serata povera di vere emozioni. L’assedio parte subito, Alonso esalta Mirante con un bolide di sinistro costruito e centrato, ma il gol arriva, marchio di fabbrica montelliano, da calcio d’angolo: Borja Valero pesca Gonzalo Rodriguez per il pareggio. L’onda d’urto viola, però, non si esaurisce qui e la rimonta viene completata proprio da Vargas a dodici minuti più recupero dal termine. Sì, più recupero, perché è solo in quei tre minuti aggiuntivi tra primo e secondo tempo che il Parma trova la via del gol. Al 91’ Okaka si divora un contropiede, ma non sbaglia pochi secondi più tardi: la palla arriva a Biabiany che pesca Gobbi, ex mai così odiato come nell’occasione, per il gol del 2-2 da zero metri. Con l’evidente (e ormai solita) complicità di Neto.

Per effetto di questi risultati, Roma in vetta alla classifica con 18 punti, seguita da Napoli e Juventus con 16. Chiudono Sampdoria e Sassuolo a quota 2. Cerci e Rossi restano i leader della classifica cannonieri con 5 gol realizzati.

I TOP

Gervinho (ROMA): Garcia lo ha fortemente voluto e, nonostante lo scetticismo generale, l’ivoriano sta dando eccellenti risposte sul campo. Tre gol nelle ultime due gare, movimenti, tecnica: i tifosi dell’Arsenal possono iniziare a ricredersi… TALISMANO.

Goran Pandev (NAPOLI): Non fa rimpiangere affatto il Pipita, segnando due reti di un’importanza mostruosa, per lui e per la squadra. COLONNA.

German Denis (ATALANTA): Il Tanque si è svegliato e ora sarà difficile fermarlo. Dopo la rete a Parma nel turno infrasettimanale, si ripete con una bella doppietta in casa contro l’Udinese. BOMBER.

I FLOP

Antonio Di Natale (UDINESE): Non si vede mai. Potrebbe farsi notare nell’episodio del rigore, ma il guardalinee gli impedisce di calciarlo. ABULICO.

Luis Pedro Cavanda (LAZIO): Dalle sue parti il ponte levatoio è sempre abbassato. Missiroli e Ziegler scendono come Lanzichenecchi su un binario battezzato per l’attacco. Da lì piovono tutte le minacce alla porta di Marchetti. In difficoltà, ma è anche vero che, a richiesta di assistenza inviata, la risposta non è evasa. L’alibi crolla quando resta immobile sul decollo di Schelotto e rimette il Sassuolo in partita. CATASTROFICO.

Gianluca Curci (BOLOGNA): Soffre l’aria di casa, si impressiona subito e con questa prestazione sancisce un avvio di campionato disastroso. Agliardi scalpita. FARFALLONE.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *