Salvo il ricorso in Cassazione anche se sbagliata la norma citata – Cassazione 17931/2013
Con la sentenza 17931 del 24 luglio, le sezioni unite della Cassazione, risolvendo un contrasto interpretativo insorto sulla questione e optando per una soluzione allo stesso tempo garantista nei confronti del ricorrente (e del suo diritto alla effettività della tutela giurisdizionale) e “sostanzialista”, hanno affermato il seguente principio di diritto: nel giudizio per Cassazione – che è a “critica vincolata” avendo a oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’articolo 360, comma 1, del codice di procedura civile – il ricorso deve essere articolato in specifici motivi immediatamente e inequivocabilmente riconducibili a una delle cinque ragioni di impugnazione previste dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi. Tale principio è ovviamente valevole anche per i ricorsi in materia tributaria.
Applicando il suddetto principio alla fattispecie concreta, ne deriva che nel caso in cui il ricorrente lamenti l’omessa pronuncia, da parte della sentenza impugnata, in ordine a una delle domande o eccezioni formulate, non è necessario che faccia espressa menzione della ricorrenza dell’ipotesi di cui all’articolo 360 del cpc, comma 1, n. 4 (con riferimento all’articolo del 112 cpc), purché nel motivo si faccia inequivocabilmente riferimento alla nullità della decisione derivante dalla relativa omissione.
La questione interpretativa
Con ricorso per Cassazione proposto nei confronti di una sentenza della Corte d’appello di Torino, emessa in tema di affitto agrario, veniva denunciata “omessa pronuncia su un punto decisivo della controversia…” ai sensi dell’articolo 360 del codice di procedura civile, n. 5.
Nel controricorso è stata eccepita l’inammissibilità del mezzo d’impugnazione, per essere stata erroneamente denunciata l’omessa pronuncia su un motivo di gravame ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 5, del cpc anziché ai sensi dell’articolo 360, comma 1, n. 4 (nullità della sentenza o del procedimento), in relazione all’articolo 112 del cpc, citando al riguardo alcune pronunzie di legittimità (Cassazione, sentenze 11034/2003, 12475/2004, 13785/2005, 22897/2005 e 11844/2006).
La seconda sezione della Cassazione, rilevato come sulla questione de qua si sia formato un contrasto giurisprudenziale di legittimità, con ordinanza interlocutoria, sollecitava una pronunzia chiarificatrice delle sezioni unite.
In particolare, da una parte si registra un filone interpretativo che – dalla premessa in base alla quale l’omessa pronunzia da parte del giudice di merito su un capo di domanda o di gravame debba essere dedotta, ex articolo 360 cpc, comma 1, n. 4, come violazione dell’articolo 112 del cpc e non già come violazione di una norma di diritto o vizio di motivazione ex articolo 360 cpc, comma 1, n. 3 o n.5 – ritiene l’erronea formulazione del motivo ragione di inammissibilità.
Dall’altra (ex multis Cassazione, sentenze 4349/2000, 4853/2001, 7981/2007, 12929/2007, 23794/2011, 14026/2012) vi sono pronunce secondo cui, nei casi di impropria intestazione del denunciato vizio di legittimità, ove la Corte possa tuttavia agevolmente procedere, sulla base delle argomentazioni esposte a sostegno del motivo, alla corretta qualificazione dello stesso, deve escludersi l’inammissibilità del mezzo d’impugnazione.
Il contrasto giurisprudenziale, protrattosi per oltre un decennio, è quindi tra un indirizzo più rigoroso e formalistico e uno più elastico e sostanzialistico.
Il primo, partendo dall’onere della specificità dei motivi di ricorso, fissato dall’articolo 366, comma 4 del codice di procedura civile e considerando le caratteristiche del giudizio di Cassazione quale mezzo di impugnazione privo di effetto devolutivo e a critica vincolata e sottolineando le finalità deflative perseguite dagli interventi del legislatore degli ultimi anni, sostiene che il ricorrente abbia l’onere di indicare con assoluta precisione, non solo sostanziale, ma anche formale, gli errori contenuti nella decisione impugnata; con la conseguenza che il mezzo d’impugnazione debba non solo esporre in modo chiaro e inequivoco le ragioni della doglianza, ma anche indicare esattamente le norme, sostanziali o processuali, che si ritengano essere state violate o falsamente applicate e, soprattutto, indovinare la tipologia di vizio di legittimità, tra quelli tassativamente previsti dall’articolo 360, comma 1, del codice di procedura civile (cfr Cassazione, ordinanza 8565/2012 e sentenza 5207/2010).
In senso opposto depone l’altro indirizzo secondo cui non costituisce una condizione necessaria di ammissibilità del ricorso di legittimità la corretta menzione dell’ipotesi appropriata tra quelle previste dall’articolo 360, comma 1, “purchè nel contenuto dell’impugnazione si faccia chiaramente ed inequivocamente valere un vizio della decisione astrattamente idoneo ad inficiare la decisione ai sensi della citata norma” (cfr Cassazione, sentenze 1370/2013 e 23794/2011).
La sentenza delle sezioni unite
Nel risolvere il suddetto contrasto le sezioni unite, in nome del principio di tipo processuale “iura novit curia” (recepito dalla disposizione di cui all’articolo 113 del cpc) e di quello, di derivazione sovranazionale della “effettività” della tutela giurisdizionale, elaborato dalla Corte europea dei diritti dell’uomo (per cui alla domanda di giustizia dei cittadini debba corrispondere, soprattutto nell’attività di interpretazione delle norme processuali, una effettiva ed esauriente risposta da parte degli organi giurisdizionali interni) propendono per il secondo indirizzo (quello meno formalistico) perché più conforme ai suindicati principi.
In particolare, la Corte di Strasburgo ha più volta precisato che “nell’interpretazione ed applicazione della legge, in particolare di quella processuale, gli stati aderenti, e per essi i massimi consessi giudiziari, devono evitare gli “eccessi di formalismo”, segnatamente in punto di ammissibilità o ricevibilità dei ricorsi, consentendo per quanto possibile, la concreta esplicazione di quel “diritto di accesso ad un tribunale” previsto e garantito dall’art. 61 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950 (ratificata dall’Italia con la L. 4 agosto 1955, n. 848)”.
Per quanto concerne il principio “iura novit curia”, secondo univoca giurisprudenza “nell’interpretazione della domanda o eccezione il giudice non è vincolato dal nomen iuris indicato dalla parte e dalle norme giuridiche al riguardo citate, dovendo invece egli procedere alla relativa qualificazione, con particolare riferimento alla causa petendi (o excipiendi), desumendola, al di là dalla terminologia più o meno appropriata adoperata dal petente o eccipiente, dal sostanziale contenuto del fatto o della situazione, giuridicamente rilevante, esposti a sostegno della stesse” (ex plurimis, Cassazione, sentenze 5848/2013, 13945/2012, 12943/2012 e 15925/2007).
Se il giudice di merito ha sempre il compito di interpretare e qualificare correttamente le domande o eccezioni a lui proposte, non si vede perché a tanto non dovrebbe anche, e a fortiori, procedere, nell’ambito della propria funzione “nomofilattica”, la Corte di cassazione.
In conclusione la Corte precisa che “l’onere della specificità ex art. 366 c.p.c., n. 4, secondo cui il ricorso deve indicare “i motivi per i quali si chiede la cassazione, con l’indicazione delle norme di diritto su cui si fondano”, non debba essere inteso quale assoluta necessità di formale ed esatta indicazione della ipotesi, tra quelle elencate nell’art. 360 c.p.c., comma 1, cui si ritenga di ascrivere il vizio, né di precisa individuazione, nei casi di deduzione di violazione o falsa applicazione di norme sostanziali o processuali, degli articoli, codicistici o di alti testi normativi, comportando invece l’esigenza di una chiara esposizione, nell’ambito del motivo, delle ragioni per le quali la censura sia stata formulata e del tenore della pronunzia caducatoria richiesta, che consentano al giudice di legittimità di individuare la volontà dell’impugnante e stabilire se la stessa, così come esposta nel mezzo di impugnazione, abbia dedotto un vizio di legittimità sostanzialmente, ma inequivocamente, riconducibile ad alcuna delle tassative ipotesi di cui all’art. 360 citato.
Francesco Brandi