Penale

Imputabile chi fattura abusivamente favorendo indebiti risparmi fiscali. Cassazione 29061/2013)

hqdefaultCon la sentenza 29061 del 9 luglio, la Cassazione, confermando un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ha stabilito che l’utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (punita dall’articolo 2 del Dlgs 74/2000) comprende sia l’inesistenza oggettiva che quella soggettiva, ossia quella relativa alla diversità tra l’operatore che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura.
Stesse conclusioni valgono per la fattispecie collegata di emissione di fatture per operazioni inesistenti di cui al successivo articolo 8. A tal proposito, a nulla vale invocare, quale ius superveniens, l’articolo 8 del Dl 16/2012, in quanto nessun effetto di depenalizzazione può essere ricondotto a tale disposizione, il cui ambito di applicazione è ristretto alle procedure di accertamento tributario.

La vicenda processuale
La vicenda riguarda due soggetti condannati sia in primo che in secondo grado, rispettivamente, per i reati previsti dagli articoli 8 e 2 del Dlgs 74/2000, ovvero emissione e utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti.
In particolare, uno degli imputati era stato condannato perché, quale titolare di una ditta individuale di commercio di autoveicoli, aveva emesso negli anni 2004 e 2005 fatture soggettivamente false, perché relative a forniture di veicoli effettuate da soggetti terzi esteri in sospensione di imposta.
L’altro imputato veniva invece condannato, ai sensi dell’articolo 2, per aver utilizzato in dichiarazione quelle fatture.

La Corte d’appello di Milano, nel confermare la condanna per i due imputati, aveva precisato che:

  • nessuna distinzione poteva essere effettuata, al fine della sussistenza dei reati contestati, tra fatture oggettivamente e soggettivamente false
  • l’interposizione fittizia dell’emittente aveva consentito all’utilizzatore un indebito risparmio Iva
  • in relazione alla posizione dell’utilizzatore delle fatture, in atti vi era la prova del pagamento di quest’ultimo direttamente in capo al formale venditore del soggetto interposto.

Nel giudizio in Cassazione viene dedotta in particolare, almeno per quello che interessa in questa sede, la violazione dell’articolo 8 del Dlgs 74/2000. Secondo la difesa, la norma in questione fa riferimento alle fatture emesse per le sole operazioni oggettivamente inesistenti, dovendo essere escluse dall’ambito di rilevanza penale quelle concernenti operazioni soggettivamente false.
Tale interpretazione troverebbe ora un espresso aggancio normativo per effetto dello ius superveniens rappresentato dall’articolo 8 del Dl 16/2012, che ha sostituito il comma 4-bisdell’articolo 14 della legge 537/1993. Con tale disposizione, infatti, si è stabilito che non sono deducibili i costi delle spese dei beni e del servizi direttamente utilizzati per il compimento di attività qualificabili come delitto non colposo per le quali il Pm abbia esercitato l’azione penale e, nella relazione di accompagnamento al testo normativo, si è puntualizzato che l’indeducibilità non trova applicazione per i costi delle spese esposte in fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.

La pronuncia della Cassazione e ulteriori osservazioni
La Corte suprema ha dichiarato inammissibili i ricorsi, condannando altresì i ricorrenti alla refusione delle spese processuali.
In relazione alla posizione dell’emittente, i giudici di legittimità, confermando un orientamento ormai consolidato (Cassazione, sentenze 17452/2012 e 10394/2010), hanno ribadito l’assunto secondo cui “la utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti, con riguardo all’IVA, comprende anche sia la inesistenza oggettiva che soggettiva, ossia quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura”.
Questa posizione è ricavabile da un’interpretazione letterale e sistematica del combinato disposto degli articoli 8 e 1, lettera a), del Dlgs 74/2000.

L’articolo 8 sanziona infatti “chiunque, al fine di consentire a terzi l’evasione delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, emette o rilascia fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, e l’articolo 1, lettera a), prevede che “per fatture o altri documenti per operazioni inesistenti” si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l’imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi”.

Del resto, anche la giurisprudenza formatasi in relazione al correlato articolo 2 del Dlgs 74/2000 (cui l’articolo 8 evidentemente si ricollega con la finalità di anticipare la tutela del bene giuridico protetto), conferma che “la falsità può essere riferita anche all’indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l’operazione, intendendosi per ‘soggetti diversi da quelli effettivi’, ai sensi dell’art. 1 lett. a), del citato D.Lgs., coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione, sono irreali, come nel caso di nomi di fantasia, o non hanno avuto alcun rapporto con il contribuente finale” (cfr Cassazione, sentenza 27392/2012).
Per la Cassazione, proprio tale ipotesi si attaglia perfettamente alla fattispecie concreta caratterizzata, secondo la ricostruzione effettuata dai giudici d’appello, dalla natura fittizia dell’interposizione della ditta emittente la cui finalità era solo quella di consentire ai cessionari un indebito risparmio dell’Iva che la stessa non versava, sfruttando anche la finzione di essere esportatore abituale.

In merito allo ius superveniens rappresentato dall’articolo 8 del Dl 16/2012, la Corte di legittimità, richiamando la sentenza 40559/2012, precisa che nessun effetto di depenalizzazione può essere ricondotto alla disposizione citata, che si è limitata a precisare una regola per le procedure di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi, stabilendo che non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione. Ciò non ha alcun riflesso sulle disposizioni penali relative all’incriminazione di condotte fraudolente.

In altre parole, secondo l’interpretazione dei giudici di legittimità, una cosa è l’aspetto strettamente tributario per cui, in virtù del nuovo quadro normativo, l’indeducibilità non trova applicazione per i costi e le spese esposti in fatture che riferiscono l’operazione a soggetti diversi da quelli effettivi (sempre che ricorrano i requisiti generali del costo, ovvero certezza, inerenza e oggettiva determinabilità), altra cosa è l’aspetto penale che non ha risentito della predetta modifica normativa.
Nessun richiamo si rinviene infatti nel Dl 16/2012 al Dlgs 74/2000 e, in particolare, alla definizione di operazioni soggettivamente inesistenti: se ne deve desumere, si legge nella pronuncia in commento, la volontà del legislatore di lasciare inalterato il livello di tutela penale.

Francesco Brandi

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