Credito d’imposta illegittimo. Inutile invocare la buona fede
Questo il principio di diritto desumibile dalla sentenza della Corte di cassazione n. 13755, depositata lo scorso 31 maggio.
I fatti di causa
Una cooperativa di facchinaggio impugnava un avviso di accertamento per il recupero del credito d’imposta per l’incremento della base occupazionale e l’irrogazione delle relative sanzioni.
Il recupero era stato operato in ragione del fatto che diversi dipendenti risultavano non essere in possesso di uno dei requisiti necessari per ottenere l’agevolazione. Più in particolare, si trattava di soggetti che, nei 24 mesi antecedenti l’assunzione presso la cooperativa, avevano intrattenuto rapporti di lavoro a tempo indeterminato.
La Commissione tributaria provinciale respingeva il ricorso.
Di diverso avviso la Ctr, che lo accoglieva parzialmente, annullando le sanzioni.
I giudici del gravame ritenevano le sanzioni non dovute, sulla scorta dell’operatività dell’articolo 6 del Dlgs 472/1997, che esclude la “responsabilità in caso di violazione per errore di fatto ovvero quando l’errore non è determinato da colpa“.
Più nello specifico, per i giudici di seconda istanza, la colpa era da escludere poiché la ricorrente aveva preteso dai lavoratori interessati il rilascio di una dichiarazione sostitutiva, con cui essi si assumevano una precisa e personale responsabilità in ordine alla circostanza di non aver avuto pregressi rapporti di lavoro nei 24 mesi antecedenti l’assunzione. Era stato altresì accertato che la cooperativa si era attivata, seppure successivamente alla notifica del processo verbale di constatazione, a interpellare anche i competenti Centri per l’impiego per effettuare le dovute verifiche.
Il ricorso e la decisione della Suprema corte
L’Agenzia delle Entrate eccepiva, fra i motivi principali di doglianza, l’inapplicabilità dell’articolo 6 che, ai fini dell’esclusione della responsabilità, presuppone essenzialmente che l’errore di fatto non sia stato determinato da colpa del contribuente. Fattispecie, per la ricorrente, non riscontrabile nel caso di specie.
La Cassazione ha accolto le ragioni dell’Agenzia.
I giudici di legittimità hanno evidenziato che la sanzione amministrativo-tributaria è configurabile allorquando, ai sensi dell’articolo 5 del Dlgs 472/1997, sia imputabile in capo all’agente sia la volontarietà del comportamento sia la colpevolezza.
Secondo la Corte regolatrice, è peraltro pacifico che, una volta dimostrata la volontarietà del comportamento, ai fini dell’irrogazione della sanzione non è necessario dimostrarne la colpa o il dolo. Residua invece a carico dell’agente l’onere di provarne l’assenza.
I giudici hanno riconosciuto che, ai sensi dell’articolo 6, la responsabilità può essere esclusa se vi è errore o falsa rappresentazione della realtà all’interno del processo formativo della volontà dell’agente, ma soltanto ove ciò non sia associabile a un comportamento colposo da parte dell’agente.
L’errore non è scusabile secondo la Corte se “si tratti di errore evitabile con l’uso dell’ordinaria diligenza, quella che si può ragionevolmente pretendere dal soggetto agente”.
Nel caso di specie, la contribuente è stata negligente, poiché è venuta meno ai suoi doveri. Infatti, secondo i giudici di legittimità, “l’impresa, che invoca il credito d’imposta e ne fruisce, deve operare un necessario controllo, verificando se effettivamente sussistano, a quel momento, tutte le condizioni (soggettive ed oggettive) necessarie per fruire del credito d’imposta dalla stessa esposto in dichiarazione, non potendo essere rimessa la verifica ad un’epoca addirittura successiva al controllo dell’amministrazione finanziaria”.
Ulteriori considerazioni
L’articolo 5 del Dlgs 472/1997 introduce, nell’ambito del sistema sanzionatorio tributario, il cosiddetto principio di colpevolezza, secondo cui può essere sanzionata la violazione della norma tributaria cagionata con un’azione o omissione cosciente, sempreché compiuta con dolo o colpa.
Sul piano applicativo, la problematica di maggiore interesse concerne essenzialmente il tema della prova della colpevolezza.
In ambito processuale, è oramai consolidato il principio per cui l’Amministrazione finanziaria non ha l’onere di provare la colpevolezza del contribuente, ma è quest’ultimo a dover provare l’assenza di colpa se vuole evitare l’applicazione della sanzione (Cassazione, sentenze 22890/2006, 12331/2003 e 10607/2003). Per l’Amministrazione, invece, è sufficiente provare che il soggetto abbia violato il precetto imposto dalla norma-sanzionatoria.
In tema d’illeciti tributari, dunque, la colpa si presume a carico di colui che ha violato con coscienza la norma sanzionata, a meno che questi riesca a provare il contrario ossia di non aver adottato un comportamento imprudente, negligente ovvero imperito.