Patteggiamento e confisca. Una convivenza doverosa
Il fatto
A seguito di omesso versamento entro il 27 dicembre dell’Iva riferita all’anno d’imposta precedente, per un importo superiore alla soglia di punibilità (50mila euro), un imprenditore veniva imputato del reato previsto dall’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000, a cui il tribunale aveva applicato la pena stabilita dall’accordo delle parti, ai sensi dell’articolo 444 cpp (“patteggiamento”), senza tuttavia disporre la confisca obbligatoria, di cui all’articolo 322-ter codice penale, dei beni che costituivano il profitto del reato, ovvero di beni, di cui l’imputato ha la disponibilità, per un valore corrispondente a quello del profitto del reato (il contribuente aveva patteggiato accordandosi anche sulla confisca, che non avrebbe dovuto essere disposta).
Per questo motivo, la sentenza viene opposta in Cassazione dal procuratore generale presso la Corte d’appello, denunciando violazione dell’articolo 10-ter del Dlgs 74/2000 in relazione all’articolo 322-ter codice penale, mentre la difesa dell’imputato ne deduceva manifesta infondatezza per non essersi proceduto preventivamente al sequestro dei beni dell’imputato, né essendo possibile nella sede di merito l’individuazione di quelli da sottoporre alla misura ablatoria.
La decisione
Nel decidere la vertenza, la Suprema corte accoglie il ricorso, stabilendo – con orientamento nuovo – il principio che la confisca sul profitto del reato e cioè sull’intero ammontare dell’imposta evasa può essere disposta anche in caso di patteggiamento.
Sono molti i principi di diritto affermati dalla giurisprudenza di legittimità sull’argomento e applicati in questa vicenda; in particolare:
- la norma di cui all’articolo 322-ter-codice penale, introdotta dall’articolo 1, comma 143, della legge n. 244/2007, in relazione ad alcuni reati in materia d’imposte sui redditi (Cassazione 1893/2011) e di Iva (Cassazione 6293/2010), trova applicazione nei reati tributari non solo nel primo ma anche nel secondo comma, potendosi, di conseguenza, utilizzare l’istituto della confisca per equivalente non soltanto in relazione al prezzo, ma anche al profitto del reato (Cassazione 35807/2010)
- nel caso di omesso versamento delle somme dovute a titolo di Iva, il profitto del reato, suscettibile di confisca per equivalente, coincide perfettamente con l’ammontare dell’Iva non versata, sicchè non sussiste la necessità di alcun accertamento in ordine alla quantificazione del profitto del reato (cfr Cassazione 19099/2013)
- in riferimento al reato di omesso versamento di ritenute certificate di cui all’articolo 10-bis, Dlgs 74/2000 (richiamato dall’articolo 10-ter), il prezzo o il profitto del reato, ai fini della confisca, coincide con l’importo delle ritenute non versate (Cassazione 45735/2012)
- la confisca deve essere disposta, oltre che nel caso di condanna, anche in quello di applicazione della pena su richiesta, a nulla rilevando che essa non abbia costituito oggetto dell’accordo tra le parti (Cassazione 20046/2011).
Ciò posto, deve osservarsi che, quando si procede per un reato che comporta la confisca di beni o valori, non può accogliersi la richiesta di applicazione della pena, formulata dalle parti ai sensi dell’articolo 444 cpp, che non comprenda anche l’accordo sull’oggetto della confisca o comunque non consenta la determinazione certa di tale oggetto da parte del giudice (Cassazione 12508/2010).
La circostanza che alcuni tipici effetti della sentenza di condanna vengano fatti salvi, nel senso che non possono costituire oggetto di patteggiamento, è un ulteriore indice della natura allogena della sentenza di patteggiamento rispetto alla sentenza di condanna tout court. La suddetta precisazione consente di affermare che la sentenza di patteggiamento è una sentenza vincolata relativamente al trattamento sanzionatorio (nel senso che il capo della condanna deve rispecchiare fedelmente l’accordo intervenuto fra le parti) contrariamente al capo relativo alle pene accessorie, alle misure di sicurezza e alla confisca, rispetto alle quali la discrezionalità del giudice si riespande come in una normale sentenza di condanna (Cassazione 19945/2012).
In questo contesto non è, quindi, da trascurare neppure il comma 3 dell’articolo 322-ter del codice penale, secondo cui il giudice, con la sentenza di condanna, determina le somme di danaro o individua i beni assoggettati a confisca in quanto costituenti il profitto o il prezzo del reato ovvero in quanto di valore corrispondente al profitto o al prezzo del reato.
Secondo la soluzione ermeneutica prospettata dalla Cassazione, si tratta senza dubbio di disposizione applicabile anche alla sentenza di patteggiamento, risultando altrimenti in contrasto con i primi due commi dell’articolo 322-ter del codice penale.
Sicché, in definitiva, l’accordo con il giudice non può assolutamente compromettere le pene accessorie.