Evoluzione delle forme associative dell’attività professionale (4)
Il Dm attuativo chiude – in qualche misura – un iter complesso e dagli esiti anche contraddittori, inaugurato con la “società di avvocati” (ex Dlgs n. 96/2001) e proseguito con le leggi “Bersani” (legge n. 266/1997 e decreto legge n. 223/2006).
La legge 183/2011, infatti, ha introdotto definitivamente nel nostro ordinamento la figura della “società tra professionisti”, con la possibilità di scegliere – senza più limitazioni – tra i modelli societari previsti dal codice civile, quindi, incluse le società di capitali e le società cooperative.Legge n. 183/2011 e Dm Giustizia n. 34/2013
Come si evince dalla ricostruzione normativa, e come premesso nella relazione illustrativa sullo schema di decreto ministeriale concernente “Regolamento in materia di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, ai sensi dell’articolo 10, comma 10, della legge 12 novembre 2011, n. 183”, le disposizioni dell’articolo 10, commi da 3 a 11, della legge 183/2011, si inseriscono in un contesto normativo che già legittima l’esercizio di attività professionali regolamentate nella forma collettiva (associazioni professionali e specifici modelli societari).
La nuova disposizione, trova, infatti, legittimazione nell’ambito della normativa comunitaria (“direttiva servizi” 2006/123/Ce) e internazionale, per le quali le professioni vengono ascritte fra le attività produttrici di servizi, e nell’inconfutabile “principio metagiuridico” (condiviso dal legislatore nazionale), secondo cui la concorrenza fra professionisti richiede una diffusione crescente del bacino di offerta e delle garanzie di tempestività e continuità che presuppongono una struttura organizzativa e una dotazione di mezzi di cui difficilmente il professionista individuale può disporre.
La compatibilità con la Carta costituzionale viene altresì chiarita dalla citata relazione illustrativa: “l’interpretazione preferibile dell’articolo 33, quinto comma, della Costituzione, che impone l’esame di Stato per l’abilitazione all’esercizio della professioni regolamentate, è quella che si basa su una distinzione concettuale fra esercizio della professione ed esecuzione della prestazione professionale. Il primo può essere svolto in forma individuale ma anche in forma associata e comune. La seconda può essere svolta esclusivamente dalla persona fisica del professionista abilitato. Da tale distinzione deriva la compatibilità con la disposizione“.
La “riforma degli ordini professionali e società tra professionisti” è contenuta nell’articolo 10 della legge n. 183/2011.
Già da una prima, veloce, lettura risalta come il legislatore abbia assolutamente ignorato qualsiasi riferimento agli aspetti di tipo fiscale e previdenziale, trascurando la fondamentale importanza che riveste la questione, soprattutto se si considera il rilievo che può assumere l’attrazione del reddito nel reddito di impresa o in quello di lavoro autonomo e facendo così ritenere, da più parti, che la normativa non abbia creato una nuova forma societaria, ma si sia semplicemente limitata a eliminare un divieto risalente al 1939.
Tale dato è stato evidenziato nella relazione illustrativa del regolamento 34/2013 che riporta: “Ancora, restano estranei all’oggetto del provvedimento illustrato, per assenza di riferimenti nella normativa primaria, i profili fiscale e previdenziale delle società professionali, aspetti che trovano adeguata regolamentazione legislativa per talune professioni (ingegneri, architetti) e che, quanto agli avvocati, sono stati di recente esplicitamente trattati dalla citata riforma ordina mentale”.
Proseguiremo l’illustrazione della disciplina civilistica delle nuove Stp nel paragrafo che segue, insieme alla trattazione delle disposizioni del già citato regolamento di attuazione che regola e integra la norma primaria, relativamente ai temi delle modalità di esecuzione dell’incarico professionale (capo II), del regime dell’incompatibilità (capo III) e del regime disciplinare (capo IV).
Dm Giustizia n. 34/2013: le norme di attuazione
Abbiamo visto che, nel delineare gli elementi essenziali della disciplina primaria delle società tra professionisti, la citata disposizione, al comma 10, rimette alla regolamentazione secondaria la disciplina di materie individuate mediante il richiamo a sezioni interne del medesimo articolo.
L’assenza del previsto decreto interministeriale, emanato solo quest’anno, ha determinato l’inapplicabilità della suddetta normativa, ritenendosi che le parti mancanti fossero talmente essenziali, anche se rimesse a una norma secondaria, da escludere la possibilità di costituire società tra professionisti.
L’articolato dell’atteso regolamento è ripartito in quattro Capi (Disposizioni generali – Conferimento ed esecuzione dell’incarico professionale – Partecipazione alla società tra professionisti – Iscrizione all’albo professionale e regime disciplinare).
Il Capo I contiene le disposizioni definitorie e le disposizioni concernenti l’ambito applicativo del regolamento.
Le prime (articolo 1) recano le definizioni di società tra professionisti e di società multidisciplinare:
“1. Ai fini del presente regolamento, si intende per :
a) “società tra professionisti” o “società professionale”: la società, costituita secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile e alle condizioni previste dall’articolo 10, commi da 3 a 11, della legge 12 novembre 2011, n. 183, avente ad oggetto l’esercizio di una o più attività professionali per le quali sia prevista l’iscrizione in appositi albi o elenchi regolamentati nel sistema ordinistico”
b) “società multidisciplinare”: “la società tra professionisti costituita per l’esercizio di più attività professionali ai sensi dell’articolo 10, comma 8, della legge 12 novembre 2011, n. 183”.
Le seconde (articolo 2) specificano – delimitandone l’ambito di applicazione – che le disposizioni contenute nel regolamento “si applicano alle società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico, la cui costituzione è consentita ai sensi dell’articolo 10, commi da 3 a 11, della legge 12 novembre 2011, n. 183” e che, per le associazioni professionali e le società tra professionisti costituite secondo modelli vigenti alla data di entrata in vigore della legge di cui al comma 1, resta ferma l’applicazione dell’articolo 10, comma 9, della medesima legge.
A tal proposito, la più volte richiamata relazione illustrativa spiega che “Il Consiglio di Stato, nell’esprimere il previsto parere (n. 3127/2012 adunanza della Sezione consultiva degli atti normativi del 7 giugno 2012) conferma che la fonte regolamentare non investe la disciplina delle associazioni professionali, né delle società tra professionisti costituite secondo modelli esistenti anteriormente alla legge n. 183/2011, rilevando tuttavia che il decreto illustrato non è chiamato a prendere posizione espressamente sulla non applicabilità del provvedimento ai predetti enti”. Da qui, la riformulazione del comma 2 della disposizione in esame che fa salve le associazioni professionali e i modelli societari già vigenti alla data di entrata in vigore della medesima legge, anche se la normativa di riferimento, che era contenuta nella legge n. 1815/1939, è stata espressamente abrogata.
La relazione, esemplificando, chiarisce che “resta immutato il regime delle società di ingegneria, come disciplinate dall’articolo 90, comma 2, lettera b) del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, che sono costituite nelle forme codicistiche della società di capitali o della società cooperativa, senza che, per tali modelli già previsti dall’ordinamento, valgano i limiti di partecipazione al capitale, da parte di soci non professionisti, come invece espressamente stabilito dall’articolo 10, comma 4, lettera b), della legge n. 183/2011. Sotto altro profilo, in punto di ambito applicativo, va evidenziato che, medio tempore, è stata approvata la nuova disciplina dell’ordinamento della professione forense con legge 31 dicembre 2012, n. 247, che, all’articolo 5, reca delega al Governo per la disciplina dell’esercizio della professione di avvocato in forma societaria. Analogamente, sempre in relazione all’ambito di applicazione del regolamento, deve ritenersi che lo svolgimento di pubbliche funzioni, quale quella notarile, non può costituire oggetto di attività in forma societaria”.
Il conferimento dell’incarico
Al fine di garantire quanto richiesto dall’articolo 10, comma 4, lettera c), legge 183/2011, e sulla base del presupposto che le prestazioni intellettuali oggetto dell’incarico medesimo possono essere eseguite solo dal socio in possesso dei requisiti richiesti per l’esercizio della professione, il regolamento (articolo 4) prevede in capo alla società specifici obblighi di informazione verso il cliente.
Le informazioni, che possono essere fornite anche tramite il socio professionista, riguardano:
- il diritto del cliente di chiedere che l’esecuzione dell’incarico conferito alla società sia affidata a uno o più professionisti da lui scelti; a tal fine la società deve consegnare al cliente l’elenco scritto dei singoli soci professionisti, con l’indicazione dei titoli o delle qualifiche professionali di ciascuno di essi, nonché l’elenco dei soci con finalità d’investimento
- la possibilità che l’incarico professionale conferito alla società sia eseguito da ciascun socio in possesso dei requisiti per l’esercizio dell’attività professionale
- l’esistenza di situazioni di conflitto d’interesse tra cliente e società, che siano anche determinate dalla presenza di soci con finalità d’investimento.
L’articolo 5, poi, sempre in attuazione del principio della personalità dell’esecuzione della prestazione anche in caso di incarico conferito a una società tra professionisti, regola l’ipotesi in cui il professionista designato si avvalga della collaborazione di sostituti e ausiliari garantendo al cliente, cui i nominativi dei collaboratori sono comunicati, la facoltà di esprimere il proprio dissenso entro tre giorni dalla comunicazione.
Inoltre, in accoglimento dell’indicazione rivolta dal Consiglio di Stato, è stato disposto che la sostituzione professionale sia possibile solo in relazione ad attività che siano connotate da sopravvenute esigenze non prevedibili.
La prova dell’adempimento degli obblighi di informazione prescritti e il nominativo del professionista o dei professionisti eventualmente indicati dal cliente devono risultare da atto scritto.
La partecipazione alla società tra professionisti
In linea generale, l’incompatibilità di cui all’articolo 10, comma 6, legge 183/2011 (“partecipazione del socio a più società professionali”) è prevista espressamente anche nel caso della società multidisciplinare e si applica per tutta la durata della iscrizione della società all’ordine di appartenenza.
La domanda che i primi commentatori si sono posti, e cioè se la norma introduca un’incompatibilità estesa a tutti i soci o solo ai soci di capitale, trova risposta nella relazione illustrativa sullo schema di decreto ministeriale che afferma: “La fonte regolamentare non può che lasciare all’interprete della norma primaria l’opzione circa la possibilità o meno di ritenere che tale norma sia idonea ad introdurre un’incompatibilità di partecipazione a più società tra professionisti estesa a tutti i soci (anche capitalisti), come suggerisce la lettera della disposizione, che non fa alcuna distinzione, ovvero se detta limitazione sia riferibile ai soli soci professionisti”.
Di seguito, il comma 3 prevede le cause di incompatibilità del socio per finalità d’investimento, specificando che questi può far parte di una società professionale solo quando:
- sia in possesso dei requisiti di onorabilità, tra cui la mancata applicazione, anche in primo grado, di misure di prevenzione personali o reali, previsti per l’iscrizione all’albo professionale cui la società è iscritta
- non abbia riportato condanne definitive per una pena pari o superiore a due anni di reclusione per la commissione di un reato non colposo e salvo che non sia intervenuta riabilitazione
- non sia stato cancellato da un albo professionale per motivi disciplinari.
Analogamente, la norma sottolinea l’applicabilità delle incompatibilità anche ai legali rappresentanti e agli amministratori delle società che rivestono la qualità di socio per finalità d’investimento di una società professionale. All’articolo 7, poi, per i professionisti soci, distintamente precisa che sono tenuti all’osservanza del codice deontologico del proprio ordine e, per le società, che sono soggette anch’esse al regime disciplinare dell’ordine al quale risultino iscritte.
La norma non prevede modalità procedimentali volte ad accertare la situazione di incompatibilità e a rimuovere la stessa né indica le conseguenze che il verificarsi della situazione di incompatibilità comporta. In particolare, seppure l’integrazione fosse stata suggerita dal Consiglio di Stato, la relazione al regolamento spiega l’impossibilità di intervenire in tal senso: “in merito alla disciplina delle conseguenze che il verificarsi della situazione di incompatibilità comporta, aspetto del tutto assente nel tessuto della norma primaria e che non pare possa essere introdotto dal regolamento in questione. (…) È sicuramente da escludere che il decreto possa introdurre una causa di scioglimento della società o di esclusione del socio, né pare consentito, in assenza di una disposizione di rango primario, imporre al notaio un obbligo di accertamento della causa di incompatibilità. Ancora, sulla possibilità di reazione endordinamentale (v. art. 11 dello schema), per cui, in conseguenza dell’iscrizione all’albo della società, s’impone un controllo del requisito dell’incompatibilità sul piano deontologico, va preso atto che tale profilo non costituisce oggetto di disciplina diretta da parte del decreto, nel silenzio della legge”.
Da qui, l’introduzione (comma 5) di una sanzione disciplinare per la società e per il socio professionista, regolata dagli ordinamenti professionali, nel caso di mancato rilievo della causa di incompatibilità o di mancata rimozione della stessa, incompatibilità che può essere desunta dalle risultanze degli albi, oltre che del registro delle imprese.
Iscrizione della società nel registro delle imprese e regime disciplinare
Ai fini della verifica dell’incompatibilità definita nell’articolo 6, l’articolo 7 del regolamento – oltre che con finalità di certificazione anagrafica e di pubblicità – prevede l’iscrizione della società nel registro delle imprese, in particolare nella sezione speciale istituita ai sensi dell’articolo 16 del Dlgs n. 96/2001.
L’iscrizione all’albo professionale e il regime disciplinare
Le società tra professionisti devono essere iscritte al registro imprese delle Camere di commercio (articolo 7, comma 1) e, in aggiunta, alla sezione speciale dell’ordine d’appartenenza dei soci (articolo 8, commi 1 e 2).
Il Capo IV (articoli 8-12) regola l’iscrizione della società tra professionisti all’albo professionale e il loro regime disciplinare.
In proposito, l’articolo 8, comma 2, per le società multidisciplinari, prevede l’iscrizione presso l’albo o il registro dell’ordine o collegio professionale relativo all’attività espressamente individuata dai soci come “prevalente” nello statuto o nell’atto costitutivo. Come evidenziato nella relazione, “tale albo rappresenta l’unico albo della società professionale, residuando peraltro la possibilità che i professionisti non connotino un’attività dell’ente in misura prevalente, cosicché resta aperta l’opzione di una plurima iscrizione con conseguenti regimi concorrenti”.
La disciplina del capo IV prosegue dettagliando il procedimento con l’individuazione del consiglio dell’ordine o collegio professionale competenti (articolo 9) e stabilendo le modalità di adozione del provvedimento di diniego di iscrizione assunto dal consiglio dell’ordine o dal collegio professionale (articolo 10).
L’articolo 11 disciplina la cancellazione dall’albo per difetto sopravvenuto di un requisito previsto dalla legge o dal regolamento stesso. Viene richiamato il principio del contraddittorio da rispettare in siffatto procedimento e ipotizzato il caso della regolarizzazione effettuata dalla società entro il termine fissato in tre mesi dal momento in cui si è verificata la situazione di irregolarità. Contestualmente, viene mantenuto – in chiave puramente esplicativa – il maggior termine previsto dall’articolo 10, comma 4, lettera b), della legge n. 183/2011.
Riguardo alla responsabilità disciplinare, in chiusura, l’articolo 12, statuisce che:
- il professionista socio rimane vincolato al proprio codice deontologico e in base a esso risponde disciplinarmente
- la società è responsabile, come tale, secondo le regole deontologiche dell’ordine nel cui albo è iscritta
- che la responsabilità disciplinare della società concorre con quella del socio professionista (anche se iscritto ad altro albo rispetto a quello della società e, quindi, nell’ipotesi della Stp multidisciplinare) nel solo caso di violazione deontologica (anche di norma di statuto deontologico esterno alla Stp) ricollegabile a indicazioni direttamente impartite dalla società stessa.
– Evoluzione delle forme associative dell’attività professionale (3)