Tributaria

Iva su acquisti intracomunitari: detraibile solo se assolta a monte

image_mediumAi fini del riconoscimento del diritto allo scomputo dell’imposta, è necessario che gli obblighi sostanziali connessi al tributo siano stati puntualmente osservati

I commi 1 e 8 dell’articolo 40 del Dl n. 331/1993, nel testo vigente prima delle modifiche apportate dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del Dlgs n. 18/2010, prevedevano che gli acquisti di beni mobili intracomunitari venissero assoggettati a Iva in Italia quando detti beni venivano spediti o trasportati dal territorio di altro Stato membro nel territorio dello Stato e che, parimenti, fossero assoggettate a imposta nel territorio dello Stato le operazioni di intermediazione in dette vendite, rese a favore di soggetti Iva residenti.
Con riferimento alle cennate operazioni, l’acquirente del bene e/o il committente della prestazione di intermediazione doveva: numerare le fatture ricevute, integrarle indicando in euro (in precedenza in lire) gli elementi dell’imponibile espresso in valuta estera e l’ammontare dell’imposta, nonché annotarle nel registro delle fatture emesse (registro delle vendite) e in quello delle fatture ricevute (registro degli acquisti), così da dare vita a un credito Iva esattamente corrispondente all’imposta dovuta (articoli 17, comma 3, del Dpr n. 633/1972, e 46 del Dl n. 331/1993, entrambi nel testo vigente ratione temporis).

Nella fattispecie sottoposta all’attenzione della Corte suprema (sentenza n. 6925 del 20 marzo 2013), il contribuente aveva omesso l’annotazione delle fatture in entrambi i registri, procedendo, tuttavia all’esercizio della detrazione dell’Iva assolta sugli acquisti, mediante indicazione del relativo credito nella dichiarazione Iva.

Premesso che dalla lettura della pronuncia in epigrafe non risulta chiaro in che modo il contribuente abbia proceduto a esporre in dichiarazione un credito Iva relativo a un’operazione passiva non contabilizzata (posta la mancata annotazione della medesima nel registro degli acquisti), comunque – in tale stato di cose – la Corte di cassazione ha riconosciuto la legittimità del recupero dell’imposta scomputata in detrazione, operato dall’ufficio, rilevando nella fattispecie l’assenza di qualsivoglia violazione del principio di neutralità dell’Iva.

Come correttamente evidenziato dal Supremo collegio, infatti, il principio di neutralità dell’Iva impone che l’inosservanza da parte di un soggetto passivo delle formalità imposte da uno Stato membro non può privare il soggetto medesimo del suo diritto alla detrazione Iva, esercitato mediante annotazione a credito dell’imposta in dichiarazione; ferme restando le eventuali sanzioni previste per l’inosservanza degli obblighi formali.

Tuttavia, ai fini del riconoscimento del diritto alla detrazione, è pur sempre necessario che gli obblighi sostanziali connessi all’imposta in questione siano stati puntualmente osservati. Il che si traduce nella necessità che, a monte della detrazione, vi sia comunque stato il versamento dell’imposta dovuta (Corte di giustizia 8 maggio 2008, cause riunite C-95/07 e C-96/07; Cassazione 25 novembre 2011, n. 24912; Cassazione, 28 luglio 2010, n. 17588; Cassazione 9 ottobre 2009, n. 21457; Cassazione 20 agosto 2004, n. 16477 e 5 maggio 2010, n. 10819; in prassi: la risoluzione dell’Agenzia delle Entrate 6 marzo 2009, n. 56/E, ove è stato evidenziato che “è fatto salvo il diritto alle detrazioni si sensi dell’art.19 d.P.R. 26 ottobre 1972 n.633 quando l’imposta sia stata assolta, ancorché irregolarmente“).

Come si è detto, tuttavia, nella fattispecie sub iudice, il soggetto passivo non aveva provveduto ad annotare le operazioni in questione né nel registro degli acquisti né in quello delle vendite, comunque indicando nella dichiarazione annuale il credito d’imposta relativo all’Iva da scomputare in detrazione con riferimento alle operazioni medesime.

Secondo la Corte, quindi, il soggetto passivo, oltre a non aver rispettato gli obblighi formali imposti dalla normativa, non aveva altresì assolto gli obblighi sostanziali di versamento dell’imposta, cui avrebbe dovuto provvedere mediante l’annotazione delle operazioni nel registro delle vendite. In tale stato di cose, ad avviso del Supremo collegio, il diritto alla detrazione, esercitato mediante esposizione del relativo credito in dichiarazione, non può essere riconosciuto.

a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME

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