Contributi di malattia dovuti dal datore di lavoro all’INPS – Corte Costituzionale Sentenza 82/2013
Previdenza – Contributi di malattia dovuti dal datore di lavoro all’INPS – Obbligo di versamento del datore di lavoro, anche se tenuto, in base al contratto collettivo, a corrispondere la retribuzione durante il periodo di malattia – Esclusione, con norma di interpretazione autentica, per gli imprenditori che abbiano corrisposto il trattamento economico di malattia – Non ripetibilità di contributi versati anteriormente al 1° gennaio 2009.
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo originario;
dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, secondo periodo, dello stesso decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 18, comma 16, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 15 luglio 2011, n. 111
Corte Costituzionale Sentenza n. 82 del 09/05/2013
LA CORTE COSTITUZIONALE
composta dai signori: Presidente: Franco GALLO; Giudici : Luigi MAZZELLA, Gaetano SILVESTRI, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO,
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 6 agosto 2008, n. 133, promosso dalla Corte di cassazione nel procedimento vertente tra l’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) e la s.p.a. ASPES Multiservizi ed altra, con ordinanza del 28 giugno 2011, iscritta al n. 261 del registro ordinanze 2011 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 53, prima serie speciale, dell’anno 2011.
Visti gli atti di costituzione dell’INPS e della s.p.a. ASPES Multiservizi ed altra nonché l’atto di intervento della s.p.a. Metro Italia Cash and Carry e del Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nell’udienza pubblica del 27 febbraio 2013 il Giudice relatore Luigi Mazzella;
uditi gli avvocati Antonino Sgroi per INPS, Monica Grassi per la s.p.a. ASPES Multiservizi ed altra e l’avvocato dello Stato Vincenzo Rago per il Presidente del Consiglio dei ministri.
Ritenuto in fatto
1.– Nel corso di un giudizio promosso dalla ASPES – Azienda Servizi Pesaresi (alla quale, nel corso del procedimento, sono succedute la s.p.a. ASPES e la s.p.a. ASPES Multiservizi) diretto ad ottenere dall’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) la restituzione, tra l’altro, dei contributi di malattia versati per il periodo febbraio 1990 – agosto 2000, la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento all’articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 1, «ultimo inciso» [rectius, secondo periodo], del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo in vigore prima della modifica apportata dall’art. 18, comma 16, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 15 luglio 2011, n. 111.
1.1.– A proposito della rilevanza della questione, la Corte rimettente espone che le parti private sostengono di non essere soggette all’obbligo contributivo per l’assicurazione contro le malattie, perché l’art. 6, secondo comma, della legge 11 gennaio 1943, n. 138 (Costituzione dell’Ente «Mutualità fascista – Istituto per l’assistenza di malattia ai lavoratori»), dispone che l’indennità di malattia posta a carico dell’ente previdenziale non è dovuta quando, come nel loro caso, il datore di lavoro è obbligato, in forza di legge o di contratto, a corrispondere ai dipendenti assenti per malattia un trattamento economico pari o superiore all’indennità di malattia stessa.
Il giudice a quo aggiunge che nelle more del giudizio è intervenuto l’art. 20, comma l, del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale ha dettato una norma di interpretazione autentica dell’art. 6, secondo comma, della legge n. 138 del 1943, secondo la quale, da un lato, i datori di lavoro che, per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, corrispondono ai dipendenti il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’INPS dall’erogazione dell’indennità di malattia, non sono tenuti al versamento della contribuzione per l’assicurazione contro le malattie e, dall’altro, le contribuzioni comunque già versate e relative a periodi precedenti al 1° gennaio 2009 restano acquisite alla gestione e quindi non sono suscettibili di ripetizione.
La Corte rimettente afferma che, per decidere la controversia, deve fare applicazione appunto dell’ultima parte della predetta disposizione, cioè di quella che esclude la ripetibilità dei contributi già versati.
1.2.– Quanto alla non manifesta infondatezza della questione, il giudice a quo premette che l’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008 è stato oggetto di scrutinio da parte della Corte costituzionale, essendo stato sospettato di violare l’art. 3, primo comma, Cost., in quanto, sebbene formulato come una norma di interpretazione autentica, costituirebbe in realtà una legge-provvedimento e perché irragionevolmente premierebbe i datori di lavoro inadempienti e discriminerebbe quelli che hanno tempestivamente versato i contributi dovuti.
La sentenza n. 48 del 2010 ha tuttavia dichiarato non fondata la questione e il rimettente ricorda come in quell’occasione la Corte costituzionale abbia precisato che oggetto della censura (e dunque dello scrutinio di costituzionalità) era non già la seconda parte del comma 1 dell’art. 20 del decreto-legge n. 112 del 2008 (quella che esclude la ripetibilità dei versamenti eseguiti prima del 2009), bensì la sola prima parte del comma suddetto (quella che contiene la norma di interpretazione autentica per effetto della quale non sono dovuti i contributi da parte delle imprese che erogano la retribuzione ai dipendenti in malattia); così limitato l’oggetto dello scrutinio, la questione non era fondata, poiché l’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008 non può essere qualificato come legge-provvedimento, riferendosi ad un numero indeterminato di destinatari e non concernendo un oggetto rientrante tra quelli propri dei provvedimenti amministrativi, né opera una sanatoria di comportamenti illeciti, ma introduce una nuova disciplina del contributo previdenziale relativo all’assicurazione contro le malattie e, pertanto, costituisce espressione della discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione dell’obbligazione contributiva. La stessa Corte costituzionale ha poi affermato – sempre secondo il rimettente – che in tale discrezionalità rientra anche la contestuale estensione retroattiva della nuova disciplina, la cui legittimità costituzionale non è inficiata dalla previsione dell’irripetibilità delle contribuzioni versate per i periodi anteriori al 1° gennaio 2009, perché l’irripetibilità di quanto pagato prima dell’entrata in vigore del più favorevole regime dell’obbligazione contributiva non determina, di per sé, l’illegittimità dell’efficacia retroattiva di tale nuovo regime.
La rimettente aggiunge che nell’ultimo capoverso della motivazione della sentenza n. 48 del 2010, la Corte costituzionale ha peraltro precisato che restava impregiudicata qualsiasi valutazione sulla legittimità dell’esclusione della restituzione delle somme già versate a titolo di contributi di malattia, prevista nella parte della disposizione che essa rimettente deve applicare nel giudizio principale.
Tale parte dell’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, ad avviso della Corte di cassazione, vìola l’art. 3 Cost., poiché introduce un’irragionevole disparità di trattamento, ponendo i soggetti che hanno correttamente adempiuto all’obbligo di versare i contributi in una condizione di oggettivo pregiudizio rispetto a quanti, contravvenendo al dettato normativo, hanno omesso il medesimo versamento.
Tale effetto, inoltre, non potrebbe qualificarsi come meramente accidentale o di fatto, discendendo direttamente dal portato normativo della disposizione di interpretazione autentica. Né a evitare la violazione del principio di eguaglianza potrebbero valere considerazioni metagiuridiche quali il prevedibile contenzioso derivante dall’eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale della norma ovvero il connesso onere finanziario che deriverebbe dalla restituzione, da parte dell’INPS, dei contributi a suo tempo versati. Tali argomenti, infatti, non potrebbero giustificare una palese disparità di trattamento.
2.– Nel giudizio di costituzionalità si sono costituite la s.p.a. ASPES e la s.p.a. ASPES Multiservizi le quali hanno concluso chiedendo che la questione sia dichiarata fondata.
A sostegno della rilevanza e della fondatezza della questione le due società svolgono argomentazioni analoghe a quelle contenute nell’ordinanza di rimessione.
Aggiungono che la questione è ammissibile perché, anche se la Corte costituzionale si è già pronunciata in due occasioni sull’art. 20, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, essa non ha mai valutato la legittimità della seconda parte del predetto comma, il quale prevede la mancata restituzione dei contributi versati pur in difetto del relativo obbligo.
3.– Anche l’INPS si è costituito ed ha chiesto che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.
L’ente previdenziale rileva preliminarmente che la norma censurata è stata modificata dall’art. 18, comma 16, lettera b), del decreto-legge n. 98 del 2011, il quale ha stabilito che i contributi definitivamente acquisiti alla gestione previdenziale e irripetibili sono quelli versati per periodi anteriori al 1° maggio 2011 (e non più al 1° gennaio 2009, come previsto dal testo originario della norma). Inoltre, lo stesso art. 18, comma 16, ha introdotto nell’art. 20 del decreto-legge n. 112 del 2008 il comma 1-bis, secondo il quale «A decorrere dal 1° maggio 2011, i datori di lavoro di cui al comma 1 sono comunque tenuti al versamento della contribuzione di finanziamento dell’indennità economica di malattia in base all’articolo 31 della legge 28 febbraio 1986, n. 41, per le categorie di lavoratori cui la suddetta assicurazione è applicabile ai sensi della normativa vigente». L’INPS evidenzia che il giudice a quo non ha potuto tener conto di tali modificazioni, perché esse sono intervenute dopo il deposito dell’ordinanza di rimessione.
Nel merito, l’istituto previdenziale deduce che la questione non è fondata, poiché il legislatore ha inserito, in seno ad una disposizione di interpretazione autentica, una regola a valenza generale diretta a far salvi i versamenti contributivi eseguiti prima dell’entrata in vigore della disposizione esonerativa. Al riguardo l’INPS menziona altri casi in cui il legislatore ha introdotto norme analoghe a quella oggetto della presente questione: l’art. 9-bis del decreto-legge 29 marzo 1991, n. 103 (Disposizioni urgenti in materia previdenziale), convertito in legge dall’art. 1 della legge 1° giugno 1991, n. 166, e l’art. 1, comma 13, della legge 3 marzo 1987, n. 61 (Modificazioni ed integrazioni della legge 6 dicembre 1971 n. 1084, per la disciplina del Fondo di previdenza per il personale dipendente da aziende private del gas).
4.– È intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale ha concluso chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.
A sostegno di tale richiesta, la difesa dello Stato sostiene che, nel rispetto del principio di certezza e definitività dei rapporti giuridici, il legislatore ha ragionevolmente ritenuto opportuno consolidare le situazioni contributive già definite attraverso lo spontaneo adempimento da parte dei datori di lavoro. La previsione della ripetibilità dei contributi avrebbe invece pregiudicato le posizioni contributive già acquisite dai lavoratori, in violazione del principio solidaristico sotteso al sistema assicurativo.
Il Presidente del Consiglio dei ministri aggiunge che le posizioni di quanti hanno versato i contributi e quelle di coloro che invece hanno contestato di dover adempiere sono tra loro differenziate; infatti, i primi, al contrario dei secondi, hanno manifestato un comportamento incompatibile con la volontà di ritenersi esonerati dall’adempimento di cui trattasi.
5.– Nel giudizio di legittimità costituzionale è intervenuta la s.p.a. Metro Italia Cash and Carry chiedendo che la norma censurata sia dichiarata illegittima.
Preliminarmente, la società sostiene di aver diritto ad intervenire nel presente giudizio di costituzionalità alla luce delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale approvate con delibera del 7 ottobre 2008 e, in particolare, dell’art. 4 di tali norme. Infatti, essa ha versato all’INPS i contributi per malattia relativi agli anni dal 1994 al 1998, contemporaneamente corrispondendo ai propri dipendenti il trattamento di malattia in esecuzione di un contratto collettivo integrativo aziendale sottoscritto il 1° ottobre 1993. Pertanto, nel caso in cui l’art. 20, comma 1, ultimo inciso, del decreto-legge n. 112 del 2008 fosse dichiarato illegittimo, essa sarebbe legittimata ad ottenere la restituzione delle somme versate.
Nel merito, la s.p.a. Metro Cash and Carry afferma che la norma censurata vìola l’art. 3 Cost., sia sotto il profilo dell’irragionevole disparità di trattamento tra datori di lavoro che hanno versato i contributi e quelli che invece non li hanno pagati, sia in considerazione della posizione di sfavore in cui si trovano i creditori che, avendo ricevuto il pagamento di somme non dovute, sono tenuti alla loro restituzione, rispetto all’INPS, il quale invece ha il diritto di trattenere i contributi per legge non dovuti.
6.– In prossimità dell’udienza di discussione la s.p.a. Metro Cash & Carry ha depositato una memoria nella quale ha ribadito la sussistenza del proprio interesse ad intervenire nel presente giudizio di costituzionalità.
Nel merito ha affermato che la norma censurata contrasta con i principi di uguaglianza e di ragionevolezza e ha dedotto l’infondatezza delle argomentazioni svolte dall’INPS e dal Presidente del Consiglio dei ministri nei rispettivi atti di costituzione circa norme analoghe a quella oggetto del presente giudizio delle quali sarebbe stata ritenuta la legittimità costituzionale. In particolare, la difesa della società interveniente ha sostenuto l’inconferenza del riferimento alla sentenza della Corte costituzionale n. 292 del 1997.
Considerato in diritto
1.– La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell’articolo 20, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo in vigore prima della modifica apportata dall’art. 18, comma 16, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 15 luglio 2011, n. 111.
La Corte rimettente deduce che la norma censurata, disponendo che «Restano acquisite alla gestione e conservano la loro efficacia le contribuzioni comunque versate per i periodi anteriori alla data del 1° gennaio 2009», nonostante che il primo periodo dello stesso art. 20, comma 1, preveda che «Il secondo comma dell’art. 6, della legge 11 gennaio 1943, n. 138, si interpreta nel senso che i datori di lavoro che hanno corrisposto per legge o per contratto collettivo, anche di diritto comune, il trattamento economico di malattia, con conseguente esonero dell’Istituto nazionale della previdenza sociale dall’erogazione della predetta indennità, non sono tenuti al versamento della relativa contribuzione all’Istituto medesimo», vìola l’art. 3 della Costituzione, poiché è fonte di un’irragionevole disparità di trattamento, ponendo i soggetti che hanno correttamente adempiuto all’obbligo di versare i contributi in una condizione di oggettivo pregiudizio rispetto a quanti, contravvenendo al dettato normativo, hanno omesso il medesimo versamento.
2.– Preliminarmente deve essere confermata l’ordinanza adottata nel corso dell’udienza pubblica, ed allegata alla presente sentenza, con la quale è stato dichiarato inammissibile l’intervento della s.p.a. Metro Italia Cash and Carry. Ciò in applicazione del consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, secondo cui, nel giudizio di legittimità costituzionale in via incidentale, non sono ammissibili gli interventi di soggetti che non siano parti nel giudizio a quo, né siano titolari di un interesse qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale dedotto in giudizio.
3.– La questione è fondata.
Come già rilevato da questa Corte (sentenza n. 48 del 2010), l’art. 20 del decreto-legge n. 112 del 2008 ha introdotto una nuova disciplina del contributo previdenziale relativo all’assicurazione contro le malattie. La norma ha, da un lato (innovando rispetto al diritto vivente) dichiarato non dovuti i contributi di malattia da parte dei datori di lavoro che corrispondono ai propri dipendenti il trattamento di malattia e, dall’altro, ha mantenuto fermi i pagamenti (a questo punto, indebiti) eventualmente già eseguiti a tale titolo da quei datori di lavoro.
Nella medesima occasione questa Corte ha affermato che la disposizione, nella parte in cui ha escluso la sussistenza dell’obbligo contributivo a carico dei datori di lavoro che corrispondono il trattamento di malattia, costituisce espressione della discrezionalità di cui gode il legislatore nella conformazione dell’obbligazione contributiva. Discrezionalità nella quale rientra anche la contestuale estensione retroattiva della nuova disciplina. Questa stessa Corte, in conformità con la sua precedente giurisprudenza (sentenza n. 292 del 1997), ha escluso che l’irripetibilità di quanto versato prima dell’entrata in vigore del nuovo, più favorevole, regime dell’obbligazione contributiva determinasse, di per sé, l’illegittimità dell’efficacia retroattiva di tale nuovo regime. Contemporaneamente ha fatto salva qualsiasi valutazione sulla legittimità dell’esclusione della restituzione delle somme già versate a titolo di contributi di malattia, prevista nella parte della norma non censurata in quella sede e, invece, oggetto della presente questione.
Orbene, come già affermato da questa Corte (sentenze n. 227 del 2009, n. 330 del 2007, n. 320 del 2005, n. 416 del 2000), sono illegittime, per violazione del principio di uguaglianza consacrato nell’art. 3 Cost., le disposizioni che, posta la non debenza di una determinata prestazione patrimoniale, prevedano l’irripetibilità di quanto sia stato versato nell’apparente adempimento della (in realtà inesistente) obbligazione. E questo è, appunto, il caso dell’art. 20, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge n. 112 del 2008, il quale deve dunque essere dichiarato costituzionalmente illegittimo.
4.– Successivamente alla pronuncia dell’ordinanza di rimessione, il legislatore è intervenuto a modificare l’art. 20 del decreto-legge n. 112 del 2008.
In particolare, con l’art. 18, comma 16, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 15 luglio 2011, n. 111, ha inserito nel predetto art. 20 il comma 1-bis, il quale ha reintrodotto, a carico dei datori di lavoro che corrispondono ai propri dipendenti il trattamento economico di malattia, l’obbligo di versare la contribuzione di finanziamento dell’indennità di malattia a decorrere dal 1° maggio 2011. Inoltre, con la lettera b) del citato art. 18, comma 16, ha modificato il secondo periodo del comma 1 dell’art. 20 (vale a dire proprio la disposizione oggetto della presente questione) stabilendo che restano acquisite alla gestione dell’INPS le contribuzioni versate per i periodi anteriori (non più al 1° gennaio 2009, bensì) al 1° maggio 2011.
Per effetto di questo intervento, quindi, ferma restando la norma di interpretazione autentica che escludeva l’obbligo per i datori di lavoro di versare i contributi se avessero provveduto a pagare il trattamento economico di malattia, tale obbligo è stato reintrodotto a partire dal 1° maggio 2011 e, contestualmente, è stato esteso (fino al 30 aprile 2011) il periodo in cui i contributi già versati (indebitamente, perché per il periodo precedente al maggio 2011 continua a valere la norma di interpretazione autentica che esclude l’obbligo di contribuzione) restano definitivamente acquisiti alle casse dell’INPS.
La normativa dettata dal decreto-legge n. 98 del 2011 non fa venir meno la rilevanza della questione sottoposta alla Corte, poiché il giudizio principale comunque deve essere deciso applicando l’art. 20 del decreto-legge n. 112 del 2008 nel testo precedente alle modifiche introdotte nel 2011.
Tuttavia, in base all’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), la dichiarazione di illegittimità costituzionale deve essere estesa all’art. 20, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge n. 112 del 2008 nel testo modificato dall’art. 18, comma 16, lettera b), del decreto-legge n. 98 del 2011. Infatti tale norma, spostando dal 31 dicembre 2008 al 30 aprile 2011 il termine finale del periodo di tempo al quale si riferiscono i contributi i cui versamenti (seppur non dovuti) restano comunque acquisiti all’INPS, si pone in un rapporto di inscindibile connessione con quella oggetto dell’ordinanza di rimessione ed è affetta dai medesimi vizi di legittimità costituzionale.
per questi motivi
LA CORTE COSTITUZIONALE
dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, secondo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 6 agosto 2008, n. 133, nel testo originario;
dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, secondo periodo, dello stesso decreto-legge n. 112 del 2008, nel testo modificato dall’art. 18, comma 16, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria), convertito in legge dall’art. 1 della legge 15 luglio 2011, n. 111.
Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 maggio 2013.
F.to:
Franco GALLO, Presidente
Luigi MAZZELLA, Redattore
Gabriella MELATTI, Cancelliere
Depositata in Cancelleria il 9 maggio 2013.