Serie A 35^ GIORNATA: Madama e sovrana
Per il secondo anno consecutivo e per la 29a volta nella sua fantastica storia, la Juventus è Campione d’Italia. Una marcia trionfale, un titolo mai in discussione, una vittoria ottenuta per manifesta superiorità e con ben tre turni di anticipo. I bianconeri festeggiano il successo nuovamente il 5 maggio (l’ultima volta 9 anni fa, fu lo scudetto delle lacrime di Ronaldo e della doppietta di Poborsky) e lasciano le briciole a tutte le altre squadre. Nella 35a di A, però, c’è un altro verdetto, molto più amaro: il Pescara, infatti, dopo appena un anno torna in cadetteria.
La prima gara del quartultimo turno del campionato è Chievo-Cagliari, due squadre ormai tranquille e alla ricerca di punti per ottenere l’aritmetica certezza di restare almeno un altro anno in Serie A. La partita, come ampiamente pronosticato alla vigilia, si chiude in parità: uno 0-0 che riassume quanto si è visto (cioè niente) al “Bentegodi”. Ci prova Sau per i sardi ma Puggioni è reattivo, Dramé trova i pugni di Agazzi mentre, nel finale, la botta di Nainggolan dalla distanza sibila alla destra del portiere clivense. Nessun gol, tanta noia e tanti sbadigli, ma alla fine il risultato accontenta entrambi gli allenatori.
In serata c’è un anticipo col dolce sapore dell’Europa al “Franchi” tra Fiorentina e Roma. Viola ancora in corsa per il terzo posto, mentre giallorossi alla disperata ricerca di punti per l’Europa League. La Roma comincia meglio sotto il profilo della personalità e nella prima mezz’ora staziona pericolosamente nella metà campo avversaria. Lamela e Totti provano a scambiare, Florenzi ad inserirsi, mentre Bradley e De Rossi attuano una tattica attendista. Chi più chi meno, ci provano tutti. L’unico malcapitato sembra Pablo Daniel Osvaldo, forse schiacciato dalle attenzioni che Firenze – sia per il suo passato che probabilmente per il suo futuro (leggasi mercato) – gli riserva. L’unico spunto degno di nota arriva al 27’ quando impegna Viviano con un tiro dai sedici metri. Meno pericoloso della punizione di Totti, arrivato dopo appena 4’, e del colpo di testa di Florenzi, che a due passi dalla riga di porta non riesce a impattare con precisione. La Fiorentina si rende pericolosa con il tiro di Borja Valero ribattuto dalla difesa, ma per il resto c’è solo Cuadrado: il colombiano prova a dare una scossa con le sue accelerazioni e taglia fuori la difesa romanista con una certa continuità, anche se non trova assistenza dai compagni. Solo nel finale, a seguito di una bella azione e della crescita del collettivo – attestato dal possesso palla e da soluzioni brillanti -, Jovetic ha l’opportunità di far male ma viene fermato dal doppio intervento di Lobont e palo. Il portiere, che poco prima era rimasto a terra dopo uno scontro aereo con Gonzalo Rodriguez (gomito troppo largo e conseguente gol dello Jo-Jo non convalidato), ritarda di qualche minuto la fine del primo tempo per le continue perdite di sangue. E nell’intervallo decide di non ri-uscire dal tunnel per una frattura al setto nasale. Dal tunnel però fatica a sbucare fuori tutta la squadra di Andreazzoli, quasi paralizzata di fronte alla fame della Fiorentina, che con il passare dei minuti ritrova i suoi uomini migliori. Pizarro e Borja Valero cavalcano l’onda di fine primo tempo e salgono fin sulla trequarti avversaria per dettare gioco e ritmo. Ljajic comincia ad accentrarsi e su una sua conclusione è bravissimo Goicoechea a spedire in angolo. Anche Jovetic mostra spirito di collaborazione. In generale, la Viola va al tiro alla media di una volta al minuto, senza trovare la porta. Solo rasoiate a fil di palo. La Roma, che davanti appassisce, trova nuova linfa con gli inserimenti di Pjanic e Marquinhos e il conseguente passaggio alla difesa a tre. Il risultato è quello di ridurre l’intensità della partita e fare visita a Viviano qualora se ne presenti l’occasione. La Fiorentina, che butta nella mischia anche Toni perché non può concedersi passi falsi, ha un ultimo sussulto con la legnata di Pizarro che colpisce il palo. Poche sgambate, si va dall’altra parte e Osvaldo stacca sull’angolo di Pjanic e insacca di testa nell’incredulità generale. È il sedicesimo gol in campionato, è il più pesante in assoluto. E qui se ne ricorderanno per molto tempo.
Continua a stupire e a sognare l’Udinese di Guidolin, che nell’anticipo di mezzogiorno e mezzo batte anche la Sampdoria e vede sempre più vicina la quota Europa League. Dopo mezz’ora di nulla, al 29’ arriva il vantaggio bianconero con la girata del solito Di Natale su assist di Domizzi. Passano appena altri cinque minuti e i blucerchiati trovano il pareggio con la bella conclusione dal limite di Eder. In avvio di ripresa, proprio quando la gara sembra bloccata, ci pensa nuovamente il capitano dell’Udinese a portare in vantaggio i suoi, sfruttando un perfetto lancio di Danilo per superare Romero in uscita con un delizioso tocco in lob. Nel finale il portiere argentino della Samp regala la terza rete ai friulani, passando di fatto il pallone al neo entrato Muriel che da pochi passi non può sbagliare per quello che è il 3-1 conclusivo.
Doveva essere 5 maggio e 5 maggio è stato. Proprio quel 5 maggio che ricorda alla Juve e agli juventini (specialmente) lo storico sorpasso in volata sull’Inter. Un simbolo che il caso ha voluto fosse la chiusura dello scudetto 2013. La Juve che batte il Palermo e va a mettere in tasca il tricolore numero 29 della sua lunga storia. Per i tifosi, poi, sarà lo “scudo” numero 31 (sul campo), ma questa è una faccenda che divide e che, all’economia spicciola della giornata, interessa relativamente. Il cammino degli uomini di Conte è stato quasi perfetto. Perfetto lo sarà se si riuscirà ad abbattere altri record. Se, per esempio, verrà agguantato lo storico “92 punti in classifica” contro i 91 della gestione Capello. E se arriveranno le 29 vittorie complessive che mancano, pensate, dalla stagione 1949/50. Nella testa del tecnico salentino c’è, insomma, ancora tanto da portare alla causa bianconera. Il primo tassello era, appunto, la sicurezza dello scudetto. Contro i rosanero vogliosissimi di non essere risucchiati troppo precocemente nell’inferno della Serie B, c’è da mettere subito in chiaro le regole. E le regole sono scritte a caratteri cubitali in quel maniacale tiki-taka che porta la sua formazione a un possesso di palla impressionante ma che, almeno nei primi 45 minuti, non fa materializzare alcun gol. Una grandissima occasione: quella di Vucinic al 28’ e poi tanto Pogba, maestro del centrocampo e delle ripartenze. Tra cori d’amore per Conte e contro il possibile arrivo di Ibrahimovic finisce una prima frazione blanda e da tipico meriggio sonnolento domenicale. A spaventare tutti ci pensa Miccoli che, in apertura di ripresa, fulmina Buffon con un tiro che si stampa sul palo. Paura passata e forcing che aumenta, ma con una grande confusione. A sbloccare tutto ci pensa un ingenuo fallo in area di rigore di Donati che affonda Vucinic e permette a Vidal di presentarsi sul dischetto del calcio di rigore per l’1-0 che vale tutto e più di tutto. Lo Stadium prepara la festa e il Palermo, lentamente, affonda sotto i colpi juventini. Prima Chiellini di testa, poi Vucinic e ancora Vidal, vanno vicini al raddoppio. Ci prova anche Quagliarella che battezza la traversa. Prima del delirio finale c’è il cartellino rosso per Pogba (il primo della stagione juventina), per uno sputo nei confronti di Aronica (gesto brutto e inutile che non scalfisce il grande pomeriggio della Torino bianconera) e l’erroraccio del neo entrato Faurlin che a tu per tu con Buffon sbaglia un gol incredibile. Dopo 4 minuti di recupero eccolo il triplice fischio dell’arbitro Romeo. Torino in festa, grande e tutta bianconera festa.
Il Milan vuole approfittare della forse immeritata ma sicuramente inaspettata sconfitta della Fiorentina per mettere una seria ipoteca sulla conquista del terzo posto che vuol dire preliminari di Champions League. Tuttavia il Toro, con una salvezza tutta da guadagnare, non viene a San Siro a far la vittima sacrificale. Lo dimostra l’atteggiamento iniziale e l’occasione capitata a Cerci dopo soli 2’, e sventata dal vero protagonista di giornata, Christian Abbiati. I granata di Ventura, passati dal 4-2-4 a un più prudente 5-3-2 per avere maggiore protezione in area, non fanno soltanto resistenza passiva ma per un discreto spezzone di primo tempo cominciano a palleggiare, nascondendo il pallone al Milan. I rossoneri, dal canto loro, sembrano più preoccupati dalla fase difensiva. Al 16’ si apre una nuova crepa sul contropiede orchestrato da Basha, ma Abbiati è davvero superlativo sul rigore in movimento di Barreto. Miracolo numero uno. Il Milan non si scuote, anzi si appisola e assume un atteggiamento (la forma è un’altra cosa) che fatichi a spiegare a questo punto della stagione. Boateng e Balotelli sono indolenti e rinunciatari, El Shaarawy non riesce nelle cose più elementari. I rossoneri soffrono l’assenza di Montolivo in cabina di regia e si beccano i fischi del pubblico, una cosa che sembrava ormai esser passata di moda. Manca brillantezza e l’intervallo non è che aiuti granché. L’unica variante a questa incapacità cronica di far gioco, è mandare in campo Pazzini (al posto di un Faraone davvero irriconoscibile) e appellarsi alle sue doti sottoporta. I due terzini, Abate e Constant, non riescono a recapitargli un pallone così è ancora il Torino, più accorto nell’atteggiamento rispetto al primo tempo, a trovare una gran ripartenza conclusa ancora male da Barreto. Per Abbiati è il miracolo numero due. Più passa il tempo, più la gara sembra indirizzata sui binari dell’equilibrio. Solo Robinho dà un minimo di ardore agli attacchi del Milan, che da una palla alta di Nocerino (e toccata da Mexes) trova con Balotelli un preziosissimo vantaggio a pochi giri di lancette dal termine. In un attimo i fischi sono dimenticati, la Fiorentina è lontana e Mario torna ad essere Super. Quando vinci partite così, il destino ti ha strizzato l’occhio: l’Europa che conta è più vicina che mai.
Gioco, partita e incontro per la Lazio di Petkovic, che dopo un periodo nerissimo torna alla vittoria e lo fa nel migliore dei modi. Un 6-0 che non lascia spazio ad altre parole quello maturato all’Olimpico di Roma, dove un incontenibile Klose ha piegato in due la flebile resistenza del Bologna. L’allenatore laziale butta nella mischia Floccari per allungare la squadra e centra l’obiettivo. Il Bologna prova a fare gioco, ma manca qualità e precisione. E così la Lazio col passare di minuti alza il baricentro. A secco dal 15 dicembre, Klose sceglie la giornata giusta per sbloccarsi. Il tedesco però esagera e segna addirittura cinque volte, portando il suo personale bottino stagionale in campionato a quota 15 gol. La prima rete la segna al 22’, approfittando di una respinta corta di Stojanovic su un tiro di Candreva, stantuffo instancabile sulla destra, praticamente un attaccante aggiunto. Poi bussa Hernanes, che dieci minuti dopo prende la mira dal limite e infila un missile all’incrocio dei pali, con tanto di capriola spettacolare. Segnale forte e chiaro al Bologna: non è giornata per fare scherzi. Ci prova anche Floccari, ma lo ferma la traversa. E così tocca ancora a Klose, che in tre minuti chiude il match già al 40’. Il tedesco va a segno altre due volte (prima su assist di Lulic e poi di Konko) prima di rientrare negli spogliatoi e stende di fatto il povero Bologna di Pioli. La ripresa, poi, è buona soltanto per le statistiche. La squadra di Pioli, alle corde, cerca di limitare i danni, ma il bomber tedesco non è ancora sazio. Nel giro di 16’ il panzer va in rete ancora due volte, approfittando di una bella azione di Candreva sulla destra e di un contropiede di Lulic e Floccari (passaggio decisivo di quest’ultimo). Cinquina tedesca per salutare il Bologna e per continuare a lottare per l’Europa League. A fine partita Klose si porta a casa il pallone, ma ne meriterebbe due…
Come all’andata, è nuovamente Bergessio il mattatore assoluto tra Catania e Siena. L’argentino stavolta si sbizzarrisce ancora di più e segna addirittura una tripletta. I bianconeri, in 10 dal 42’ per l’espulsione di Felipe, oramai hanno un piede in Serie B. Le reti dell’argentino arrivano al 14’ (su assist di Castro), al 52’ e al 72’, quest’ultimo con un delizioso tocco di sinistro su lancio di Barrientos. Il Catania batte il suo record di punti in Serie A e manda sempre più nel baratro la squadra di Iachini.
Ancora una volta protagonista un attaccante, ancora una volta gol pesanti (e belli) che potrebbero avere serie ripercussioni sul prosieguo della stagione. Marco Borriello, infatti, con la sua doppietta spiana la strada al Genoa per la facile vittoria ottenuta in casa contro il Pescara. È Floro Flores, però, ad aprire le marcature con una zuccata su sponda di Manfredini al 19’. Poi si scatena Borriello: gran sinistro a giro al 30’ e terrificante botta sotto la traversa sempre col suo piede preferito al 54’. In mezzo allo show del napoletano, intanto, è l’ex di turno, Giuseppe Sculli, a segnare il gol della bandiera per gli abruzzesi, con un preciso colpo di testa su cross di Zanon. La parola fine sulla partita e sulla permanenza nella massima serie del Pescara (che retrocede in B dopo appena una stagione) la mette Bertolacci, che segna a porta vuota la rete del 4-1. Il Genoa sale a 35, superando il Palermo. E alla prossima c’è il Toro, per una sfida dall’importanza mostruosa.
Il Parma torna a vincere dopo più di un mese e conquista la matematica salvezza. Gli emiliani piegano l’Atalanta con una rete per tempo: finisce 2-0 per la gioia di Donadoni. Ci pensa Parolo a sbloccare il risultato sul finire della prima frazione, dopo un’azione confusa di Belfodil. Nella ripresa Biabiany mette l’ombrellino nel long drink, festeggiando nel migliore dei modi le 100 presenze in maglia gialloblù e siglando la rete del raddoppio con una precisa rasoiata di destro. Prestazione deludente dell’Atalanta, praticamente mai insidiosa dalle parti di Mirante. Bergamaschi costretti a rinviare la festa salvezza.
Il posticipo della 35^ giornata è una classicissima del nostro calcio: al “San Paolo” arriva l’Inter, per cercare di ottenere punti così da aggiustare almeno un po’ una stagione che definire disastrosa è dir poco. Ma alla fine l’esito, tanto per cambiare, è ancora una volta amarissimo per la squadra di Stramaccioni, che incappa nella 14^ sconfitta in questo campionato. Frutto della presenza dall’altra parte di un giocatore fuori dal comune, capace di realizzare ancora una volta una tripletta, di portarsi a casa l’ennesimo pallone della sua carriera e di eguagliare quota 101 reti con la maglia del Napoli in appena tre stagioni. Stiamo parlando, chiaramente, del Matador Cavani, che, come spesso gli è accaduto, ha vinto una partita praticamente da solo. 26 in campionato, 35 in stagione: numeri da capogiro, quello con cui probabilmente sono tornati a casa Ranocchia e Jonathan. Il vantaggio azzurro arriva già al 3’: grande palla in verticale di Pandev per Cavani che da due passi fulmina Handanovic. L’Inter reagisce con orgoglio e trova il pareggio dal dischetto con Ricky Alvarez (22’) che si procura e realizza un penalty aspettato ventiquattro giornate. Era dalla vittoria in casa della Juventus, l’inizio del crollo nerazzurro, che non succedeva. Ma è solo illusione. Al 33’ Jonathan atterra ingenuamente in area Zuniga restituendo la possibilità dagli undici metri a Cavani che non sbaglia. Da lì in poi le azioni sono quasi tutte di marca partenopea con Hamsik che perde il duello a distanza con Handanovic e Cavani che, sempre grazie all’assistenza straordinaria di Pandev, trova la tripletta che arricchisce di un altro pallone la collezione di hat-trick. Per l’Inter invece è, come detto, il quattordicesimo ko in campionato, frutto di 52 gol fatti e ben 49 subiti. Anche nella partita di Napoli del resto, senza attacco, i problemi maggiori per Stramaccioni sono arrivati dal pacchetto difensivo. La terza rivoluzione, forse, dovrebbe partire proprio da lì.
In virtù di questi risultati, la Juventus trionfa con 83 punti, seguita dal Napoli a 72 e dal Milan a 65. Pescara in Serie B, mentre Cavani, con 26 reti, sembra aver staccato definitivamente Di Natale (20 gol fatti) e, salvo clamorose sorprese, succederà ad Ibra e sarà il capocannoniere della Serie A 2012-2013.
I TOP
Miroslav Klose (LAZIO): Innanzitutto mi sembra doveroso porgergli le più sincere scuse per il giudizio e per l’aggettivo affibbiatigli la scorsa settimana. Il tedesco, assieme ad Hernanes, si prende la Lazio sulle spalle e la fa rialzare come solo i grandi campioni sanno fare. 5 reti, magari anche facili, ma pur sempre 5 reti. Da Kaput a … PANZER.
Gonzalo Bergessio (CATANIA): Doppietta all’andata, addirittura tripletta al ritorno. Questi numeri non lasciano spazio ad altro, il Siena è senza dubbio la sua vittima preferita: sale a quota 12 reti in campionato e dimostra di essere un affidabilissimo attaccante dal quale ripartire anche negli anni a venire. TORO.
Edinson Cavani (NAPOLI): Tocca quota 101 con un’altra, l’ennesima, tripletta. Sbaglia anche un gol clamoroso, ma a Napoli nessuno gli dirà nulla. È un capitale inestimabile per il gioco di Mazzarri e per il calcio italiano. E Vojak è distante soltanto 2 reti… MARZIANO.
Antonio Di Natale (UDINESE): Raggiunge quota 20 reti per il quarto anno consecutivo e lo fa segnando due bellissimi gol. È l’anima dell’Udinese che rincorre l’Europa League. CUOREDICAPITANO.
Marco Borriello (GENOA): Tre gol in una settimana, uno meglio dell’altro. Si è preso il Genoa sulle spalle e lo vuole condurre fino alla salvezza. Quando è in forma, sa essere davvero un grande attaccante. E intanto sono 12 in campionato. RISOLUTORE.
I FLOP
Stephan El Shaarawy (MILAN): Giornata nera. Non è mai pericoloso, si avventura in uno contro uno che è destinato a perdere e non calcia mai verso la porta. Calo fisico (caviglia in disordine) e soprattutto mentale. Non segna da addirittura due mesi e mezzo. APPANNATO.
Andrea Ranocchia (INTER): Una compilation di errori da mani nei capelli. Il primo a mollare in campo è lui, colui che doveva essere uno dei pilastri della rinascita nerazzurra in questa stagione. Ha confermato una stagione negativa anche a Napoli. Impreciso, sempre in ritardo e impacciato. ROVINOSO.
Uros Cosic (PESCARA): Peggiore in assoluto nella disfatta biancazzurra a Genova, è forse l’emblema della disastrosa difesa del Pescara di quest’anno. DANNOSO.