Operazioni finanziarie sospette? Sì al plus controllo ma condizionato – Sentenza Corte di giustizia UE 25 aprile 2013
Secondo la Corte di giustizia, non si arreca “disturbo” al principio della libera prestazione di servizi, sancito dal diritto comunitario, sempre che siano rispettati determinati requisiti
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La vicenda giudiziaria ha per protagonista un ente creditizio, con sede a Gibilterra, che opera in Spagna, in regime di libera prestazione di servizi, ossia senza disporre di una sede nel territorio spagnolo. La Uif spagnola, che riteneva di poter esperire il suo controllo, comunicava all’ente di renderle note alcune informazioni, riguardo l’identità di alcuni clienti, poiché sospettava l’esistenza di operazioni di riciclaggio. L’ente, tuttavia, invocava il segreto bancario per occultare all’Autorità spagnola alcuni documenti.
Il procedimento principale
A seguito di procedura amministrativa in Spagna, all’esito della quale l’ente creditizio era stato sanzionato con pene pecuniarie, la società incardinava un contenzioso amministrativo, opponendo di essere soggetta ad un obbligo di comunicazione solo nei confronti delle autorità di Gibilterra e non di quelle spagnole. Inoltre, sosteneva che la normativa iberica fosse in contrasto con quella comunitaria. Pertanto, il giudice spagnolo sospendeva il procedimento e richiedeva il parere degli eurogiudici.
La questione pregiudiziale
Questo il quesito: se, secondo l’indirizzo comunitario, uno Stato membro possa esigere che le informazioni che gli enti creditizi operanti nel suo territorio, senza una sede stabile, devono fornire, siano trasmesse obbligatoriamente e direttamente alle autorità nazionali incaricate della prevenzione del riciclaggio dei proventi di attività illecite o se, invece, la richiesta di informazioni debba essere rivolta alle Uif dello Stato membro nel cui territorio è situato l’ente creditizio interessato.
Le motivazioni della pronuncia
La Corte di giustizia premette che, secondo l’articolo 22, paragrafo 2 della direttiva 2005/60, gli enti creditizi debbano comunicare le informazioni necessarie per prevenire il riciclaggio di capitali e il finanziamento del terrorismo all’Uif dello Stato membro nel cui territorio essi abbiano la sede.
La stessa norma, però, non esclude la possibilità che lo Stato membro ospitante imponga, a un ente creditizio che svolge attività nel suo territorio in regime di libera concorrenza, di comunicare direttamente le informazioni in questione alla propria Uif, sempre nel rispetto del diritto dell’Unione.
L’articolo 56 del Tfue
Gli eurogiudici passano, allora, a vagliare se vi sia una violazione dell’articolo 56 del Trattato sul funzionamento Ue, che prevede l’eliminazione di qualsiasi discriminazione del prestatore di servizi in base alla sua cittadinanza o al fatto che questi sia stabilito in uno Stato membro diverso da quello in cui la prestazione deve essere effettuata.
Ebbene, in prima battuta, la Corte di giustizia ammette che la circostanza che un ente creditizio, che opera in regime di libera concorrenza, debba fornire informazioni anche all’Uif dello Stato nel cui territorio svolga la propria attività, costituisca una restrizione della libera prestazione di servizi, poiché si aggiunge ai controlli esercitati dallo Stato membro in cui ha sede l’ente stesso.
L’antiriciclaggio una valida eccezione
Tuttavia, ricorda la Corte una tale costrizione può essere attuata, in una materia come la lotta al riciclaggio di capitali, ad alcune condizioni, rispettate nel caso di specie. Devono, anzitutto, emergere motivi imperativi di interesse generale. Inoltre, la normativa nazionale deve essere idonea a conseguire gli obiettivi propri della direttiva, attesa la competenza esclusiva degli Stati nel fenomeno repressivo di reati, quali il riciclaggio di capitali ed il finanziamento del terrorismo. Infine, nota la Corte, non pare “sproporzionata” una normativa, quale quella spagnola, che chieda conto, agli enti de quibus, solamente delle operazioni “sospette” (superiori ad una certa somma e se intrattenute con operatori di determinati paesi).
Le conclusioni della Corte
La Corte di giustizia Ue ha statuito che l’articolo 22, paragrafo 2, direttiva 2005/60/CE, relativa alla prevenzione dell’uso del sistema finanziario a scopo di riciclaggio dei proventi di attività criminose e di finanziamento del terrorismo, deve essere interpretato nel senso che non osta alla normativa di uno Stato membro, la quale impone agli enti creditizi di comunicare direttamente all’unità di informazione finanziaria (Uif) di tale Stato le informazioni richieste a fini di repressione dei reati menzionati, quando tali enti svolgono le loro attività sul territorio nazionale, in regime di libera prestazione di servizi. In conclusione, sembrerebbe aprirsi una breccia nel segreto bancario a vantaggio della repressione di reati finanziari transnazionali.
Fonte: sentenza Corte di giustizia UE, 25 aprile 2013, causa C-212/2011
Martino Verrengia . nuovofiscooggi.it