Requisiti per induttivo e analitico? L’ufficio può scegliere quale usare – Vassazione Civile Sentenza 1122/2013
L’utilizzo del secondo metodo, pur in presenza dei presupposti per il primo tipo, non comporta l’illegittimità dell’avviso di accertamento ai fini delle imposte sui redditi
La Corte di legittimità (decisione 17 gennaio 2013, n. 1122) conferma la sua giurisprudenza sull’esistenza dei presupposti per l’applicazione del metodo induttivo ai sensi dell’articolo 39, comma 2, lettera d), Dpr n. 600/1973, affermando che esso non esclude che l’Amministrazione finanziaria possa servirsi, nel corso del medesimo accertamento e per determinate operazioni, del metodo analitico ex articolo 39, comma 1, oppure, contemporaneamente, di entrambe le suddette metodologie. Sul punto si confronti la pronuncia del Supremo collegio 18 dicembre 2006, n. 27068.
Nel caso di specie, il giudice tributario aveva reputato illegittima la determinazione del reddito imponibile ai fini Irpeg e Irap, con un accertamento di tipo analitico in quanto l’entità e la gravità dei rilievi mossi e l’inattendibilità delle scritture contabili avrebbero giustificato il ricorso alla procedura ex articolo 39, comma 2, con l’effetto di quantificare “il reddito imponibile attraverso l’applicazione di una percentuale desunta dalla media del settore merceologico, non potendosi invece procedere all’automatico ribaltamento dei costi inesistenti in reddito imponibile”.
La peculiarità della controversia è offerta dalla minore entità dell’accertamento fondata su tale modalità induttiva rispetto a quanto risultante dall’accertamento analitico fondata sulla negazione dei costi ritenuti inesistenti, mentre usualmente, come ricorda la sentenza in rassegna, “l’accertamento analitico, rispetto a quello induttivo, offre maggiori garanzie al contribuente, in quanto vengono chiariti i motivi delle singole riprese permettendo un più puntuale esercizio del diritto di difesa, consentendo un contraddittorio su base analitica e non presuntiva”.
Infatti, l’articolo 39 del Dpr n. 600 del 1973, al secondo comma, prevede che l’accertamento induttivo può essere fondato anche su presunzioni prive dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, “con facoltà di prescindere in tutto o in parte dalle risultanze del bilancio e dalle scritture contabili in quanto esistenti”, allorquando il reddito d’impresa non sia stato indicato nella dichiarazione oppure nelle ipotesi più gravi di mancanza o di inattendibilità di una o più delle scritture contabili prescritte dal legislatore, ovvero anche in ipotesi di omessa risposta all’invito dell’ufficio finanziario.
Nessun dubbio che la citata disciplina accertatrice individui la posizione giuridica soggettiva dell’ufficio finanziario in termini di “facoltà” nel caso di specie volta a scegliere se tenere conto in tutto o in parte delle risultanze documentali e non in termini di “obbligo”, con l’effetto che all’ufficio non è preclusa la possibilità di procedere ad accertamento analitico, mentre di certo non può mai sostenersi il contrario, ossia che al ricorrere dei soli presupposti per l’accertamento in via analitica, possa procedersi ad accertamento induttivo.
La decisione in rassegna si segnala ove afferma l’esistenza di una regola generale volta a privilegiare sempre e comunque l’accertamento analitico, in quanto garante di maggiore certezza, con l’effetto che il ricorso al metodo induttivo, seppur giustificato dall’assoluta inattendibilità delle scritture contabili (e legittimante un accertamento “sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a conoscenza” dell’ufficio), non fa “sorgere all’Ufficio alcun obbligo di disattendere la documentazione ufficiale, che costituisce comunque il termine di raffronto rispetto alla ricostruzione del reddito effettuata aliunde”.
In questi termini si esprime la giurisprudenza di legittimità, ad esempio, nella decisone 26 ottobre 2005, n. 20837, che aveva affermato che qualora, pur in presenza delle condizioni suscettibili di legittimare l’adozione di un accertamento induttivo a termini del comma 2 dell’articolo 39, la rettifica sia stata operata con metodo analitico, a mente del comma 1 della cennata disposizione, il contribuente non ha titolo per lamentare l’emissione nei suoi confronti di un accertamento analitico, invece che di un accertamento induttivo o sintetico.
In tale occasione fu aggiunto pure che l’ufficio finanziario non soltanto è legittimato alla determinazione del reddito con il metodo analitico-induttivo, ma anche all’utilizzo – in deroga alla regola generale – delle presunzioni semplici prive dei requisiti di cui all’articolo 2729 cc, come previsto, appunto, per l’accertamento induttivo puro (su cui si veda la pronuncia della Suprema corte 21 maggio 2007, n. 11692, in presenza di inattendibilità dell’intera contabilità).
La Corte regolatrice del diritto, nella sentenza 3 febbraio 2012, n.1555, aveva affermato che la Commissione tributaria adita per l’annullamento dell’avviso di rettifica del reddito d’impresa, individuato dall’Amministrazione finanziaria con metodo analitico ex articolo 39, comma 1, del Dpr n. 600/1973, non possa procedere alla determinazione induttiva dell’utile di gestione, pur sussistendo i presupposti per l’accertamento induttivo per omessa tenuta delle scritture contabili.
In tale circostanza viene desunta l’illegittimità della sentenza del giudice tributario che abbia rideterminato il reddito accertato solo nella misura del 20% dei ricavi, pur dopo l’esplicito riconoscimento della mancanza di ogni prova dell’esistenza dei costi per violazione dell’articolo 75 del Tuir (ante 2004).
Nella controversia oggetto della sentenza che si annota, si è ritenuto che il giudice di merito aveva errato nel ricavare la necessità del ricorso al metodo induttivo dall’irragionevolezza del risultato a cui sarebbe addivenuto l’ufficio finanziario, ma ciò logicamente è stato ritenuto inammissibile “in quanto l’argomento dell’assurdità delle conclusioni non può valere da solo a sostenere l’illegittimità del metodo attraverso il quale il reddito è stato ricostruito”.
a cura di Giurisprudenza delle imposte edita da ASSONIME